22. I mostri sotto il letto

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2010

Incastrata tra un  venditore ambulante dalla pelle scura con una grossa borsa Ikea ripiena  di roba al seguito e un'anziana signora che legge un libro con  occhialetti tondi dalla montatura dorata calati sul naso, vado incontro  al mio destino schiacciata su un sedile della Metro Linea A, direzione  Battistini, dopo essere stranamente sopravvissuta alla bolgia durante il  cambio di linea in stazione.
Più che formata da milioni di persone,  la folla, a Termini, sembra un'unica massa vibrante e scalpitante, che  ti ingloba e ti trascina, come la corrente quando si alza il vento e i  bagnini fischiano per farti uscire dall'acqua.
Ma qui non c'è nessuno pronto a salvarti.

Nell'attesa di arrivare a  destinazione, accompagnata dalla voce del tizio-della-metro che  annuncia le fermate, con quella particolare musicalità ogni volta che  pronuncia "destro", tale da sembrare stia annunciando la notizia più  lieta del mondo, mi rigiro nella testa le parole di Andrea.

Mi accompagni a comprare un regalo a mia madre?

Mi mordo l'interno della  guancia, pensierosa. Non che io non ne abbia voglia o non ne sia  lusingata, anzi, è che mi sembra una prova del nove, piuttosto che  un'allegra uscita a due. Cioè: e se non fossi adatta? E se sbagliassi  consiglio, poi le facesse schifo e lui se la prendesse con me? Se  facessi un danno?
Della mamma di Andrea so solo che si chiama Patrizia e fa l'infermiera al Pertini. Punto.

Che si regala a una che si chiama Patrizia e fa l'infermiera al Pertini?

"Siamo in arrivo a: Spagna. Uscita lato destro. We're now arriving at: Spagna. Right side exit."
Mi  metto in coda insieme al nugolo di persone che sciamano come api  attraverso le porte scorrevoli della metro, percorro le gallerie ripiene  di graffiti e musicisti di fortuna che, seduti sul pavimento lercio,  tentano di guadagnarsi la cena e finalmente ritorno all'aperto,  respirando di nuovo.
Odio rimanere per troppo tempo compressa tra milioni di sconosciuti.

Cerco di individuare  Andrea mentre mi muovo a passo spedito verso la scalinata di Trinità dei  Monti e dopo poco spunta il solito brivido caldo e denso come miele che  sembra sgocciolare lungo ogni apofisi di ogni singola vertebra della  mia spina dorsale: eccolo lì.
Col naso all'insù, le mani in tasca,  alto e magro come un chiodo, scruta il cielo sopra di lui e sembra  indifferente agli spintoni della gente. D'altronde lui appare sempre  indifferente a tutto, chiuso in questo suo bozzolo in cui sembra quasi  riflettere sui momenti, assagiarli, sentirli rotolare sulla lingua  assaporandone fino alla più nascosta particella, masticarli e mandarli  giù.

Spesso mi ritrovo a  chiedermi se sia io a incarnare ogni sorta di misticità in questa  figura, che mi sembra diventare più bella ogni giorno, o se siano gli  ormoni imbizzarriti a primavera.
Propendo più per la prima, certa di  vederlo attraverso questo sentimento che si intreccia sempre più, come  le maglie delle trame che nonna intesseva ai ferri utilizzando spessi  gomitoli di lana colorata, con un incedere ipnotizzante, che crescevano e  crescevano fino a prendere forma: un maglione, un cappello, una  sciarpa.
Roba grezza, resistente, duratura, calda.
Intrisa di quelle pulsioni che ogni poeta freme al solo pensiero di riuscire a descrivere con i propri versi.

Mi avvicino a lui e lo  abbraccio da dietro, infilando il naso tra le scapole e le mani nelle  tasche del suo giaccone, riparandomi dal freddo e dai dubbi,  crogiolandomi in questa perenne sensazione di essere davvero a casa,  quando sono vicino a lui.
Andrea non si scompone, non si volta, non  mi parla, fa sempre così, lui: è tutto d'un pezzo. Continua a guardare  il cielo terso cercando non so quali segreti, ché oggi, azzurro com'è,  non c'è niente che si possa celare alla sua vista.

"Hai tardato un po'."
Mi stringo nelle spalle. "Colpa del giudizio universale della metro."
Si volta con lo sguardo divertito e un mezzo sorriso. "Il giudizio universale della metro?"
"Oh  sì, proprio lui. Sai, la metro vede, la metro sa. Se ti sei comportato  bene fino al momento in cui arriva il treno allora potrai salirci senza  problemi; se invece hai compiuto qualche malfatta allora troverai un  muro di gente a bloccarti l'ingresso, un tempo d'attesa infinito o il  treno che parte non appena hai messo piede in stazione, anche se hai  corso per le scale mobili. È un giudizio che va quasi oltre il divino."
"Chi te l'ha raccontato?"
"Mio  padre. Cercava di convincermi i tutti i modi di comportarmi bene ogni  volta che ci dovevamo spostare utilizzando la metropolitana."
"E  cos'hai fatto tu di sbagliato oggi, piccola Bea?" Si avvicina piano alle  mie labbra. "Hai per caso formulato pensieri impuri sulla mia persona?"

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now