32. 📍Dell'oro e di quel che luccica

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«Andrea è strano» asserisco.
Noemi si stringe nelle spalle, indifferente, mentre continua a limarsi le unghie. «Ma non mi dire.»
Le scocco un'occhiata indispettita. «Intendo... non so, è più strano del solito.»
«Metto "Rosso corallo" o "Rosso passione"?» Noemi scruta le due boccettine di smalto, dalle diverse tonalità, con lo stesso occhio critico con cui Sgarbi osserverebbe un'opera d'arte.
Ci manca solo che si metta a urlare "Capra!" alla tonalità perdente.

«No - e - mi.» Scandisco bene le sillabe del suo nome, facendola finalmente alzare lo sguardo su di me.
«Che c'è? Davvero, Bea, Andrea è strano un giorno sì e l'altro pure e tu sei paranoica. Sei così... così... così terrificata dall'idea di perderlo, che ogni nota stonata ti sembra diversa dal solito. Il problema è che lui è proprio un insieme di note stonate, è una cacofonia indistinta.»
«Okay, okay» le concedo, cantilenando. Sono consapevole che non abbia tutti i torti, ma che ci posso fare, io, se con quella cacofonia di suoni ci vado a nozze, se sembra la colonna sonora della mia vita? «Però ti dico che è strano.»
«Strano come?» con uno sbuffo abbandona momentaneamente l'idea di dipingersi le unghie e mi dedica finalmente la sua completa attenzione, scostandosi la matassa di ricci castani dalla faccia.

Sono chiusa qui in camera sua da almeno mezz'ora, in questo venerdì sera in cui non c'è proprio nulla di meglio da fare, in giro, e Andrea è da qualche parte con Dario. Seduta a gambe incrociate sul letto, sono intenta a lamentarmi della vita - non per vantarmi, ma ho un talento davvero eccezionale, in questo.

«Non lo so» esalo, sconsolata.

Noemi mi guarda con aria di sufficienza e si mette comoda sulla sedia, abbandonando indietro la schiena e iniziando a gesticolare in modo concitato, come ogni volta in cui è impegnata in un discorso che le sta a cuore.

«Va bene, analizziamo i fatti. Com'è stato, dopo la volta che ha latitato la notte prima degli esami?»
«Normale» pigolo, stringendomi nelle spalle.

Cioè, insomma, ha fatto niente più, niente meno di ciò che mi aspettavo da lui: si è presentato fuori scuola con un mazzo di girasoli, mi ha baciato con trasporto davanti a tutti, approfittando del fatto che fossi a dir poco frastornata - ma perché Primo Levi? Ma poi chi l'ha mai studiato, Primo Levi, come autore? - , ha guardato malissimo Roberto, quello con cui mi aveva cioccato ad Ariccia e mi ha chiesto perchè non gli avessi risposto per ben quattro ore, quella mattina, rimanendo basito di fronte al fatto che il tempo a disposizione per la prima prova fossero...
«Sei ore? Pe' du righe?»

Tipico.
Nemmeno gli ho risposto.

Però insomma, mi ha detto che, pensando uscissi prima, mi aspettava lì dalle dieci, aveva progettato una giornata solo per noi, si sentiva una merda, voleva la possibilità di rimediare... e siamo finiti a Ostia a mangiare gli spaghetti alla Zi' Checco nell'omonimo locale, un posto accogliente e pieno di camerieri simpatici, al cui centro della sala troneggiava un acquario gigante sovrastato da una barca in legno capovolta, appesa al soffitto.

Il primo spicchio di luna sul cielo azzurro di giugno ci ha visti, poi, vicino al mare, a consumarci addossati a un muretto a secco nei pressi di una spiaggia più isolata, immersi nella salsedine, nel vento e negli stridii dei gabbiani, con le dita frettolose per la voglia e per la paura ci vedesse qualcuno.

E ancora in macchina, a cantare a squarciagola, sfrecciando per le strade, coi finestrini abbass-

«Terra chiama Beatrice? Pronto? Ci siamo?» Noemi sventola davanti alla mia faccia il palmo aperto: credo di essermi persa per un po'. «Oh, bene, bentornata, zuccherino. Evita questi flashback, io ho abbandonato "Rosso corallo", per te, credo di essere degna quantomeno di un po' di attenzione. Quindi è andato tutto bene: pesce a pranzo e per dessert.»

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now