4. 📍Pierrot Le Fou

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2010

Se fossi bella, ricca e famosa, adesso sarei seduta in un locale di lusso a sorseggiare un costoso cocktail trasparente, con dentro un'oliva verde, mentre accavallo le gambe, avvolta in un trench beige, sorridendo a un uomo misterioso e affascinante che decide per me cosa prendere dal menù, cercando abilmente di conquistarmi.
Invece sono tarchiatella, povera e anonima e mi merito solo un Polaroid al Pierrot Le Fou, servito su un appiccicaticcio bancone, mentre per l'ennesima volta ho indossato l'outfit inadatto (un vestitino corto e scarpe con qualche cm di tacco in uno sciallo winebar del Pigneto, Beatrice? Davvero?).
Oh, e il tipo che ho di fronte, quello con una camicia a quadri chiazzata dall'alcool, palesemente ubriaco, tenta di farmi l'occhiolino da dieci minuti mentre sorride in maniera sbilenca.
Ripeto: davvero, Beatrice?

Sbuffando, do le spalle al bancone e mi ci appoggio con i gomiti, lasciando che lo sguardo spazi tra le accoglienti mura blu del locale e i contrasti che creano con i divani Chesterfield in pelle marrone. Le luci soffuse, che sbucano da paralumi beige sparsi un po' ovunque, accarezzano i volti della gente, i libri sparsi negli scaffali incassati nel muro e i ritratti e le foto di paesaggi che, come costellazioni, punteggiano le mura di tutto il locale.

Intanto Noemi, accanto a me, ondeggia con la testa a ritmo di musica. I lunghi capelli castani, che ricadono in ingarbugliati ricci sulle sue spalle, si muovono seguendo le note, mentre, con la faccia rivolta verso il soffitto e gli occhi chiusi, sembra investita dalla melodia come da un tiepido sole e sul viso è stampata la stessa espressione soddisfatta che si riserva ai primi caldi raggi di maggio.

«Ricordami perché siamo qui.» Interrompo il suo dondolio con un tono lamentoso.
«Oh, come sei noiosa», alza gli occhi al cielo. «È il compleanno di Dario e siamo tutti qui riuniti a festeggiarlo. Animo Bea, animo, non fare quella smorfia! È un compleanno, mica un funerale. Si può sapere che ti prende?»
Cerco di reprimere l'ennesima smorfia che mi si palesa sul volto. L'origine del mio disagio è Carlo. Ci sentiamo da alcune settimane, lui è perfetto, galante, fa di tutto per vedermi, fino a convincere l'intero gruppo di amici a spostarsi dove sono io.
Lui non sbaglia nulla.
Il problema sono io.

Okay, okay, so che è in cima alla classifica dei clichè degli ultimi vent'anni, "il problema non sei tu, sono io", ma è davvero così. Ci siamo baciati un paio di volte e ho aspettato di sentire le famose farfalle scatenarsi imbizzarrite al contatto con le sue labbra. E invece niente.
Nemmeno un paio di farfalle che hanno smarrito la via e sono lì per caso.
Nemmeno un baco da seta che ballonzola pigramente sbatacchiandosi sulle pareti dello stomaco.
Solo labbra, pellicine screpolate, saliva e movimenti stereotipati.

E temo di sapere il motivo. Ogni mio pensiero è costantemente rivolto a un donnaiolo col naso a patata e la voce di velluto, che, prima il danno e poi la beffa, non mi si fila neanche per sbaglio.

Scrollo le spalle e continuo a sorseggiare rumorosamente il cocktail.

Quando qualche manciata di minuti dopo fanno il loro ingresso i ragazzi, vedo subito Carlo dirigersi verso di me con un sorriso enorme. Dirotto il suo bacio sulla mia guancia e mi fiondo a fare gli auguri al festeggiato, mentre il disagio mi avvolge come un guanto; vedo Carlo oltre le spalle di Dario, che mi osserva con quello sguardo tra l'adorante, il supplicante e il dispiaciuto. E il cocktail che sto bevendo diventa vischioso e difficile da mandare giù, il sapore del succo di mela che risale su e giù per l'esofago.

«Ladies and gentlemen, vi abbraccio tutti calorosamente e vi invito a fare un caloroso applauso ad Anna e i suoi musicisti!» Un presentatore improvvisato in t-shirt bianca e pantaloni coi risvoltini si allontana dal palco improvvisato - un paio di sgabelli e un supporto per microfono e spartiti - e si avvicina al bancone, mentre Carlo mi abbraccia da dietro. La folla applaude di fronte alle sagome dei componenti della band che si stagliano nella penombra.
Il suo sussurro nel mio orecchio è quasi impercettibile. «Questa è la notte, Beatrice.»
Mi scosto appena e non riuscendo a reprimere una smorfia trangugio un altro sorso di mela e disagio.

Nel silenzio generale, riconosco il giro di note di chitarra, familiare come una carezza. Chiudo gli occhi, assaporando la musica, lasciando che mi entri dentro, sperando lenisca un po' l'inquietudine che provo ormai da giorni. Quando una ragazza con una voce angelica inizia a cantare, riapro gli occhi per godermi lo spettacolo.

E la vita inizia a prendersi gioco di me.

***

Superconsiglio il Pierrot Le Fou! 🙂
📍Via Macerata 58, Roma (Pigneto) 🍸

Superconsiglio il Pierrot Le Fou! 🙂📍Via Macerata 58, Roma (Pigneto) 🍸

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Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now