Capitolo 25. MAI PIÙ.

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<Hey Leyla, che cosa c'è che non va oggi?>
Mi chiese Bob, il chitarrista che mi aveva dato l'attacco per partire già dieci volte ed non ero riuscita a prenderlo in tempo.
<A dire il vero ho bisogno di una pausa...>
<Che hai, stai male?>
<No, nulla. Un leggero vuoto allo stomaco...>
La verità era un'altra, avevo la testa da tutt'altra parte.
Non vedevo l'ora di tornare a casa mia.
Adesso in quel contesto, in quella realtà, sembrava che fossi fuori posto.
Mi sentivo un po' come una nomade che veniva attratta dal richiamo del vento e che non poteva fare altro che seguirlo.
Presi il giubbino poggiato allo schienale della sedia e velocemente uscii fuori dall'Auditorium.
Lasciai che la porta si chiudesse da sola e mi diressi all'uscita di emergenza.
La differenza di temperatura mi fece venire i brividi, ma sentivo che avevo bisogno di cambiare aria.
Restai qualche secondo immobile sulla soglia della porta ad osservare il panorama stupefacente che si mostrava davanti ai miei occhi.
Grattacieli alti fino a mezz'aria sembravano voler toccare il cielo, proprio come io avevo bisogno di raggiungere casa mia.
Lasciai che il vento mi scompigliasse i capelli e mi accomodai su un gradino della scala antincendio davanti a me.
Sentii tutti i muscoli rilassarsi ed automaticamente mi accesi una sigaretta, era un'azione così ordinaria, che la feci spontaneamente, senza pensarci.
L'aspirai a fondo e  lasciai che il fumo fuoriuscisse dalle narici, fluttuando e disperdendosi nell'atmosfera.
I deboli raggi del sole mi riscaldavano il volto e la mia mente non poteva fare a meno di pensare a quello che avevo lasciato a New York.
Presi il telefono e cercai tra la rubrica il numero di Sam e come per magia mi si posò davanti agli occhi quello di Michael.
Chissà forse una chiamata non sarebbe stata così assurda, forse lui non aspettava altro che sentire la mia voce.
Guardavo quelle cifre, come se fossero state per me la combinazione vincente alla lotteria. Mi sentii così stupida, ma tutto il fremito e l'eccitazione che provavo in quel momento mi fece capire che forse era la cosa giusta da fare, dopotutto non serve a nulla essere orgogliosi.
Pigiai il tasto verde della chiamata e pochi secondi dopo iniziò a bussare.
Il primo squillo, niente.
Mi alzai aggrappandomi alla ringhiera, sentivo di poter cascare sulle ginocchia da un momento all'altro.
Il secondo squillo, ancora niente e così fu per il terzo, il quarto.
Fin quando una voce dall'altro lato non rispose.
<PRONTO, LEYLA SEI TU?>
Era lui, agitato quasi quanto me e probabilmente con la stessa tremarella, che mi caratterizzava in quel momento.
Presi un respiro profondo, ero così agitata che le parole sembravano rimaste bloccate in gola.
Un groppo enorme stava per soffocarmi, ma due parole uscirono libere dalle mie labbra.
<Sono io.>
Silenzio. Tra di noi non c'era mai stato tutto quel silenzio.
Pensai che probabilmente le parole in quella circostanza non sarebbero servite a nulla. Lui sapeva perfettamente quanto lo amassi, sapeva che non ero il tipo da dimostrazioni e sapeva quanto mi era costata quella telefonata.
<Oh Leyla, non immagini quanto ho sperato che mi chiamassi...>
<Davvero?!>
Lo sapevo, in cuor mio avevo sempre saputo che lui non poteva essere complice di Jess. Gli avrei spiegato tutto, a quel punto sarei stata disposta anche a chiedergli scusa.
<Si io credevo che fossi arrabbiata.
Mi capisci vero?! Io non ho potuto evitare che Jess ti denunciasse, ho dovuto acconsentire. Ha capito tutto e mi ha minacciato che l'avrebbe detto a suo padre.
Sarebbe stata la fine per me.
Hey Leyla, ci sei?!>
La mia testa si resettò all'istante.
La rabbia era così tanta da impedirmi di muovermi. Mi ero bloccata completamente.
Avrei voluto inveire contro di lui.
Avrei voluto prenderlo a calci in culo e fargli capire quanto schifo mi facesse un pover uomo come lui. Con quelle parole aveva distrutto le mie speranze, che come grandi castelli di carte erano state spazzate via da quel vento gelido e devastatore.
Ma di chi cazzo mi ero innamorata?
Che pochezza era quel essere e che razza di deficiente ero stata.
Mi aveva fottuto, io Leyla Jane Hallen ci ero cascata e ci avevo creduto, veramente avevo pensato di poter essere felice.
Veramente mi ero illusa di esserci riuscita a cambiare me stessa, la mia vita ed addirittura il mio mondo.
<Certo Michael, ti capisco. Ed io che pensavo che in tutto questo casino, fossi tu la vittima.
Ringrazia Dio che quella sera, insieme alla tua auto non ti abbia spaccato la testa!
Addio Michael, ci vediamo in tribunale!>
Gli gridai a telefono.
Ero distrutta, mi accasciai a terra presa dallo sconforto più totale.
Sentivo una stretta stringersi intorno al mio collo. Qualcosa mi opprimeva a tal punto da togliermi il respiro.
L'affanno e la mia ansia crescevano sempre di più.
Gattonando debolmente arrivai alla porta e stanca e senza forze mi sdraiai per terra.
Sembrava che potessi morire da un momento all'altro.
Sentii il viso bagnarsi, ma certo, stavo piangendo.
Grosse gocce d'acqua miscelate alla polvere nera dell'ombretto solcavano le mie guance ed ogni riga formata sul mio volto aveva un prezzo, un prezzo molto caro, il prezzo di chi nella vita ha dato tanto senza ricevere nulla.
Avevo bisogno di gettare via tutto, dovevo farmene una ragione.
Mi sentivo una stupida ragazzina abbattuta alla prima difficoltà amorosa.
Io avevo altre cose a cui pensare e di certo non doveva essere Michael il tarlo che opprimeva la mia coscienza, ma quella delusione risultò essere più dolorosa del previsto.
Per la prima volta avevo conosciuto il significato vero delle parole " soffrire per amore" e mi sembrò talmente strano e sconvolgente, come un bambino scopre per la prima volta il calore del fuoco, che fino a quel momento gli era sembrato attraente ed affascinante.
Restai qualche altro secondo in silenzio a guardare quel cielo che non mi sembrava più lo stesso e con tutte le mie forze mi rimisi in piedi.
" Basta!" Ripetetti a me stessa.
Non mi riconoscevo più, ero così patetica da vergognarmi di me stessa.
Mi asciugai le lacrime con la manica del giubbotto e rientrai all'interno del edificio.
Ripercorrevo quel corridoio immersa nei miei pensieri.
Sarei andata avanti come avevo sempre fatto e sarei riuscita ad affrontare tutto quello che mi attendeva sulla mia strada. 
"Bentornata Trouble!"
Dissi a me stessa. La cara e dolce Leyla lasciava di nuovo il posto alla sciagura, al disastro, alla terribile e bastarda Trouble e mai più avrei lasciato che la mia fragilità uscisse ancora una volta fuori.
MAI PIÙ.

*DRIN DRIN* SPAZIO AUTRICE!
BUONASERA A TUTTE CARE LETTRICI, INNANZITUTTO MI SCUSO CON TUTTE VOI PER IL MIO TARDIVO AGGIORNAMENTO, MA HO AVUTO NUMEROSI PROBLEMI FAMILIARI, CHE NON MI HANNO PERMESSO DI CONTINUARE A SCRIVERE.
INOLTRE, VOLEVO ANCORA UNA VOLTA RINGRAZIARVI PER L'AFFETTO E L'AMORE CHE MI TRASMETTETE OGNI GIORNO E VI PROMETTO CHE CONTINUERÒ A LAVORARE E A NON DELUDERVI MAI.
COME SEMPRE VI AUGURO UNA BUONA LETTURA ED ANCHE SE LO MERITO POCO, LASCIATEMI UNA STELLINA OD UN COMMENTO...
ANCORA GRAZIE, BUONANOTTE <3

Trouble.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora