37. Parola di lupetto

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Agosto 2010

Sarei ipocrita a dire che non ho bisogno di tempo, prima di rispondere al messaggio di Andrea.
Che non mi salgono le lacrime agli occhi a leggere il suo nome, che il panico non mi attanaglia, strangolandomi e rendendomi affamata di aria, che non mi sento come una drogata in crisi d'astinenza a cui è stata sventolata una dose di cocaina sotto il naso - no, peggio: è come se qualcuno avesse scoppiato la bustina come si fa con le confezioni trasparenti delle brioche, producendo un botto e facendo volare la polvere bianca. E ora è ovunque: mi plana addosso apparentemente innocua come finta neve e mi si infila nelle narici, in una quantità beffarda non abbastanza utile a drogarmi, ma sufficientemente da ricordarmi com'era bello esserlo.
Tentatrice.

Poi lui complica le cose e dopo un po' che non rispondo mi chiama - perché Andrea io non lo capirò mai, roba da perderci la testa appresso: o tutto o nulla - e io devo ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non rispondere, per non cedere alla tentazione di sentire la sua voce, per non lasciare che il suo tono e le sue parole mi ammalino come il canto di una sirena, regalandomi l'illusione che vada tutto bene. Ho paura di non essere ancora abbastanza forte e non posso concedermi il lusso di rischiare di crollare così in fretta con due parole ben assestate.

Mi sento come un castello di carte alla mercé di questo capriccioso vento meridionale.

"Chi non muore si rivede" Riesco a mandargli, alla fine, con le mani che tremano.
"C'è che io sono sempre con te."

Sorrido amaramente.
Come no.

Bugiardo, un bugiardo sei. Come osi anche solo...
E allora sai che ti dico?
Ti meriti tutto.

"Peccato che io ti preferissi morto."

Non risponde.
Passano lunghi, infiniti, minuti, io mi rigiro il cellulare tra le mani, aspettando di vedere se un po' di coraggio ce l'ha, e lui non risponde.

Ho capito una cosa fondamentale, riflettendo, in questi giorni: lui mi dà per scontata. Lui pensa che a me bastino quattro cazzate e tre moine per essere a sua disposizione, ogni volta che ne ha voglia, qualunque cosa faccia. E la cosa che più mi fa imbestialire non è l'aver realizzato questo, ma il fatto che ha ragione, a pensarla così, visto che sono io stessa ad averglielo permesso.
Io stessa ad averlo accettato di buon grado senza fare una piega ogni volta che lui è tornato da me, io stessa ad aver soprasseduto quando avrei dovuto puntare i piedi, io stessa ad avergli permesso di pensare che potesse fare i suoi comodi, con me, manco avessi scritto in fronte "Pensione Beatrice" e lui avesse la facoltà di entrare e uscire quanto gli pareva e piaceva, tanto l'aveva pagata, la stanza.

Forse se non mi fossi comportata così sarebbe ancora mio.
Forse se l'avessi messo alla porta si sarebbe reso conto davvero che così non si fa.
Io avevo paura di perderlo e abbozzavo*, ma forse col mio atteggiamento ho ottenuto l'effetto diametralmente opposto.

E sono giorni che tutti questi "se" e "forse" mi soffocano e si incastrano in qualche strano modo tra cuore e stomaco, ingombranti, rendendo difficile il battere dell'uno e il digerire dell'altro. E Dio solo sa quanto mi costa mantenere questa facciata strafottente, ma non può, non deve pensare che di me può fare quello che vuole.

E inizio da ora: Andrea non ha ancora risposto e io mi sono decisamente stancata di lasciargli i suoi tempi e le sue parole giuste al momento sbagliato. Blocco il suo numero dalle impostazioni del mio Samsung: mi spiace, tempo scaduto.

Mi ha persa.
E io devo rimanere sulle mie posizioni.
Se questo vorrà dire non rivederlo mai più, non sentire mai più la sua voce finché non sarò pronta, fosse anche tra un milione di anni, beh, allora vorrà dire che lo eviterò come la peste nera. In qualunque modo possibile.

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now