17. Imparare l'attesa

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2010

Andrea

Attraverso la coltre di fumo la osservo ridere con i suoi amici finché quell'energumeno biondo non la prende di peso e se la carica a cavalcioni sulle spalle per scattare una foto dall'alto al resto della sua classe.
Istintivamente stringo il filtro della sigaretta tra l'indice e il medio, rendendolo sottile come una lama.

Toglile subito le mani di dosso.

Ride ancora, mentre urla "Dite cheese!" e immortala il momento in eterno. Il biondo volteggia con lei sulle spalle, rischiando quasi di cadere, tanto che lei si aggrappa al suo maglione per evitare di ruzzolare giù.
Continuano a ridere.
Che cazzo hanno da ridere.

Fatti togliere all'istante le mani di dosso.

Butto a terra la sigaretta ormai inutilizzabile, un fuoco dietro gli occhi, specchio dell'anima, le fiamme della perdizione ad ardere in me, gli artigli dei dannati ad arpionarmi il cuore.
La aiuta a scendere e la abbraccia forte, stritolandola quasi.
Beatrice si volta ancora ridendo e con le lacrime agli occhi mi vede.
Fermo.
A guardarla.
Il sorriso le si congela sulle labbra.

Buongiorno, principessa.

Sorrido, quasi certo che sia molto più simile a un ghigno sardonico, mentre mimo un applauso.

Avvicinati, non mordo.

Forse.

Con passi incerti Bea si allontana senza dire una parola dal resto del gruppo e mi raggiunge, fermandosi a pochi centimetri di distanza da me - ti mantieni a distanza di sicurezza, eh? -, tenendo gli occhi bassi.
"Ciao."
"Ciao."
"Non mi aspettavo di vederti."
"Io non mi aspettavo di vederti, così." La guardo esterrefatto. "E poi, che accoglienza è questa? Ti ho fatto una sorpresa, Beatrice, non sono venuto per condurti al patibolo. Questo è il momento in cui dovresti saltarmi con le braccia al collo e dirmi quanto ti sia mancato e quanto tu sia felice di vedermi, ma forse eri troppo impegnata a saltare al collo di qualcun altro."
Osservo con la coda dell'occhio l'armadio biondo in lontananza. Torna all'Ikea, ammasso di ante.

"Non intendevo questo."
"No, eh? E cosa intendevi? Sono tutt'orecchie."
Attendo, mentre il silenzio sfrigola tra di noi come elettricità su un cavo scoperto. Intanto la guardo, con i capelli castani arruffati in ciuffi più corti sul viso - quant'è bella - , le guance arrossate e gli occhi lucidi.

Aspetta.

"Tu hai bevuto."
Nessuna risposta.
"Beatrice, tu sei ubriaca."
"Non sono ubriaca, sono alticcia."
"Non ricordo di averti detto potessi bere in mia assenza."
Alza finalmente gli occhi e li fissa nei miei. Dal suo sguardo sembrano sgorgare mille soldatini alla carica. "E chi cazzo sei, mia madre?"
Sono furioso. Ma perché non capisce? Ci è o ci fa? Non può bere se non ci sono io.
Non può perdere il controllo.
Non può posare gli occhi su altre persone.
Non può saltare in braccio agli energumeni 2 metri x 2.
Non.
Può.

Mi allontano prima di poter dare reale sfogo alla mia frustrazione e mi chiudo a riccio nel mio silenzio, come sempre.
"E adesso dove vai?"
"Via." Continuo a parlare senza smettere di camminare. "E tu verrai con me."

*

Stringo il volante fino a farmi sbiancare le nocche e guido fendendo con i fari il buio denso della sera, mentre penso che non vedo nessuna speranza a fendere il nero che ho dentro.
Guido mosso dall'istinto, soltanto puro istinto primordiale; vado avanti a odori, sapori, ricordi, follemente simile più a un animale che a un uomo, ombra di me stesso.
Non so se sto esagerando e non me lo chiedo nemmeno perché la furia è cieca. Non sente ragioni. Appanna tutto il resto.
Beatrice ha provato a parlarmi per una buona metà del tragitto, ma non ha ricevuto risposta.
Solo silenzio.
Ho bisogno di silenzio.

Non c'è proprio posto per le parole quando la gelida luna di marzo decide di congelarti la pelle.

Dopo circa un'ora di strada, parcheggio e scendo dalla macchina, incurante di quello che lei ha intenzione di fare. Cammino in questo niente finché la consistenza dell'asfalto sotto le mie suole viene sostituita da quella della sabbia.
Mi avvicino alla riva e mi siedo a gambe incrociate, chiudo gli occhi, ascolto il rumore della spuma.
L'ho portata a vedere le onde del mare, alla fine, in una notte senza luna in cui non si vede altro che
buio
vuoto
nulla.

Il litorale di Torvaianica ospita i miei ricordi estivi da quando ho memoria. La rivedo quasi come fosse ieri, la carovana che si creava quando venivamo a fare il bagno, in testa i più alti sulla piramide della gerarchia familiare. Per prima c'era nonna, avanti avanti con un ombrellone azzurro cielo sotto il braccio, poi nonno con il Corriere dello Sport in mano a commentare aaa maggica (e guai se incontrava Claudio il laziale sulla sua strada!), dietro mamma e zia con i borsoni di cibo, io e mio cugino Stefano con le palette e i secchielli e a chiudere la fila papà, che portava tutto il resto.
Piantavamo l'ombrellone alle 10 e non ci si muoveva da lì per almeno 8 ore, nossignore, anche perché alle 14 in punto si mangiava in quantità talmente industriali che teoricamente non sarebbe bastata mezza giornata per digerire. Ogni tanto, tra un'onda e l'altra, potevi sentire gli scambi di battute tra nonno e Claudio - "A rosiconeee!" "A complottarooo!" - a cui seguivano gli sguardi imbarazzati di mamma e zia.
Qui ho imparato a nuotare.
Qui ho imparato a fare a pugni.
Qui ho scoperto i primi baci, complice la salsedine e quel clima estivo che ti spinge a fare tutte le piccole follie dell'universo.
Qui ho perso mio nonno.

Troppo impegnato a smarrirmi in me stesso, non ho notato Beatrice seduta al mio fianco. Chissà da quanto tempo è qui. Con la testa bassa, traccia con un bastoncino solchi scomposti sulla sabbia, curve e linee turbate come lei. Si affretta ad asciugare una lacrima silenziosa con la manica della felpa e la vedo stringersi per il freddo.
Mi tolgo il giubbotto e glielo metto sulle spalle, avvolgendola di una pelle che non è la mia.
Io non sono ancora pronto.
Io non posso.
Mi farà del male.

"Non volevo ferirti", sussurra, come mi leggesse nel pensiero.
Continuo a fissare il mare d'inchiostro di fronte a me.

"Non era mia intenzione. È solo un mio compagno di classe, volevamo fare una foto, tutto qui."
Taccio.

"Abbiamo bevuto solo un po' di romanella, per augurio, per brindisi. Non ho bisogno di bere per dimenticare, sono felice al tuo fianco."
Ermeticamente riccio.

"Non farei mai nulla che possa compromettere quello che abbiamo, perché tu sei tutto. Io sto. Resto."
Inspiro.
Espiro.

Forse ho ritrovato l'uso della parola.
"Non sono ancora pronto."
"Io lo sono per entrambi."
Con le sue piccole mani mi abbraccia il torace mentre mi raddrizzo sull'attenti e posa il suo volto sulla mia spalla.
Mi scioglie i muscoli col silenzio, col suo profumo di vaniglia, coi suoi capelli che mi solleticano la guancia e poco a poco mi rilasso.

Dopo un tempo che mi sembra infinito, ingestibile come solo le mie emozioni contrastanti sanno essere, cerco rifugio per la mia anima pesante tra le sue labbra, sulla sua pelle, in mezzo alle ciglia chiare.

Si può annegare in un bacio?

La stringo a me, sfiorando la pelle calda sotto la felpa, quella della pancia, quella della schiena - quante vertebre hai, Beatrice? Aspetta che te le conto, magari ne è scappata una - la stendo sotto di me ed è piccola piccola, tutta da proteggere, tutta da avvolgere.

"Adesso ti bacio."
Il collo.
La clavicola.
Quel punto vicino all'ombelico.
Le coste che formano la gabbia in cui racchiudi il cuore che batte.

Tremi?

Sfioro con un dito il tessuto della barriera di pizzo che hai infilato stamattina, dopo la doccia, davanti allo specchio, sotto la maglia.

Tremo anch'io.

Bacio tutto quello che incontro.
Labbra calde su pelle fredda.
Non resisto.
Ma devo.
Non posso aspettare, proprio no.
Non è pronta.
Lo sono io per entrambi.
Come lei, prima. Quando mi ha dato tempo, quando mi ha dato modo.

La tengo stretta in questa distesa di sabbia dove ai granelli sono mescolati i ricordi e mi fermo con l'orecchio sul suo petto ad ascoltare il battito del cuore, aspettando che il ritmo da galoppo impazzito diventi un passo lento.

"Bea?"
"Mmmh mmmh?"
"Nonostante tutto, c'è ancora un po' di rabbia qui dentro" dico, indicandomi il petto.
Sento il rumore delle sue labbra che si schiudono piano in un sorriso.
"Aspetteremo. Abbiamo tutto il tempo del mondo."

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora