Capitolo 38. Il gioco. (parte 2)

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Quegli occhi gelidi non lasciavano trapelare alcun tipo di emozione e non sapevo che cosa aspettarmi.
Tutto quel mistero mi eccitava moltissimo, avevo il battito cardiaco così accelerato che avevo iniziato a respirare profondamente .
Pensai e ripensai alle ultime rivelazioni sul suo conto, alla sua lunga permanenza in quel posto e alla sua malattia, ma cosa avevo da perdere?
Non riuscivo a preoccuparmi realmente di quella situazione. Cosa avevo da perdere?

<Ho bisogno di una tipa sveglia come te. Ho bisogno di una complice.>
<Ho un prezzo Tack...come pensi di ripagarmi?!>
Il mio sorriso beffardo accese in lui una scintilla che vidi brillare nelle sue iridi, come fuoco che arde la legna.
Aveva trovato pane per i suoi denti e quel momento congelò l'inizio delle sue avventure.
<La libertà...questo è il tuo prezzo.>
In quelle parole sigillai un patto.
Accettai all'istante, dovevamo scappare via da quel posto e l'idea di ritornare a vivere nel mondo fuori da quell'inferno iniziò a farsi strada dentro di me.
Riuscivo già ad assaporare il gusto fresco e dolce della libertà, il suo odore di pulito inebriava le mie narici. Avrei fatto di tutto per uscire da quel inferno.
<Avanti, spara Tack. Qual è il piano?!>

Quando feci ritorno alla mia "cella" le parole di Tack continuavano a risuonarmi in testa.
Tagliare la corda, scappare insieme, libertà.
Non avevo più nulla che potesse fermarmi, più ci pensavo e più ero decisa a farlo.
Il piano era semplice, ma ci starebbe voluto molto tempo prima di riuscire a compiere la fuga.
La prima cosa da fare era non dare nell'occhio ed agire di soppiatto.
Mi sdraiai supina sul quel letto scomodo come una panca di legno e girando gli occhi notai sul mio comodino il solito bicchierino pieno di pillolette da prendere.
Il primo passo verso la libertà era secondo il mio punto di vista, smettere d'ingerire quella merda.
La mia situazione si era aggravata dopo l'entrata in quel postaccio e la mia convinzione era che le medicine erano le principali colpevoli.
Afferrai quel bicchierino e lo riversai nella tazza del cesso, quando tirai lo sciacquone una parte di me si sentì più vicina al mio obiettivo finale, l'altra invece pregò che tutto alla fine fosse servito a qualcosa.
Dopo la mia ultima crisi, avevo paura di sprofondare di nuovo nel buio e da quando ero lì l'oscurità era il mio peggior incubo.

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