Capitolo 35

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Una parte di me, quella che ancora ce l’ha con Ethan per avermi tenuto nascoste quelle informazioni sugli zombie, ora è arrabbiata anche con me. Ma sorrido lo stesso come un’idiota mentre preparo la cioccolata calda e la verso in due tazze: le nostre, usiamo sempre le stesse, all’inizio non lo avevo notato, ma mi piace.
Mi siedo al mio solito posto e continuo a leggere come se niente fosse.
“Mi hai preceduto” Dice sorridendo mentre entra nella stanza e prende posto davanti a me. Sorrido leggermente e vado dritta al punto “Perché non me l’hai detto?” Domando facendomi seria, ma non sono più così tanto arrabbiata, solo curiosa credo. Cioccolata calda o no, voglio ancora saperlo. Nemmeno per un istante hanno pensato che io potessi già sapere queste cose, perché?
“Cosa?” Chiede con un’espressione confusa.
Ok forse ora sono un po’ irritata “Mm non saprei, il fatto che ci sono delle persone immuni o che il governo rapisce la gente con i cercatori per tentare di trovare un antidoto”.
Poggia la tazza che si stava portando alle labbra sul tavolo sospirando “Cercavo di farti abituare alla situazione prima di spiegarti tutto, te lo avrei detto piano piano, eri appena uscita da casa....volevo darti il tempo di metabolizzare tutto” Spiega lentamente guardandomi negli occhi, ma non sento quella sensazione. Niente di niente. Non si sta aprendo come faceva ultimamente, sembra esser tornato il muro dei primi giorni, quindi non so nemmeno se sta dicendo la verità.
“Avrei voluto che me lo diceste a prescindere, non solo quando siete stati costretti” Mi appoggio allo schienale della sedia, all’improvviso non ho più voglia di cioccolata.
”Lo avremmo fatto, solo più in là” Ma non è agitato come quando qualcuno cerca di giustificarsi, parla lentamente, sicuro di sé, in modo controllato. Forse è per questo che gli credo.
“Non spettava a voi scegliere” Continuo io “Hai ragione, mi dispiace” Gli si forma una ruga tra le sopracciglia. E poi la sento, quella sensazione, e non riesco ad essere arrabbiata “Non avete pensato nemmeno per un secondo che io potessi già sapere quelle cose?” Studia per qualche secondo il mio viso, forse cercando di capire se ce l’ho ancora con lui “Sei stata a casa per parecchio, non sapevamo se avevi contatti con qualcuno all’esterno ma se anche fosse, nel caso in cui tu già lo sapessi allora non avevamo motivo di dirtelo” Fa un’alzata di spalle. Lo guardo cercando di capire se mente e come leggendomi nel pensiero.... “Andiamo, ti ho mai mentito?” Sorride e ricambio, anche se questa è una cosa che dicono le persone che stanno mentendo, ma in effetti  no, Ethan non mi ha mai mentito; che io sappia.
Quando finiamo la cioccolata calda lo osservo lavare le tazze, non parliamo, ma non ne abbiamo bisogno.
“Ci spostiamo di là?” Dice indicando il salotto, annuisco.
Mi siedo sul divano, da un lato, e quando lui entra nella stanza si ferma, indeciso, poi prende posto accanto a me.
“Sai, forse dovresti provare a dormire un po’” È la terza volta che me lo dice, continuo a sbadigliare, ma non voglio. Non voglio fare di nuovo quell’incubo, non posso. Più vado avanti, più diventa difficile per me sopportarlo. Restare sveglia è l’unica cosa che mi impedisce di impazzire.
Scuoto la testa energicamente “Non posso” Mi guarda curioso e preoccupato, ma io non riesco a ricambiare. Fisso il tavolino di fronte a me, incapace di distogliere lo sguardo.
“Ti va di parlarne?” Dice dolcemente, avvicinandosi un po’.
Mi va? Non lo so. Forse no, non l’ho mai fatto e non mi è mai venuta voglia di farlo. Ma...magari parlarne mi aiuterà.
Forse è per questo che sta diventando insostenibile, continuo a crogiolarmi nel senso di colpa nascondendolo, impegnandomi a non farlo trapelare. Perché è mio, e di nessun altro. Perché è tutta colpa mia se Noah non è mai tornato.
Ma potrebbe davvero aiutarmi?
Resta in attesa, paziente. Poi fa per dire qualcosa, forse pensando che non risponderò, invece lo interrompo “Quando mia madre se n’è andata per cercare provviste” Inizio a bassa voce; c’è qualcosa che mi blocca, che mi impedisce di parlare più forte. Ma non sembra dargli fastidio.
