Capitolo 8. Vulnerabile.

1.4K 84 17
                                    

Vi pregherei prima di leggere il capitolo di vedere il video. Questa canzone racchiude un po' il senso di tutta la storia e la cantante ricorda la grinta e lo spirito della protagonista.
Sentite la canzone ed immaginate!!
Buona lettura :-)


I pensieri divennero offuscati quando qualcosa mi colpì al centro del viso, così violentemente da farmi perdere l'equilibrio.
Per un attimo pensai di essermi schiantata contro un palo della luce, ma quella botta sembrava più simile ad un pugno.
Col naso che grondava sangue a non finire cercai di alzare la testa ed oltre a tutto quel rosso che ricopriva il mio viso, vidi la sagoma di quello che doveva essere un uomo.
Non riuscivo ad alzarmi da terra, il dolore era troppo forte e così il mio aggressore mi afferrò i capelli e mi trascinò in un vicoletto, tra i bidoni dell'immondizia.
Il naso mi faceva così male che non sentivo il dolore delle ciocche che si strappavano nelle sue mani.
Avrei voluto reagire, ma quella volta mi sentivo impotente, sola, fragile... una donna!
Nel vicolo, buio e desolato, avevo individuato altre tre persone, che sembravano aspettare il mio arrivo.
Subito pensai che quella era la lezione che mi aveva riservato Travor, l'ex di Sam.
Sicuramente mi avrebbero uccisa e poi buttata in un cassonetto e, chissà quando, avrebbero ritrovato il mio corpo putrefatto.
Il più grosso dei quattro, mi afferrò per le braccia e mi rimise in piedi poggiata al muro.
Mi sentivo una bambola di plastica nelle loro mani.
Le orecchie ovattate non mi permettevano di ascoltare a pieno quello che dicevano, sentivo solo le loro risate crudeli rimbombarmi nella testa.
La mia vista era offuscata, davanti ai miei occhi si distinguevano solo ombre che sembravano vagare senza sosta nel buio.
Sentii il rumore di una cintura ciondolare e capii che uno di loro si stava sbottonando i pantaloni.
<Adesso ti facciamo vedere a cosa servono le donne!!> esclamò sarcastico.
Sentii quattro mani che mi bloccavano le braccia, due a destra e due a sinistra.
Avrei voluto reagire a quella situazione, ma compresi che così facendo sarei morta prima.
Uno di loro mi strappò il top e mi sfilò brutalmente i pantaloni.
Avevo paura e mai come in quel momento desiderai con tutta me stessa di morire.
Perdere la dignità in quel modo, tutta la sofferenza che stavo per ricevere e tutto il dolore che avrei dovuto affrontare, mi facevano desiderare di venire assassinata, piuttosto che violentata.
Non sentivo più il battito del mio cuore, stavo per svenire e perdere i sensi.
<Bene "bambolina", no no, non devi svenire devi essere lucida!! James, prendi l'acqua!!> disse uno di loro.

"James", il mio cuore sprofondò al suono di quel nome.
Non poteva essere vero, non poteva essere stato lui a farmi tutto questo.
Sentii il ragazzo avvicinarsi a me e poi un getto d'acqua freddissima fu scaraventata brutalmente sul mio viso. Il liquido così freddo a contatto con quella temperatura, sotto zero, sembrò tagliuzzarmi la pelle come se centomila aghi mi avessero infilzato la faccia.
Spalancai gli occhi dal dolore, ma senza riuscire ad emettere alcun grido, si erano ghiacciate anche le parole.
Adesso ci vedevo meglio, mi guardai intorno e dietro quest'uomo così grande e grosso, intravidi James che non mi dava l'aria di essere uno così deciso a farmi tutto quel male.
Lo guardai fisso negli occhi con tutto il disprezzo che si può provare, poi mi feci forza sulle gambe e finalmente sentii che stavano di nuovo quasi per reggermi.
<Vogliamo vederti piangere, Trouble!> disse un altro con gli occhi che saettavano dalla cattiveria.
Senza perdere altro tempo, l'uomo di larga misura mi scaraventò per terra e gli altri tre m'immobilizzarono gambe e braccia per non farmi muovere.
Mi strappò le mutande e tirò fuori il suo membro.
Si mise a cavalcioni su di me e, mentre si stava avvicinando, lo colpii al centro del viso con l'unica cosa che avevo libera in quel momento: la testa.
La mia testata gli aveva rotto il naso sicuramente, eravamo pari.
Lo vidi gridare dal dolore ed offendermi con insulti che non avevo mai sentito.
<Jo, Jo! Stai bene?> corse verso di lui un uomo dai capelli bianchi e decisamente il più piccolo di stazza tra gli altri.
Non riuscii a capire cosa disse precisamente Jo, che si alzò da terra più infuriato di prima.
Si avvicinò a me veloce come un fulmine e, stava per colpirmi, quando sentii una macchina svoltare nel vialetto ed illuminarlo completamente coi fari che producevano una luce incandescente in tutta quell'oscurità.
Gli uomini rimasero imbambolati, come se non si aspettassero di vedere quel uomo che scese dall'auto indiavolato e che a grandi passi si diresse verso di loro.
<Che cazzo state facendo?> urlò rabbioso l'uomo.
<Capo, dovevamo un favore a James! Questa puttana si merita una punizione!> rispose ringhiando Jo.
<Credo che ne abbia avute abbastanza! Lasciatela stare!> ordinò subito il capo, che adesso riuscivo a vedere perfettamente, ma senza riuscire a riconoscere il suo volto, immerso per metà nel buio.
Era vestito in un elegante abito blu gessato, ma non portava la cravatta e dalla camicia sbottonata si riusciva ad intravedere sul petto un tatuaggio di quella che sembrava una scritta.
<Ma capo, ci ha visti in faccia!> replicò un altro.
<Non mi interessa, sono sicuro che la signorina non sporgerà denuncia, altrimenti provvederò io a farla fuori!> disse spietato.
Il mio cuore stava per scoppiarmi nel petto.
Chiusi gli occhi per cercare di trovare coraggio. Sentii tutti sparire piano piano nell'ombra e quando la macchina si allontanò, lasciandomi sola, mi sentii rincuorata e grata per essere ancora viva.
Il dolore e la paura erano così forti da farmi perdere i sensi e per un attimo ebbi l'impressione di essere circondata da milioni di occhi che guardavano felici della mia sconfitta.

Quando mi svegliai ero sdraiata su un letto morbido e caldo.
Non ero in ospedale, forse qualcuno mi aveva trovata lì a terra ricoperta di sangue.
Il naso era stato ripulito e sistemato, i tamponi che bloccavano il sangue erano tremendamente fastidiosi.
Indossavo una maglia da uomo grigia, lunga fino al ginocchio.
Mi alzai e mi guardai allo specchio appeso dietro alla porta.
Il mio viso era gonfio e pieno di lividi, il mio naso era una patacca e la mia bocca rotta giusto in mezzo.
I capelli arruffati e dolorante da per tutto.
La stanza in cui mi trovano era grande ed arredata egregiamente in modo moderno.
Una grande vetrata lasciava entrare i primi raggi del sole del mattino, che scaldavano la stanza.
Aprii la porta e partii all'ispezione del resto della casa.
Ero così curiosa di vedere chi era stata quell'anima buona che mi aveva salvato la vita.
La casa era grande a due piani, arredata in modo costoso e moderno.
Nel corridoio in cui si trovava la stanza dove io avevo dormito quella notte, c'erano altre quattro stanze da letto.
Scesi la scala in massello e mi addentrai nella stanza principale, il salotto.
Un grande lampadario in cristallo, dalla forma moderna, pendeva dal soffitto; due enormi divani bianchi erano posti al centro della stanza di fronte ad un camino color panna, sul quale erano disposte diverse foto; c'erano quadri sparsi da per tutto, costosissimi pezzi d'arredo e soprammobili di ogni genere; il tavolo con le sedie in legno verniciati dello stesso colore dei divani e su di esso c'era un enorme vaso cinese.
Tutta la casa sembrava ergersi nel verde e questo effetto era ampliato grazie alle grandi vetrate che circondavano l'enorme ed imponente villa.
Mi avvicinai al caminetto per scaldarmi ed una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare e di scatto mi girai.
<Si è svegliata signorina. Il mio padrone l'ha trovata priva di sensi. Si sente meglio?> mi chiese questa donna piccola, dai capelli riccioluti raccolti in uno di quei berretti che usano le colf.
<Sto bene, signora. Volevo ringraziare il suo padrone ed andare a casa.> risposi educatamente.
<L'ha mandata a chiamare. Venga la porto nel suo ufficio.> confermò la domestica.
Percorremmo il salone, una grande stanza da gioco ed infine arrivammo di fronte ad una porta, sempre in massello.
La cameriera bussò due volte sulla porta e una voce all'interno rispose.
Entrammo e mi ritrovai davanti un uomo seduto alla sua scrivania, perfettamente ordinato, in un abito grigio chiaro e la camicia leggermente sbottonata.
Mi sorrise e mi fece segno di entrare.
I suoi occhi blu erano penetranti ed i capelli brizzolati conferivano alla sua immagine un fascino ammaliante.
Non doveva essere molto vecchio, non superava la cinquantina d'anni, ma la sua bellezza era ancora distinta.
Mi accomodai su una delle comode poltroncine messe lì, davanti alla scrivania.
<Salve io sono Leyla e...>
Non ebbi il tempo d'iniziare a parlare e già fui interrotta.
<Non ti sforzare di parlare, io so chi sei Trouble. Io sono Jerry e sono quello che ti ha salvato la vita!>
<Non capisco, come fa a...> di nuovo mi fermò. Questa cosa mi dava ai nervi ed iniziai a spasientirmi.
<Le persone che ti hanno aggredito sono i miei scagnozzi, ho ordinato loro di non farti del male.>
Immediatamente i miei occhi scattarono sul suo petto e notai subito l'inizio del tatuaggio che avevo visto la notte precedente sul petto del capo di quei delinquenti.
Mi alzai dalla sedia ed imbestialita risposi.
<E cosa vuoi da me?>
<Assolutamente niente, Leyla.>
<E perché mi hai salvata?>
Mi guardò dritto negli occhi, il suo sguardo era penetrante.
Sembrava che potesse guardarmi dentro, ancora per una volta mi sentii vulnerabile.
Si alzò e si avvicinò a me.
Con due dita mi accarezzò il viso, una carezza calda, piena di affetto e senza malizia. Lasciai che lui lo facesse, mi sentivo di non dover reagire di fronte a quel gesto.
Poi finalmente rispose alla mia domanda.
<Dovevo un favore a tua madre!>

Mia madre? Non capivo cosa centrasse lei in tutto questo.
Ero confusa, amareggiata e proprio non riuscivo a fidarmi di quello lì, anche se in cuor mio sentivo che potevo stare tranquilla.

Trouble.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora