Capitolo 21.Un brutto 'guaio'.

1.3K 90 32
                                    

L'ebrezza dell'alcool si era praticamente impadronita di me.
Mi alzai da terra barcollante, adesso non rispondevo più delle mie azioni.
Mi avvicinai alla grande parete di vetro e col rossetto che avevo sul mobile vicino al letto scrissi un grosso "FOTTITI" a caratteri cubitali, volevo che la gente da fuori riuscisse a vederlo, ma era praticamente impossibile da quell'altezza.
Continuai a bere dalla bottiglia il liquido che mi bruciava la gola.
Ad ogni sorso sentivo il bisogno di combinarne un'altra delle mie.
La mano ferita si era liberata dall'asciugamano di spugna bianco in cui era stata avvolta.
Rivoli di sangue scendevano abbondanti macchiando la moquette ed i piedi che lasciavano impronte da per tutto.
Il bagno sembrava essere la scena di un film horror con lo specchio rotto e la jacuzzi piena di acqua sporca.
Tutta la stanza era avvolta nella devastazione più totale.
Avevo tirato i cassetti completamente dal mobile di fianco al letto e buttati contro il muro che in alcune parti frantumato.
Vestiti e residui di cibo erano sparsi da per tutto e il vassoio era ancora intatto sul pavimento, non mangiavo da due giorni.
La bottiglia che avevo tra le mani subito finì e presa da una strana sete, che avrebbe appianato la mia sofferenza, ne aprii un'altra, la terza.
Stavo così male che sentivo lo stomaco contorcersi dal dolore, ma ero una furia che non poteva essere frenata.
Non ero più in grado di controllare le mie azioni e senza pensarci troppo mi scagliai contro la porta, che Arthur aveva fatto chiudere.
Volevo sapere che cosa nascondeva lì dentro o semplicemente non avevo alcuna ragione per farlo, ma soltanto la voglia di procurargli quanto più danni possibili.

Sfondai la maniglia della serratura a furia di calci e cazzotti e dopo un po' di sacrificio riuscii ad aprirla.
La delusione fu enorme quando scoprii che quella stanza misteriosa non era altro che la sua cabina armadio, ma non mi lasciai prendere dallo sconforto.
Iniziai a provare tutti i suoi vestiti, ma alla fine rimasi nuda con solo in dosso la sua giacca.
Non riuscivo più a pensare, l'alcool aveva appannato tutti i miei sensi e soprattutto la capacità di intendere e di volere.
Sentii che la testa stava per scoppiare, un capogiro violentissimo mi fece cadere a faccia a terra.
Cercai di reggermi allo scaffale coi vestiti lì vicino, ma invece di aiutarmi me lo trascinai con me, finendo così sepolta dal mobile e da una montagna di vestiti.
Per fortuna quell'ammasso di abiti ammortizzò il peso di quel pesante oggetto, evitandomi di morire schiacciata all'istante.
Non avevo neppure la forza di chiamare aiuto, tanto non sarebbe servito a niente, chi mi avrebbe ritrovata chiusa in un armadio in un angolo sepolta dai vestiti?!
Sentivo il sangue caldo uscirmi da una sopracciglia oltre che dalla mano, evidentemente l'urto forte col pavimento mi aveva provocato un piccolo trauma.
Mi portai le ginocchia al petto e mi rannicchiai su me stessa.
Non riuscivo più a tenere gli occhi aperti e così li chiusi e persi in poco tempo conoscenza.

<Leyla... che cazzo hai fatto???>
Sentii una voce pronunciare il mio nome.
Ero così debole che non riuscii a dire una parola, ne tantomeno a dare segni di vita.
Doveva essere un uomo. La sua voce era palesemente preoccupata.
Lo sentii accettarsi che fossi viva e mi prese in braccio.

Il suo profumo l'avrei riconosciuto tra milioni. Era Arthur.

Sentii la porta della cabina armadio aprirsi, non sapevo dove mi stesse portando, in quel momento mi fidavo di lui, ero così ridotta male che avrei fatto pena a chiunque.

La puzza di vomito e di whisky era così forte che mi prese di nuovo un conato. Sentii il rumore dell'acqua scorrere e battere sui vetri della doccia, evidentemente Arthur mi avrebbe fatto rinvenire in quel modo.

Sempre tenendo gli occhi chiusi immadiatamente avvertii l'acqua gelida bagnarmi tutta. Aprii subito gli occhi ed emisi un grido, era come se qualcuno mi stesse prendo a schiaffi.
Quel getto d'acqua fu così violento che all'istante mi vergognai di essere nuda in quelle condizioni davanti a lui.

<Ma che fai? Aiuto!!> 

Farfugliai a voce debole, cercando di rimettermi in piedi, ma ricascando subito dopo sulle ginocchia.

 <Shhhh!>

 Mi tappò la bocca con una mano e mi sostenne con l'altra reggendomi per i fianchi. Per aiutarmi  si bagnò tutto, ma non sembrò accorgesene, anzi.
Era così agitato che l'acqua gelata quasi lo placò.

Il suo corpo era stretto al mio, avrei voluto restare in quella posizione per sempre, avrei voluto morire in quel modo. 

<Sta calma, cazzo! Pazza Incosciente... Cos'hai fatto?>

Non riuscivo proprio a guardarlo negli occhi. Non lo sapevo neppure io cosa mi aveva preso.

Gli circondai il collo con le braccia e mi aggrappai a peso morto su di lui, scivolando sul velo dell'acqua. Lui non riuscì a mantenersi e cadde dietro di me.

La forte botta mi fece salire alla gola tutto l'alcool che avevo bevuto e vomitai di nuovo, mentre lui schifato cercò di tenermi ferma la testa.

Mi vergognavo profondamente e mi accasciai di nuovo su me stessa, tremando. Stavo per svenire.

<Io lo sapevo che saresti stato un guaio.>

Mi disse mentre mi riprendeva ancora una volta tra le sue braccia.

 <Si non sei il primo che me lo dice...>

Non volevo più essere quello che ero, non avevo più la forza per esserlo. Ero stanca, disperata, triste. Non ne potevo più.

Mi avvolse in un candido velo bianco, frizionandomi la schiena con le mani, per regalarmi un po' di calore; poi mi sollevò e poggiai la testa pesante tra la sua spalla ed il petto, trovando di nuovo un po' di pace.

 <Non sei poi così bastardo Lewis, grazie.>

Gli sussurrai all'orecchio dolcemente.

<Ascoltami bene Leyla... riesci a stare un attimo da sola?>

Anche lui sembrò calmarsi, il suo respiro era regolare adesso.

 <No, ti prego Arthur non te ne andare...>

Spalancai gli occhi e gli afferai un polso con tutta la forza che possedevo in quel momento. Non potevo lasciarlo andare via, non dopo tutto quello che aveva fatto per me.

<...Torno subito, te lo prometto...>> 

Mi adagiò sul pavimento e mi posò un tenero bacio sulla fronte, che arrivò dritto al mio cuore, rassicurandomi che sarebbe tornato subito.

Ripresi a tremare, la vista era appannata. Avevo la gola secca ed una voglia matta di scomparire dalla circolazione.

<Eccomi, piccola... Andiamo!>

Pochi secondi dopo e fu di ritorno, mi raccolse da terra dolcemente ed io chiusi gli occhi. Mi sentivo sicura adesso, la rabbia era passata lasciando il posto alla quiete.

Mi sistemò sul letto e mi rannicchiai su me stessa. 

Come il solito ero entrata all'improvviso ed invadente come un urgano nella vita di un estraneo, spazzando via tutto quello che trovavo sul mio cammino.

Mi piaceva pensare che ero invincibile, che sempre nella mia vita avrei potuto cavarmela da sola, ma non era così. Avevo nascosto dentro di me un'accozzaglia di sentimenti per troppo tempo, avevo dato per scontato quello che ero realmente. Avevo sottovalutato me stessa, non potevo più reggere quella vita, tanto d'arrivare ad aggrapparmi alla prima cosa vivente che mi era capitata davanti.
Per la prima volta avevo avuto l'esigenza di essere "salvata".

Ero profondamente addolorata e stanca di essere TROUBLE, da quel momento in poi mi sarei rivelata per quello che ero.
Leyla Jane Hallen.

Trouble.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora