38. Ghepardi in erba

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Novembre 2010

Milano non è Roma.

È una constatazione semplice, quattro parole in croce messe in fila una dietro l'altra, con un concetto di fondo che persino un bambino di quattro anni saprebbe esprimere. Eppure io ritrovo questa banale e scontata affermazione a pesarmi sulle spalle, a schiaffeggiarmi a mani tese ogni giorno, tra il milione di cose che costellano il mio quotidiano.

La ritrovo tra la nebbia sottile, quasi impalpabile, eppure presente, grigia, opprimente, che si infila strisciando in ogni piccolo anfratto, in ogni spazio, persino in ogni fenditura presente tra mattone e mattone. Milano veste la nebbia come un giubbotto: la indossa, tira la zip e si chiude al resto del mondo.
E il cuore, in questa gabbia grigio fumo, non riposa.

La ritrovo tra l'odore del caffè che aleggia nell'aria che ha una nota tutta sua, un sentore più aspro, perché qui il caffè ti sveglia, ti spinge a iniziare la tua giornata, ché è tardi, ti spinge a studiare di più, produrre di più, è fine a se stesso. È privo di quella componente calda e familiare che ti rimanda a risvegli pigri, pause studio, pranzi ricolmi di portate in cui la torta della nonna proprio non sai dove incastrarla, se tra un cannellone e l'altro o tra l'abbacchio e le patate al forno.

La ritrovo tra la pioggia che frequentemente picchia l'asfalto e si abbatte sugli edifici austeri, sugli uffici, sulla gente incravattata e impomatata che corre qua e là con la sua ventiquattrore, sul traffico, sullo smog. Si abbatte persino sulla gentilezza, permeandola di una sorta di distacco: le persone ti chiedono se hai bisogno di qualcosa, se possono ti aiutano pure, ma lo fanno tenendosi sempre due passi indietro, come se avessero paura a mischiare la propria vita con la tua. C'è come una certa reticenza, sempre, in ogni aspetto. La spontaneità, l'irruenza che, a volte, sfiora l'invadenza, sono solo un ricordo lontano, sbiadito, ingrigito.

La ritrovo tra la frenesia, il dinamismo, la velocità.

E il cuore, ancora, sempre, non riposa.

Col cuore pesante mi sveglio, mi faccio la doccia, faccio colazione al volo con una brioche di sottomarca acquistata al supermercato più vicino, annegata nel latte freddo e Nesquik, ed esco all'ultimo minuto utile. Col cuore pesante mi fiondo trafelata in aula, mi siedo sempre sul lato destro, saluto le compagne di corso con cui ho iniziato a prendere un po' di confidenza, tiro fuori il quaderno e prendo appunti sulla lezione. Col cuore pesante pranzo al volo con un panino che pago a peso a d'oro, studio in biblioteca e poi, finalmente, alle sette e mezzo, costi quel che costi, io lascio tutto e vado ad alleggerirlo un po', questo cuore da dieci tonnellate al battito.

Scappo sul Naviglio Grande, seguo con lo sguardo l'incedere pigro dell'acqua, lo accarezzo, mi ci affido per farmi cullare i pensieri e trascinare tutte le scorie che mi inquinano da dentro. Osservo le luci che si riflettono tremolanti sul pelo dell'acqua come fossero incantesimi lasciati lì ad aleggiare, o lucciole, o semplicemente tutto il buono che c'è e finalmente riesco a respirare, incurante di tutte le persone che schiamazzano, ridono, mi urtano. Incurante di tutti i pensieri che mi sbattono addosso e provano a fermarmi. Il Naviglio è per me come una discarica dell'anima: ci riverso tutto e lascio che la corrente lo trascini via, non so dove e non mi interessa. L'importante è svuotarsi, svuotarsi fino al momento di tornare a casa, quando riprendo ad accumulare brutti pensieri già dai primi passi che muovo sulla strada che mi porta verso il condomino in cui vivo.

Ho preso in affitto una stanza in un appartamento che ha trovato su Subito.it Vanessa, la mia ancora di salvezza, il mio asse liceo-università, l'unica persona che in questa città straniera mi ricorda chi sono, da dove vengo, mi rimanda alla vita che ho voluto strapparmi da dentro con forza, per sostituirla con un'altra che, però, sto rigettando.

Tu sei (Le ceneri)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora