39. Innesco

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Dicembre 2010

Andrea

«Guarda che a Natale mancano ancora una manciata di giorni, Andre.»

«Mmpf» ciancico con la bocca piena di biscotti, sollevando lo sguardo su mamma, stranito. Cerco di masticare velocemente per poterle rispondere il prima possibile con qualche parola sensata e alla fine, dopo un lungo sorso di cappuccino, riesco a dire «Che stai a di'?»

«C'hai 'na faccia che è tutta un programma, pari l'espressione della felicità, manco fosse la mattina di Natale.»

«Con "felice come la mattina di Natale" intendi quando ti svegli e sai che i miracoli possono accadere tipo che speri tantissimo di ricevere un regalo e poi ti piomba tra capo e collo e tu sei troppo contento ché non credevi che fosse possibile e invece è possibile davvero?»

«Ma che c'hai oggi, sembra che stai a tremila! Sì, non l'avrei detto così, ma intendo quello, proprio quello.»

«E allora butta via il calendario, mamma, non è buono manco pe' niente, sta tutto confuso. Te lo dico io: oggi è Natale eccome» dico, sorridendo.

Poi mi alzo, le schiocco un bacio al volo sulla guancia ed esco dalla cucina, mentre con la coda dell'occhio la vedo che si avvicina perplessa al calendario della ferramenta di Fabione e lo scruta come se fosse un estraneo.

E io vorrei, ma come faccio a spiegartelo, ma'? Come faccio a spiegarti che mi sento come se avessi vinto al Superenalotto? Che mi sento come se vent'anni di vita buttata forse un senso ce l'avevano, che mi sento di avere un'altra possibilità, come fosse un'altra vita, e io non la spreco, ma proprio per un cazzo? Che mi sento che parlo, rido e tu, tu non sai perché, come diceva Battisti - e in realtà nessuno lo sa perché, nessuno mi può capire, lo so solo io.

Io che era una roba come cinque mesi - mesi, cazzo! Mesi, non minuti, ché a cinque minuti senza lei sarei sopravvissuto, ma con i mesi non si scherza - che la aspettavo, che immaginavo come sarebbe stato e a tutto avevo pensato, tipo incontrarla in un bar tra il cappuccino e il cornetto una mattina, tipo sentirla finalmente rispondere al citofono, tipo vederla all'improvviso tra la gente in un locale, a tutto tranne a quello che alla fine è successo.

Ma è così, che funziona con lei, perché così è lei.

Imprevedibile,
meravigliosa,
travolgente.

E mi è venuta a cercare mentre dormivo, tra gli incubi smozzicati, tra le ciglia delle palpebre chiuse che si sfioravano delicatamente, tra le lenzuola aggrovigliate che mi serravano e stringevano, tra le lacrime che anche stanotte mi si sono raccolte agli angoli degli occhi e sono scivolate sul cuscino, che trovo bagnato ogni notte e all'inizio pensavo fosse saliva, fosse sonno profondo, poi ho capito che invece era dolore.

Imprevedibile,
bellissima,
incazzata nera.

«Vaffanculo, Andrea, che non te l'ho detto mai e mi era rimasto incastrato in gola come una cazzo di lisca di pesce e mo' è arrivato il momento di sputartelo in faccia e tornare a respirare: VAFFANCULO, STRONZO.»

Io che avevo risposto nel sonno senza manco guardare il mittente, ma mi era bastato il suono della sua voce per scattare a sedere sul letto, improvvisamente sveglio e lucido e avevo guardato il display del telefono e mi ero tirato una pizza così forte che se fosse stato un sogno si sarebbe dovuto interrompere a forza e invece avevo scoperto che la guancia mi bruciava ed era tutto vero: la chiamata, le sue parole, lei. Tutto vero.
E io quella voce me la sarei tatuata addosso, me la sarei fatta entrare nel petto fino a darle un posto tutto suo, me la sarei mischiata al sangue, me la sarei scopata fino a farle perdere i sensi, fino a farle chiedere incredula tra i sospiri e il sudore e i graffi perché eravamo rimasti lontani per così tanto tempo, noi che lontani non ci sapevamo stare.

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now