CAPITOLO SETTE

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Basta. Era troppo. Non potevo crederci. Come facevo a crederci?
— Sentite, posso anche credere a tutta questa faccenda degli dei e robe varie, ma a questo no. Io non sono speciale. — Una risata leggermente isterica mi uscì dalle labbra. — Una semidea, dite? Mi spiace, avete sbagliato persona. — Mi resi conto di star cominciando ad alzare la voce. Ma non riuscivo a trattenermi. Mi ero trattenuta per tutti questi anni, senza mai dar voce al mio sfogo. Questa, come si suol dire, era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. In soli dieci minuti delle persone che neanche conoscevo erano riuscite a sconvolgere tutto il mio mondo, tutto quello in cui credevo, quella realtà che ero riuscita a costruirmi in quindici anni. Volevo solo tornarci, a quella realtà. Volevo chiudere gli occhi, e riaprirli in quella piccola radura nel bosco dove mi esercitavo con il tiro con l'arco. Quella era la mia realtà. Non questa. — Non potete venire a dire a me – a me! – che sono figlia di una dea. Oh, andiamo. Sono solo una quindicenne dislessica, iperattiva e con un'insana passione per il tiro con l'arco. L'unica cosa che mi viene bene. — stavo citando mio padre, adesso, e sentivo gli occhi lucidi. Abbassai il capo per non farglielo notare.
Non. Osare. Metterti. A piangere.
Non farlo. Sei forte. Non puoi metterti a frignare come una bambina di cinque anni davanti a degli sconosciuti.
Quando rialzai la testa, rimasi sorpresa di non vedere indignazione, rabbia, delusione, o anche solo compassione sul volto di Chirone, al contrario, un sorriso soddisfatto gli illuminò il viso. E questa volta non tentò nemmeno di nasconderlo.
— Il fatto che tu sia iperattiva e dislessica non è che un'ulteriore prova della tua semidivinità.
Trattenni il fiato. Perché continuava a perseverare? — In che senso, scusi? — chiesi, cauta.
— La maggior parte dei semidei sono iperattivi, bambina. Chiedi a Percy e Annabeth, se non mi credi.
Annabeth annuì prontamente. Mi chiesi se non ripetessero quella scenetta a ogni nuovo arrivato. — Esatto, anche Percy ed io lo siamo. Percy confermò con cenno entusiasta del capo. Annabeth gli scoccò un'occhiataccia.
— I semidei devono sempre essere in allerta a causa degli attacchi dei mostri, — continuò Chirone, riportando su di lui la mia attenzione. — pronti a difendersi in ogni situazione. Per questo l'iperattività è di grande aiuto.
— E la dislessia? Cosa c'entra?
Chirone sorrise di nuovo.
Vedi, il cervello dei semidei è impostato per leggere il greco antico, per questo motivo le altre lingue risultano quasi incomprensibili ai vostri occhi.
Ma... io non conosco il greco antico.
Appena la frase mi uscì dalle labbra, mi resi conto che c'era qualcosa di diverso nelle ultime parole mie e di Chirone.
Come se fossero in un'altra lingua.
Greco antico. La risposta aleggiò nella mia mente e, anche se una parte del mio cervello continuava a ripetere che era impossibile, sapevo, in qualche modo, che era esattamente così.
Questo significava anche che avevo appena detto in greco antico che non sapevo il greco antico.
Chirone scoppiò in una risata, ma non una risata di quelle fatte per prendere in giro, una risata dolce, amichevole, affettuosa... paterna. Il tipo di risata che non sentivo da così tanto tempo.
— Be', bambina, sembra proprio che tu sia una di noi, invece.
Esitai. Da un lato avrei voluto ancora sperare che niente di tutto quello fosse vero. Ma, dall'altro, ero curiosa di scoprire di più su quel nuovo mondo. — Ho scelta?
— Temo proprio di no. — rise divertito.
Sentii le mie labbra stirarsi a loro volta in un sorriso, e il mio cuore sembrò diventare più leggero. — Allora okay.
Percy fece un passo avanti, sorridendo.
— Mi piace questa ragazza! — Lanciò un'occhiata alla sua fidanzata per accertarsi che non avesse frainteso, ma lei sorrise a sua volta.
— Presto il tuo genitore divino ti riconoscerà, ma nel frattempo dovrai stare nella cabina undici, la capanna di Ermes. — mi spiegò Annabeth — Dovresti sapere che i suoi figli sono un po'... no, ma chi voglio prendere in giro, molto disordinati e caotici e hanno un'insana passione per gli scherzi, ma Ermes è anche il dio dei viaggiatori, per cui è loro dovere accogliere i nuovi arrivati indeterminati. Ti posso accompagnare io, però dopo ho l'allenamento con Percy. Comunque vedrò di mandarti qualcuno per farti fare un giro.
Mi limitai a ringraziarla, nonostante avrei voluto chiederle delle spiegazioni.
Indeterminati? Che significava?
Intervenne Chirone: — Scusate ragazzi, ma ora devo andare anch'io. È stato un immenso piacere conoscerti, Luna Wolfson.
— Grazie. — risposi semplicemente di nuovo, ed ero sincera. Gli ero grata per essere riuscito a spiegarmi tutto senza mai perdere la calma, senza mai perdere quell'aura rassicurante e paterna che mi aveva spinto a fidarmi di lui. Sì, perché avevo deciso di credergli.
Ero una semidea.
Gli dei greci esistevano davvero.
E tutto questo era una pazzia, ma, in effetti, mi andava bene così.
Poi Chirone cominciò a tirarsi su dalla sedia a rotelle. Uno zoccolo levigato, seguito da una gamba equina spuntò dall'intero della carrozzina. Dopo una serie di manovre eseguite davanti a una me con gli occhi vitrei e la bocca spalancata, al posto di un uomo di mezz'età sulla sedia a rotelle, c'era un uomo di mezz'età che dalla vita in giù era uno stallone grigio.
Voglio una medaglia per non essermi messa a urlare o per non aver detto “basta, io me ne vado” ed essere corsa via. Non che non ci abbia pensato.
Una medaglia anche perché di fronte ad uomo per metà cavallo il mio commento sussurrato fu: — Figo...
Evidentemente cominciavo a vedere così tante stranezze che non ne valeva la pena di mettersi ad urlare ogni volta.
—Sei... un... — pescai la parola nello scompartimento "mitologia greca" del mio cervello — centauro!
No, non era un centauro, lui era Chirone, quel Chirone.
— Proprio così, mia cara. — sorrise di nuovo. — A presto.
—A... arrivederci... — balbettai, stordita.
Poi lui se ne andò al trotto.
Annabeth mi fece un cenno. Era già qualche passo più avanti a me con Percy. — Vieni?
Annuii, poi lanciai un'occhiata al signor D – o Dioniso – e borbottai un "arrivederci" poco speranzoso a cui lui non rispose, estraneato dal mondo assieme al suo bicchiere che proprio non ne voleva sapere di riempirsi di vino.
Mi voltai di nuovo verso Annabeth e Percy, e li seguii.
Li seguii in una nuova realtà.
Che ora sarebbe stata anche la mia realtà.
Ero pronta? Oh, assolutamente no. Ma, in quel momento, volevo solo provarci.

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora