Capitolo 18. Ansia.

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Quando tornai nella stanza per iniziare a prepararmi, ero confusa, estremamente confusa.
Non riuscii a toccare cibo e il vassoio stracolmo di cose, che Ramon premurosamente mi aveva portato era ancora intatto.
Mi avvicinai al tavolino quadrato di vetro e mi versai un bicchiere di whisky liscio.
L'alcool bruciò nella mia gola e subito sentii i nervi rilassarsi, anche se mi sarebbero state d'aiuto due tranquillanti.
Una doccia mi avrebbe sicuramente schiarito le idee e così lasciai che l'acqua calda e rinvigorente mi avvolgesse tutta.
Mi preparai di fretta e furia e ancora coi capelli gocciolanti mi avviai ai camerini dove lì una squadra di make up artist e parrucchieri avrebbero curato il mio aspetto.
Il completo che avrei dovuto indossare era nero e si rifaceva al mio stile rock.
Quando misi le giarrettiere per poco non stavo per bucare la calza sottile nera con le unghie che nel frattempo erano diventate troppo lunghe per i miei gusti.
La gonna cortissima in tulle era una taglia in meno della mia, ma con santa pazienza riuscii a farmela entrare, evidentemente avevo perso qualche chilo.
Il pezzo forte però era il corpetto in stile godico, con la chiusura coi lacci in avanti.
La scollatura a cuore evidenziava il mio seno, facendolo sembrare più abbondante del dovuto e non mi dispiaceva affatto essere notata, adoravo essere al centro dell'attenzione.
Lo specchio rifletteva la mia immagine e quasi non mi riconobbi alla vista di quella splendida donna super sensuale e femminile.
Di certo non ero niente male ed ero convinta che alla mia vista non solo Ramon avesse perso la testa.

<Ha un viso d'angelo signorina...>
Disse ammaliato il truccatore, che per quanto fosse palesemente gay, sembrò incantarsi e quasi sconcertato, pensando forse di non aver mai visto una faccia bella come la mia prima di quel momento.

Sorrisi dolcemente e pensai che nonostante i miei tormenti  interiori, dovevo sembrare ancora apparentemente innocente.
Nessuno poteva sapere quanti demoni nascondessi dentro di me e di come ogni giorno mi logoravano dentro.
Mai avevo raccontato a qualcuno di quante volte avrei voluto scomparire dalla faccia della terra e mai mi sarei sognata di farlo.
In tutti quegli anni mi ero costruita una maschera di pietra, difficile da distruggere.
Trouble era forte per tutti, Trouble non dava peso alle parole, se ne fregava ed invece solo in apparenza era così.
Ne avevo abbastanza e in quel piccolo frangente di vita, in cui il parrucchiere mi aggiustava i miei ricci biondi e morbidi sulle spalle, ripromisi a me stessa di darmi una seconda possibilità e di cercare di chiudere col passato e di ricominciare.
Las Vegas mi avrebbe aiutato, ma in cuor mio sapevo che qualcosa avrebbe ostacolato i miei piani.
Cercavo di tenere lontani i pensieri negativi per evitare  una crisi di panico, in quel momento del tutto ingiustificata, ma ogni tanto ripiombavo nella mia proccupazione maggiore, la sentenza giuridica di Gennaio.
Avevo paura di non farcela, paura di perdere tutto.
Eppure durante il mio percorso, avevo imparato a gestire quel sentimento, ma davanti a quell'ostacolo mi sentivo impotente.
Avevo la bocca secca e le mani fredde.
Per quanto ne so tutti quei pensieri e l'emozione per l'esibizione avrebbero potuto anche provocarmi un collasso.
Mi alzai dalla sedia prendendo alla sprovvista il make up artist che stava completando la sua opera d'arte.
Avevo bisogno di fumare, presi le sigarette dal giubbotto di pelle attaccato alla sedia e non badando alle parole del ragazzo uscii fuori.
Percorsi il lungo corridoio a passo svelto e raggiunsi l'uscita di sicurezza.
Aria.
Una boccata di aria fresca invase i miei polmoni, sentivo la mia gola liberarsi da quel groppo che mi aveva quasi soffocato.
Mi posai la sigaretta al centro della bocca e l'accesi.
Aspirai profondamente il fumo e dopo qualche secondo intenso lo cacciai dalla bocca e dal naso.
Con esso cercai di mandare via anche l'ansia e così facendo sentii la mia testa pulsante rilassarsi.
Evidentemente mi sentivo sottopressione e l'attesa aumentava l'agitazione.
Arthur mi aveva riservato per ultima o perché riteneva che in questo modo avesse finito in bellezza, o perché sperava che la gente si divertisse prima di restare delusa.
Spensi la sigaretta sui gradini della scala antincendio e tornai dentro.
Le ballerine avvolte in quei costumi pieni di lustrini luccicanti, sghignazzavano eccitate prima di salire sul palco per esibirsi ed io non potei non pensare a quanto fossero vuote e prive di carattere, lasciando sul mio volto un'espressione di schifo mista allo stupore.

"Chissà se Arthur ha provato a testare anche loro, personalmente..."  pensai curiosa.

Da lontano vidi un uomo basso, che camminava velocemente verso di me.
<Leyla, eccoti dov'eri finita?>
Esclamò ad alta voce Ramon quasi col fiatone.
<,Tra un po' tocca a te!>
Adesso mi aveva raggiunto ed allargò le braccia non appena mi vide.
Evidentemente era stupito dalla mia bellezza.
<Allora, che te ne pare?>
Chiesi al nano che mi guardava con gli occhi sgranati ed interrompendo quell'instante imbarazzo.
<Sei bellissima tesoro. Una dea...>
Sorrisi, mi piaceva troppo la sua espressione buffa, mi faceva distogliere la mente dai miei soliti pensieri.
<Ci siamo, in bocca al lupo...>
Continuò accarezzandomi un braccio.
<Grazie Ramon. Ma toglimi la curiosità, Arthur dov'è?>
Mi scappò quella domanda inconsciamente, mi aspettavo di vederlo personalmente, dato l'esito delle prove.
<Ehmm, ha avuto un...un imprevisto!>
Balbettò indeciso il nano.
Era palese che stava fingendo, c'era qualcosa che puzzava, un altro segreto di Mr. Lewis che mi impediva di sapere la verità.
Salutai il nanetto stringendogli la mano ed entrai dietro le quinte del palcoscenico.
Il gruppo di ballerine uscirono sorridenti, avevano riscaldato il pubblico mostrando i loro sederi sodi e le loro tette rifatte.
Sbirciai fuori verso la sala, era pienissima.
Non mi sarei mai aspettata una folla così grande di gente.
L'emozione mi fece tremare le gambe e sentii il mio stomaco contorcersi.
Guardai  di nuovo tra i tavoli e poi lo vidi.
Arthur era nel suo privé gustandosi il suo whisky ed il suo sigaro cubano.
"Pensai che evidentemente non presentandosi dietro le quinte avesse voluto farsi desiderare, ma a me non fregava niente, anzi volevo stupirlo, vevo che lui s'inchinasse ai miei piedi .
Il pubblico applaudì ed io entrai in scena sicura di me, sedendomi al pianoforte.
Le luci si spensero, lasciandone una sola accesa su di me.
Chiusi gli occhi, respirai profondamente ed iniziai a suonare.
Entrai nel mio mondo.

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