Capitolo 32. Leyla.

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Svenire davanti a tutta quella gente mi aveva fatto sprofondare dalla vergogna.
Quando aprii gli occhi mi sentivo ancora tutta stordita.
Ero sdraiata su un divanetto di pelle color ciliegia mai visto prima di quel momento, non sapevo manco dove mi trovassi.
Mi alzai piano piano, facendo attenzione a non farmi venire capogiri, mi sentivo una pezza.
Guardai fuori dalla finestra era ancora giorno, i raggi del sole illuminavano quella stanza spoglia con le pareti bianche.
Dalla scrivania di legno pesante e da alcuni quadri infissi alle pareti, avevo dedotto che probabilmente mi trovavo in uno degli uffici del tribunale.
Indossai di nuovo le scarpe e mi alzai, feci qualche passo verso la porta e questa si aprì. Stava entrando Jerry.
<Trouble, che fai ti alzi? Come ti senti?>
Accorse verso di me e cercò di sostenermi per un braccio.
<Sto bene, lasciami...>
Risposi sprezzante, non mi andavano tutte quelle moine.
<Vuoi un caffè, dell'acqua?>
<Voglio andare via...>
Risposi accomodandomi su una delle sedie di legno disposte davanti la scrivania.
<Non possiamo non ancora...>
<Che devo firmare? Forza, sbrighiamoci...>
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di non guardarlo negli occhi per evitare che lui vedesse le lacrime che stavo cercando di trattenere.
< Trouble ho chiesto l'affido di Billy!>
<Cosa?!>
Sgranai gli occhi e rimasi a fissarlo a bocca aperta. Perché? Perché si stava assumendo quella responsabilità?
Che cosa voleva in cambio?
<Ho pensato che per lui qualsiasi luogo sarebbe stato meglio di quell'istituto e poi...>
Fermò le parole a mezz'aria. Lessi il timore nei suoi occhi aveva paura di pronunciarsi.
<E poi, ho promesso a tua madre che avrei dovuto tirarti fuori dai guai...>
<Cristo santo, Jerry! Mia madre? Se è così brava a non creare disagi, perché non lo prende lei in affido suo figlio come dovrebbe essere. Io l'ho cresciuto come se fosse il mio di figlio è venuto su meglio di chiunque altro. E poi mia madre se ne esce che uno sconosciuto dovrebbe pararmi il culo... Dimmi un po' cosa ti ha promesso?
Sai lei non è in grado di mantenere relazioni stabili è una troia di lusso...>
Ero furiosa. Furiosa con mia madre, ma in primis con me stessa. Le avevo dimostrato che le sue teorie erano esatte: ero un disastro.
<Trouble, lei non ha criticato quello che hai fatto per tuo fratello, non avrebbe mai potuto farlo. Voleva solo che io ti stessi vicino...>
<E chi cazzo sei tu? Il buon samaritano?>
Poggiai le gambe sull'altra sedia affianco alla mia e mi accesi una sigaretta.
<Sono...sono tuo padre!>
Cacciò quelle parole come se stesse per sganciare una bomba che sapeva fosse esplosa, provocando più morti che feriti.
<Si e dimmi, cos'altro ti ha fatto credere quella puttana?>
Cosa più assurda non avrei mai potuto sentire. Chissà quante altre stronzate gli avrebbe raccontato pur di spillargli soldi.
<È la verità...>
Lo guardai fisso negli occhi e capii che stava per raccontarmi qualcosa che io avrei dovuto sapere e che in realtà mi era stata nascosta da tempo.
<Quando tua madre rimase incinta, io ero dentro. Eravamo giovani, stupidi. Io ero stupido... Le dissi che per me poteva farne quello che voleva del bambino, che quando fossi uscito non avrei potuto mantenerla.
La lasciai sapendo che tua madre non aveva alcuna famiglia.>
<Mi stai raccontando cazzate, non è possibile...>
<È vero, è vero tutto. Ho sbagliato, ma io mi sono sempre interessato a te anche se da lontano. Ho pregato tua madre più volte di vederti, ma non ha mai voluto e dato che non porti nemmeno il mio cognome ho dovuto guardarti crescere da lontano.>
Ero sconvolta.
Mi scostai i capelli dal viso e rimasi in silenzio senza dire una parola.
<Parlami...>
M'implorò mentre si avvicinava a me.
Mi alzai ed ad ogni suo passo verso di me le budella mi si scioglievano.
Ero rimasta pietrificata al tal punto che mi cadde dalle labbra la sigaretta.
<Ti prego perdonami...>
Mi accarezzò la testa e scese lungo la guancia. Avevo sempre avuto bisogno di lui ed averlo lì finalmente davanti a me mi risollevò l'anima.
Mio padre. Jerry era mio padre.
Eppure guardando quegli occhi mi chiesi come mai fino a quel momento non avevo capito nulla.
Il suo odore aveva sempre risvegliato qualcosa dentro di me, un ricordo rimasto sepolto nei meandri della mia anima.
Avevo così desiderato di avere un padre, avevo sempre immaginato da piccola che qualcuno potesse darmi una carezza come quella che stavo ricevendo in quel momento.
Chiusi gli occhi e mi godetti a pieno la sensazione di sollievo che stavo provando in quel momento.
Mi sentivo protetta, al sicuro con mio padre.
Sentii le sue braccia cingermi il collo e spingermi la testa contro il suo petto.
Non mi sarei mai ribellata a quell'abbraccio non avrei mai potuto farlo.
Per quanti anni avevo desiderato quel momento e finalmente era arrivato.
Aprii gli occhi per un istante per guardare meglio quelle mani grandi che mi accarezzavano le spalle e poi notai il tatuaggio sul petto che la camicia aperta trapelava.
Mi asciugai gli occhi con i palmi delle mani e mi staccai da lui.
<Fammi guardare il tatuaggio...>
Mi guardò dritto negli occhi e mi sorrise.
<Sapevo che l'avevi notato, dal primo momento che ti ho visto ho capito che eri una sveglia!>
Si sbottonò di altri due bottoni la camicia di lino bianca e lasciò scoperto il petto.
"LEYLA", una parola, il mio nome.

*DLIN DLON*
Il capitolo è breve ma molto intenso, spero vi piaccia...
Buona lettura e Buonanotte care lettrici <3

Trouble.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora