Capitolo 28. Piccola Sam.

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Era passata già una settimana da quando avevo rimesso piede a New York.
Tutte le strade erano ricoperte di neve e il freddo sembrava aver ghiacciato anche il tempo tanto che passava lento.
Sam aveva convinto il signor Hank a riassumermi, forse aveva fatto ricorso alla stregoneria o a qualche rito vodoo, fatto sta che almeno fin quando non ci fosse stata la sentenza in tribunale sarei riuscita ad accumulare un po' di grana per pagarmi un avvocato nel caso in cui qualcosa sarebbe andato storto.
Lavoravo in quel bar da anni e non mi era mai apparso così squallido, avevo vissuto in così tanto sfarzo che adesso ogni luogo mi sembrava una catapecchia al confronto con i grandi saloni dell'Oblivion.
Al solo pensiero la mente mi riportò in quel posto. Non avevo ricevuto nessuna telefonata dal grande e potente direttore Lewis, non si era manco degnato di salutarmi. Quasi sicuramente la sua dottoressa gli aveva impedito di avere qualsiasi tipo di contatto con me.
Agli occhi di quella nobildonna, probabilmente,  ero apparsa come  una poco di buono, d'altronde l'ultima volta che mi aveva vista mi agitavo ansante sulle spalle di un biondino niente male.
Di certo l'apparenza inganna, ma come darle torto.
Fatto sta che un atteggiamento di accondiscendenza totale dal signor comandoioArthur non me lo sarei mai aspettato. Quanto é vero che il potere di una vagina cambia il mondo.
<Trouble! TROUBLE!>
Urlò sprezzante quel vecchiaccio rinsecchito, facendomi sussultare interrompendo ogni mio pensiero che ancora mi legava mentalmente a Las Vegas.
<Non ti ho assunta per guardare fuori dalla finestra, quel cliente al 9 aspetta la sua birra! Alza quelle chiappe!>
Con molta calma scesi dallo sgabello su cui ero seduta, presi il vassoio ed indifferentemente  feci schioccare la cicca tra I denti. Ogni mio movimento sembrava essere fatto al rallentatore, non mi importava più un cazzo delle lamentele di quello bisbetico.
<Corro!>
Risposi mostrando uno dei miei migliori sorrisetti cinici, volevo che si arrabbiasse iniziavo a provarci veramente gusto.

Quella mattina al bar ero sola, Sam da quando ero ritornata mi sembrava strana, come se mi nascondesse qualcosa.
Spesso era sfuggente e evitava di dirmi come aveva passato il suo tempo durante la mia assenza.
Sentivo che qualcosa non andava, ma probabilmente il mio senso di colpa per averla lasciata da sola, anche se pochi giorni, si manifestava con l'ansia che fosse successo qualcosa.
Mi risedetti al solito sgabello dietro al bancone, la noia di quel posto era deprimente e la vista di quel uomo seduto al tavolo che alle 10 del mattino era già alla sua terza birra rattristava ancora di più l'atmosfera.
Tutto intorno a me era statico e proprio non mi andava giù di ritornare ad essere la pezzente e banale cameriera di sempre.
Lì non era cambiato assolutamente niente: stessa gente, stessi tavoli, stessa musica.
Tutto era così...normale.
Eppure nella mia testa continuavo a rivivere il momento in cui qualche giorno prima ero tornata a casa.
Sam mi sorrideva a braccia aperte, ma quegli occhi che di solito brillavano come due fari di un auto, erano come spenti.
Dovevo indagare e rimettere apposto la situazione, forse era solo preoccupata, forse era solo un po' di tristezza passeggera, ma il mio istinto non voleva smetterla di darmi dei segnali.

<Turno lungo,ovvero senza spacchi!>
Puntualizzò l'acido Hank, quando protestai per andarmene quella sera.
Erano passate le undici avrei dovuto staccare un'ora prima, ma ero stata costretta a restare per aspettare che arrivasse il cambio.
Percorrevo quella strada buia e desolata a quell'ora a passo svelto.
Las Vegas era accesa di notte, la periferia di New York, invece, spesso era spenta anche di giorno, figuriamoci di notte.
Ogni passo era una fatica, I piedi affondavano nella neve gelida che me li bagnava tutti. Sicuramente da vecchia avrei avuto problemi seri di salute se non mi fossi decisa a comprarmi un paio di stivali nuovi.
Dopo qualche isolato finalmente raggiunsi casa.
<Gente! Sono a casa!>
<Heyyy, sorellona!>
Il piccolo Billy saltellava  dalla gioia ogni volta che mi vedeva da quando ero tornata, probabilmente la distanza era stata insopportabile per lui.
Provai a prenderlo in braccio ma ormai pesava troppo.
<Hey piccolo! Aspetta, ma... Sam?>
< É uscita! Esce spesso ultimamente...>
<Dov'è andata?>
<Non lo so, non sono riuscito a scoprirlo...>
Disse desolato il mio piccolo investigatore.
Quello era un ennesimo sospetto, l'ennesimo segnale che c'era qualcosa di strano. Sam non sarebbe mai uscita a quest'ora lasciando Billy da solo. Chissà se durante la mia assenza lo aveva fatto spesso. Al solo pensiero cresceva in me un'insana rabbia. La situazione iniziava ad essermi chiara: probabilmente la piccola Sam aveva conosciuto qualche bel fusto che se la sbatteva per benino e lei da buona puritana del cazzo qual era non lo diceva.
Tanto l'avrei scoperto comunque, ci sarei riuscita sicuramente.

All'una a casa tutto taceva.
L'unica luce che illuminava fievole l'ambiente era quella di una lampada poggiata sul comodino.
Billy dormiva tranquillo ed io stesa al suo fianco con la sua testa sul mio petto non riuscivo a chiudere occhio.
Accarezzavo quei capelli setosi e morbidi mentre fissavo un punto fisso nell'aria.
Non ero mai stata un tipo apprensivo, ma non so perché il fatto che Sam non fosse ancora tornata non mi faceva stare tranquilla.
Avrei dovuto essere felice per lei finalmente se la spassava, dopo tutto quello che aveva passato con quel pezzo di merda di Travor.
Avrei dovuto essere curiosa di sapere e non desiderosa di vederla per proteggerla.
Avevo paura, paura di perderla.

Quegli occhi, erano diventati un tormento per me.
Ero sicura ormai, qualcosa non andava.

Avevo chiuso gli occhi solo per un attimo e quando mi svegliai di soprassalto dalla vibrazione del telefono, l'orologio digitale sulla parete di fronte segnava già le sei e quarantacinque.
Mi precipitai per rispondere a quel contatto sconosciuto. La preoccupazione per Sam cresceva e tirai un respiro profondo per darmi coraggio, prima di schiacciare il verde.
<Pronto?!>
<Mi scusi parlo con la signorina Hallen?>
<Sono io.>
<É il St.Jhon Hospital, lei era tra i contatti più frequenti di Samantha Clarkson, stiamo cercando di avvisare tutti...>
<Oh mio Dio, cosa succede? Sam sta bene?>
Mi alzai di scatto, il cuore batteva così forte che per un attimo temetti di stare per avere un infarto.
<Non so come dirglielo, mi dispiace davvero tanto, ma sarà meglio che accerta la situazione da vicino...>
< Mi scusi, credo di non capire...>
Lacrime calde iniziarono a scendere a fiumi sulle mie guance.
<Signorina, Samantha soffriva di depressione? Ha notato qualcosa di strano ultimamente?>.
<Soffriva? Ma cosa dice? Sam é la ragazza più solare che io conosca, lei é vita...>
<Lo so che é difficile d'accettare, ma la signorina Clarkson... é morta...>
<Cosa?!>
<Mi...dispiace.>
Il telefono mi cadde dalle mani.
Morta? Cosa cazzo stava dicendo?
Crollai sulle ginocchia le gambe non avevano retto alla notizia.
Billy che nel frattempo si era svegliato, mi guardava con gli occhi spalancati ed impauriti, non riuscendo a capire cosa fosse successo.
La mia Sammy non c'era più.
Ma perché?
Non potevo crederci, non volevo crederci.
Non l'avrei più rivista, non avrei più potuto abbracciarla, proteggerla ed amarla.
La mia dolce Sam mi aveva lasciato senza nemmeno parlarmi e mai come in quel momento nella vita, desiderai di morire anch'io.
Non potevo affrontare tutto quello, non potevo vivere col rimpianto di non aver capito quello che stava passando.
<Non é possibile!>
Continuavo a ripetermi ad alta voce.
Non era possobile, ma purtroppo non stavo sognando.
Era tutto vero.

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