“Ha insistito sul fatto che Noah dovesse restare a casa con me, per proteggerci e aiutarci a vicenda” Sorrido leggermente al ricordo “Ha usato il plurale, ma sapevamo entrambi che intendeva che doveva restare per proteggere me. Lui non aveva bisogno di protezione. Forse è in parte per questo che quando mia madre non è tornata, e lui è dovuto partire, io non l’ho fermato” Vergogna, ecco cos’è che mi blocca.
Chiudo gli occhi ma avverto comunque il suo sguardo su di me, e spero che non si renda conto, nella luce soffusa, di quanto mi resta difficile parlarne “Sapevo che sarei dovuta andare con lui, sapevo che dovevamo restare uniti e sapevo che dovevo insistere su questo. Ma non l’ho fatto.”
Faccio una piccola pausa, cercando di capire come spiegarlo “Avevo paura. Tutti hanno paura, ma quel giorno la paura mi ha bloccata. Non mi avrebbe mai chiesto di andare con lui all’esterno, non mi avrebbe mai messa in pericolo, e fu sollevato quando io accettai la sua partenza.” La voce mi si incrina ma trattengo le lacrime “Avevo tremendamente paura. E mi sono odiata ogni singolo giorno della mia esistenza dopo averlo lasciato andare per questo. Avrei dovuto insistere per andare con lui, non avrei dovuto accettare un no come risposta, saremmo dovuti restare uniti e ci saremmo dovuti guardare le spalle a vicenda. Ma io non dissi nulla e lui se ne andò, e non riesco a fare a meno di pensare che qualsiasi cosa gli sia capitata sia colpa mia. Se fossi andata con lui forse avrei potuto evitarlo, e forse sarebbe ancora qui con me” Dico tutte queste parole velocemente, liberandomi di un peso che ho portato dentro per troppo tempo “Mi tormenta da allora, di giorno, mentre mangio o leggo o parlo, persino di notte, nei sogni. Mi odierò per sempre per quello che ho fatto” Resto in silenzio, continuando a guardare dritta davanti a me, poi chiudo ancora gli occhi.
Nessuno dei due parla per qualche secondo, e per quanto mi riguarda va bene così, non deve per forza dire qualcosa, mi basta che mi abbia ascoltata; ma poi parla “Non è colpa tua” Sussurra appena, ma siamo talmente vicini che lo sento senza difficoltà.
Mi scappa una risata amara “Non puoi saperlo, forse avrei potuto cambiare le cose” Mi poggia due dita sotto il mento e mi fa voltare verso di lui, apro gli occhi scontrandomi nei suoi e mi si scalda il cuore “Forse no” Sussurra “Forse ora nemmeno tu saresti salva e al sicuro” Non l’ho mai sentito parlare con così tanta convinzione “L’ho abbandonato” Scuoto leggermente la testa abbassando lo sguardo, qualche lacrima sfugge al mio controllo, la sua mano resta a mezz’aria.
Poi la avvicina, la poggia sul mio viso, sulla guancia, e mi viene la pelle d’oca. Un brivido mi attraversa la schiena e incontro il suo sguardo sperando di poter restare così per sempre, col calore della sua mano sulla guancia, mentre mi accarezza, asciugandomi una lacrima col pollice.
“Sono sicuro che non avrebbe voluto altrimenti” Continua lui “Questo non cambia molto, non potrò mai perdonarmi” Aggrotto le sopracciglia in una smorfia di disprezzo, mi odio. E non c’è niente che possa fare per cambiarlo.
“Non ti avrebbe mai voluta in pericolo, l’hai reso felice, guardala in questo modo” Sorride appena cercando di essere rassicurante. Ma non può capire, niente può rassicurarmi, ma lui non ha bisogno di saperlo.
Ricambio il sorriso debolmente, apprezzo il fatto che stia cercando di farmi sentire meglio, non era tenuto a farlo, ad ascoltarmi, è stato gentile da parte sua “Grazie”.
Sorride ancora “Quando vuoi, dicono che sono un ottimo ascoltatore” scherza strappandomi una risatina.
Restiamo a guardarci negli occhi per un tempo che a me sembra infinito. Ci avviciniamo piano, come calamitati l’uno dall’altra, ma tutto quello che riesco a sentire è il battito del mio cuore che accelera, il suo respiro caldo sulle labbra e la sua mano ancora sul mio viso.
Alterna lo sguardo dai miei occhi alle labbra e senza rendermene conto inizio a fare lo stesso.

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-emme<3

L'inizio della fineWhere stories live. Discover now