20. ...sulla cattiva strada 2/2

Magsimula sa umpisa
                                    

Ingoio a vuoto con la gola secca, guardando il tripudio di alcool davanti a me. O la va o la spacca.

«Da dove inizio?»
«Occhi.» Andrea afferra il bicchierino ricolmo di liquido verde  e mi invita a fare lo stesso. «Prima brindiamo, poi colpiamo il bancone col fondo dello shot e poi buttiamo giù.»
«Perchè battiamo il bicchere sul bancone?»
«Perchè chi non batte non...sai...» Tentenna, guardandomi malizioso.
«Non che?»
«Non scopa.» Sorride sornione.
«Oh.» Credo di diventare dello stesso colore del passion fruit di cui sono pieni i bicchieri. «Okay.»
«A noi?»
«A noi.»

Facciamo tintinnare il vetro senza distogliere lo sguardo, batto il bicchiere sul bancone - ché, a parte gli scherzi, non si sa mai - e mando giù. Un'altra volta ancora un fuoco mi accende, serpeggiando lungo la gola, l'esofago e ancora più giù e non riesco a fare a meno di pensare che avessi ragione a immaginare sarebbe stata una serata all'inferno.
Dopo qualche minuto di attesa, mi sprona a bere il resto senza perdere altro tempo: prima la mia pelle e per ultimo le mie labbra, che poi bacia raccogliendo l'ultima goccia del liquido rosso.
Si lecca le labbra con gli occhi accesi da mille scintille. «Sei buona, Beatrice.»

Sudo freddo al solo sentire come pronuncia il mio nome, facendo scontrare tra loro le labbra piene prima e la lingua coi denti poi, mentre il tono roco che usa solo con me gli gira in bocca ed esce come fiato bollente.

Mi sento carica, mi sento viva, mi sento pienamente io, bloccata in quell'attimo in cui sai che tutto l'alcol che hai bevuto salirà prima o poi, ma adesso è ancora presto.

Nando continua servire senza sosta i vari avventori e mezz'ora dopo sono diventata la sua migliore amica: mi racconta che l'amore della sua vita l'ha lasciato per andare a vivere a casa del panettiere - "Mi sa che quer coso je faceva trovà du' filoncini ogni vorta in panetteria, a qua zoccola de mi moje" - e che adesso lui spende le sue serate per lo più curvo su questo bancone, a vendere futili sogni a tanti, troppi.
A sentirlo fa anche il mestiere del prete, "Perchè 'a sincerità sta nei discorsi da ubriachi, signorì. C'è che ormai tutti ponno fa' tutto, 'a libertà ha rovinato er monno... e mo' tutti c'hanno quarcosa da nasconde. Vengono a beve, a dimentica', a racconta' lo schifo preso e dato. E io sto sempre qua, cor sole o co 'a pioggia, sissignore, a Nando ce 'o trovi sempre, ogni vorta che c'hai bisogno."

Sorrido, ebbra più di felicità che di altro, tra le braccia del mio uomo, in questo locale di sconosciuti che non sento bisogno di conoscere, perchè ho già l'universo alle mie spalle.

«Andre! Guarda!» Un tavolo da biliardo attira la mia attenzione, prima nascosto dalle spalle di quattro ragazzi che adesso si apprestano ad allontanarsi.
«Vuoi giocare?»
«Sì!»
«Non sei capace.» Mi guarda con una smorfia, come mi sottovalutasse.

Ti faccio vedere io
.

«Mettimi alla prova.» Incrocio le braccia e lo guardo con sfida.
«Va bene. Però» mi mette l'indice a un palmo dal naso «se vinco io ti togli il reggiseno e me lo regali. Prendere o lasciare.»
«Ci sto!» Affermo a voce alta e un paio di persone si voltano a guardarci. «Ma se vinco io...» Ci penso bene su, abbassando la voce. «Se vinco io, allora uscirai da qui col rossetto rosso sulle labbra.»
Ride. «Mi sembra onesto! Dopo di lei, signorina.»

Mi avvio verso la direzione indicata dall'ampio gesto della mano di Andrea, cercando di sculettare per quanto la sbornia incipiente me lo renda possibile, mentre lui prende altre due birre al bancone.
Raggiungo il tavolo da biliardo posizionato in fondo al locale, accarezzo sensualmente con la punta delle dita le venature del noce scuro ed è mentre mi adagio morbidamente con un fianco al legno levigato che metto il piede d'appoggio in fallo e finisco carponi per terra battendo forte le ginocchia. Iniziamo bene.

«Tutto bene lì sotto?" Un paio di mocassini marroni mi scrutano, a diretto contatto con la mia faccia.
«Tutto benissimo. Sta con me." Andrea risponde duramente al signor mocassini intanto che mi offre la mano e quest'ultimo si allontana, strascicando i piedi sul pavimento umidiccio.

«La smetti di farti abbordare persino in situazioni imbarazzanti? Diventa difficoltoso gestirli tutti.»
«Compra un'agenda.» Gli riservo un'occhiataccia mentre mi rialzo con fatica, scrollando un po' di sporco dalle ginocchia. Bleah. Lo guardo, impaziente. «Iniziamo?»
«Iniziamo.» Recupera la sua stecca e mi osserva con quello sguardo, quello lì, quello da Piero Angela che si accinge a illustrare le abitudini dei mufloni nel periodo dell'accoppiamento.
«Lo scopo del gioco, il biliardo americano in questo caso, è mandare in buca il maggior numero di palle: vince chi realizza più di sessantuno. Fin qui ci sei?»
Annuisco, mentre muovo le mani nascoste sotto il tavolo al ritmo dell'Aria sulla quarta corda di Bach.
«Si colpisce la bilia col punteggio più basso presente sul tavolo. Fine delle regole.» Si muove veloce, sistemando le palle al loro posto e togliendo il triangolo. «Sei pronta, scricciolo?»
«Pronta» confermo. Ora che ci penso ci somiglia davvero un po', ad Alberto Angela però. Forse quei ricci, quello sguardo penetrante...

Sto delirando.

Tu sei (Le ceneri)Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon