Capitolo 36. Tack. Parte uno.

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Quando tocchi il fondo, quando lo tocchi completamente, non riesci ad alzarti subito.
Resti lì sdraiata per un po' per capire, per progettare, per renderti conto.
In quel momento io ero rimasta lì, in stasi, in cerca di una forza che mi avesse aiutata a prendere lo slancio necessario per risalire in superficie.
Tutto il mio malessere si era manifestato ed adesso dovevo prendermi del tempo che mi consentisse di avviare la mia fase di rinascita.
Mi ero chiusa in un silenzio tombale.
"Una reazione del tutto prevedibile", lo definì così il dottor Julius.
Io quel silenzio, lo considerai un tempo di riflessione.
Quando si pensa non si parla, pensare ad alta voce non faceva per me, per cui ero barricata nella mia mente.
Le giornate dopo la crisi erano tutte uguali.
I farmaci mi permettevano di restare lucida solo per poche ore al giorno.
Ero passata al reparto 1 di nuovo, sotto osservazione ed in isolamento.
La considerai una punizione da parte del mio medico per aver tradito la sua fiducia.
Nel primo pomeriggio mi faceva visita e restava al mio fianco, fin quando il sole non fosse rientrato.
Non mi avrebbe rivolto la parola se non avessi capito il terribile errore che avevo compiuto, fin quando non avessi implorato di avere bisogno di lui.
Una notte gridai così forte nel sonno che tutto il corridoio si svegliò.
Di giorno non dicevo una parola e di notte le mie urla disumane svegliavano l'intero padiglione.
Tremavo come una foglia, non per il freddo, ma perché i miei nervi erano completamente a pezzi.
Fu allora che chiesi disperatamente al dottor Julius di aiutarmi.
Fu in quel momento che arrivò la mia resa.

Quando tornai in semilibertà al reparto 3, ero felice di riavere qualche ora per me stessa, di essere circondata dalle mie cose e per le ore di visita pomeridiana.
Dopo settimane finalmente uscii in giardino. Mi sedetti sotto la mia cupoletta sulla solita panchina di marmo.
Respiravo a fondo l'aria fredda ed umida di febbraio. Tremavo, ma non mi importava, stavo bene, sopratutto perché con quella temperatura nessuno sarebbe uscito fuori.
Il cielo era coperto, si preannunciava un temporale eppure riuscivo già a sentire l'odore delle foglie bagnate e della pioggia che cadeva sul terreno già umido.
Non vedevo l'ora che piovesse.
Mi rannicchiai poggiando le spalle al muro e portandomi le ginocchia al petto.
Il calore dei miei respiri mi scaldava le gambe, avevo freddo, ma non sarei entrata per nessun motivo al mondo.
<Sta per piovere!>
Una voce alle mie spalle mi distolse dai miei pensieri.
Non mi voltai, non volevo intraprendere nessuna conversazione.
<Ho sentito che avevi fatto il voto del silenzio. Angelo. Però credevo che almeno con i vecchi amici potessi parlare!>
Tack, era lui.
<Non chiamarmi Angelo.>
Risposi seccata.
<Ah, eccola lì la mia ragazza!>
Si avvicinò sorridendo e si accomodò al mio fianco.
<Allora, che cosa facciamo? Aspettiamo la pioggia?>
<Non facciamo proprio niente. Io ero in contemplazione. Meditavo.>
Scoppiò a ridere. Era divertito.
<Dai, Angelo. Sapevo fossi una donna eterea, però di lì a prendere i voti.>
<Ti prego Tack smettila!>
Non mi andava di scherzare. Non mi andava di ridere, di ascoltare. Non mi andava di parlare.
Volevo il silenzio.
<Hey Trouble! Che cosa c'è che non va?>
Mi alzai in piedi di scatto. Desideravo solo andare via e riconquistare un po' di pace.
Mi sentii afferrare per il cappuccio della felpa e mi tirò verso di lui.
Le mie spalle toccarono bruscamente il suo petto e la mia schiena aderì al suo busto.
Con le sue braccia mi teneva ferma circondandomi i fianchi ed io non opposi resistenza a quella stretta.
<Non scappare Trouble, parla con me.>
Mi sussurrò lentamente. Il suo tono era così persuasivo che rimasi ipnotizzata.
Volevo restare tra le sue braccia.
<Non ho nulla da dirti.>
Improvvisai un tono seccato, ma dalla mia voce roca e bassa, trapelava tutt'altro
<Allora prova ad andare via, io non ti tengo stretta.>
Non feci nulla. Non volevo muovermi.
Piccole gocce toccarono il suolo e poi i nostri visi e la pelle scoperta.
Un tuono così forte mi fece sussultare, fu allora che lui mi abbracciò e mi coprì col suo corpo, come se volesse proteggermi dall'acqua o dall'inquietudine che aveva visto nei miei occhi.
Non dissi nulla, cercavo un po' di pace e l'avevo trovata.
La pioggia iniziò a scendere veloce e dopo pochi minuti eravamo bagnati fradici.
Mi ci volle tanta forza di volontà per staccarmi, avevo cento ragioni per non farlo e centouno per correre via ed allontanarmi.
La prima fra tutti era che non lo conoscevo e dato il frangente in cui ci trovavamo e il posto, non potevo di certo fidarmi.
Per non parlare dell'attrazione e dell'interesse che nutrivo nei suoi confronti, così forti da spaventarmi a morte.
Eravamo uno di fronte all'altro, lui era a metà tra l' essere confuso e divertito.
Mi guardava poggiato al lampione non curandosi della pioggia che batteva forte su di lui.
Avrei voluto dirgli qualcosa, ma per la prima volta nella mia vita ero rimasta a bocca asciutta.
Grondante di acqua, coi lunghi capelli attaccati al viso e quel sorriso ammiccante, era difficile farsi venire un'idea per allontanarsi.
A quel punto pensai di scappare via, non mi avrebbe trattenuta e tutto sarebbe finito.
<Il fatto é che non credo di potermi fidare di te...>
Gli confessai il mio problema. Ero in ballo e tanto valeva la pena dirgli tutto quello che pensavo di lui.
<Giusto, nemmeno io mi fiderei di me stesso. E poi?>
Era serio, maledettamente serio.
Non capivo come potesse cambiare stato d'animo da un momento all'altro.
<E poi... e poi non ti conosco.>
<Potresti farlo. Guardati intorno, cos'hai da perdere?>
Ed in effetti cosa mai poteva succedere?
Era tutto sotto controllo, che male mi avrebbe fatto scambiare quattro chiacchiere con lui?

Due ore dopo eravamo ancora lì, seduti sulla panchina a chiacchierare.

Quando ci allontanammo uno spiraglio di luce si era acceso dentro di me.
Poteva una persona che aveva sofferto tanto regalarmi dei momenti di pura spensieratezza?
Mi affacciai prima di entrare dalla portafinestra del braccio femminile. Era ancora lì sotto la cupola ad aspettare che rientrassi. Esitai prima di farlo, lui mi salutò con un gesto della mano ed io feci lo stesso.

Avevo freddo, ma nel cuore sembrò riaccendersi un piccolo fuocherello. Stavo forse per rinascere?

<Hallen, cosa ci fa bagnata fradicia?> sbraitò Susie, quando si accorse che stavo rientrando in quelle condizioni. Mi venne da sorridere.

< Ho fatto la doccia!> prenderla in giro era diventato il mio spasso quotidiano. Rientrai in camera mia, il pasto caldo arrivò con me. mi tolsi i vestiti bagnati e ne indossai altri ascutti. Mi legai i capelli ed andai a dare un'occhiata al cibo che mi avevano lasciato sul tavolo di legno vicino alla finestra. Zuppa e tacchino alle mandorle. Non avrei cenato nemmeno quella sera. Ormai il mio stomaco si ribellava a tutto.

Mi buttai sul letto sfinita. Chiusi gli occhi e dopo un po' iniziai a sognare.

"Corri Trouble, corri!"
Pensavo mentre continuavo a correre tra gli alberi da qualcosa che mi seguiva.
Qualcosa di pericoloso.
Stava per mancarmi il fiato e poi mi sentii afferrare.
Qualcosa o qualcuno mi aveva preso.
Le immagini del bosco in cui mi trovavo correvano veloci.
Non riuscivo a gridare sembrava che una mano immaginaria mi tappasse la bocca, fin quando quella figura non mi strattonò così violentemente da farmi sbattere con le spalle contro un tronco.
Era un sogno ma avvertii il dolore lancinante alle costole e alla testa che rimbalzò contro il legno.
Le sue mani percorrevano il mio corpo, sembravano fossero mille, visto che le percepivo da per tutto come se stesse perlustrando ogni centimetro della mia carne. Sentivo i respiri affannati di quel uomo che mi desiderava, voleva riempire il mio vuoto ed io iniziai a volerlo.
Non potevo toccarlo mi teneva ferma con le mani sopra la testa, mentre leccava e baciava la mia pelle liscia e fredda.
Mi resi conto solo in quel momento di indossare solo l'intimo.
Gemetti quando una sua mano entrò nelle mie mutande.
<Sei.Mia.> mi sussurrò quella voce, che io riconobbi subito. Nel buio.
Tack.

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