25. Mi fai stare bene

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«Paulo - rimase sbigottita da quella domanda improvvisa - Io… io non credo...»

«Tienes que hacer algo?»

Doveva fare qualcosa?
La verità era che non aveva proprio un bel niente da fare, fino alle quattro - ora in cui si doveva incontrare con Nicola, in centro - era completamente libera.

«No.»

«Allora? Andiamo - insistettè - Dopo también Gonzalo llega. Mangiamo qualcosa, ormai non riusciamo più a pranzare senza di te» le sorrise e qualcosa dentro ad Alice si sciolse, portandola a ricambiare il sorriso al ragazzo.

Alzò gli occhi al cielo e «Va bene, andiamo» cedette.

Il sorriso di Paulo si allargò, e non sorrideva solo con la bocca, anche i suoi occhi sorridevano, scintillando come due diamanti, meravigliosi.
Fece scivolare la mano in quella di Alice e «Andiamo» asserì, facendole strada verso la sua macchina.

Appena erano arrivati all'auto - una Maserati nera - Alice si stava già pentendo di aver accettato, ma non appena si fu seduta sul sedile Paulo aveva cominciato a parlare e a farla ridere e, come sempre, era riuscito a metterla a sui agio senza nemmeno sforzarsi più di tanto.

***

«Prego» la invitò ad entrare aprendo la porta del suo appartamento, al terzo piano di Palazzo San Carlo.

Alice gli scoccò un'occhiata prima di entrare e iniziare a guardarsi attorno, curiosa.
Quello era il suo mondo, quella era casa sua, il posto dove tornava stanco dopo allenamento o dopo una partita, il posto in cui stava con i suoi amici, il posto in cui dormiva, il posto in cui era semplicemente Paulo, non Dybala, non il calciatore della Juve, ma un normalissimo ragazzo di ventiquattro anni.
E, doveva ammetterlo, quel ragazzo le piaceva, le piaceva perché si era dimostrato ben altro rispetto a quello che si poteva cogliere dallo schermo del televisore.

Paulo si tolse il giubbotto e lo lasciò assieme al capellino - di cui si era liberato non appena aveva messo piede in auto - sull'attaccapanni dietro la porta e Alice lo imitò, porgendogli sciarpa e cappotto.

«Vuoi fare un giro?» le chiese, dopo aver fatto scivolare il mazzo di chiavi sul mobiletto accanto alla porta.

«Ok.»

L'appartamento era veramente enorme e agli occhi di Alice diventava ancor più grande se pensava che a vivere lì dentro era una persona sola.

Seguì Paulo verso la sua camera da letto, cercando di nascondere il disagio che sentiva addosso in quel momento.
La porta era già aperta, ma non osò metterci piedi, rimase sulla soglia, facendo vagare lo sguardo all'interno.

Si girò verso Paulo - accorgendosi che lui già la guardava -, stava per chiedergli ironicamente se su quel letto così grande ci dormisse da solo, ma si fermò in tempo, rendendosi conto all'ultimo di quanto quella domanda era maliziosa.

«Qué?» domandò lui, accorgendosi che c'era qualcosa che le stava passando per la mente.

«Niente» sorrise lei.

«Vieni, torniamo in salotto.»

Alice prese posto sul divano nero, davanti al televisore al plasma che era attaccato alla parete.

«Vuoi qualcosa da bere?» le chiese Paulo, da perfetto padrone di casa.

«No, ti ringrazio.»

Andò a collegare il telefono allo stereo e fece partire la playlist con le canzoni che ascoltava nell'ultimo periodo, iniziando da Échame la culpa, poi prese posto sul divano accanto alla ragazza.
Non appena le prime note della canzone spagnola cominciarono ad invadere la stanza, riconoscendola, Alice gli sorrise complice.

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now