Capitolo 1

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Non devo farlo per forza, in ogni caso domani non sarò più qui e probabilmente non tornerò mai, ma sparecchio lo stesso, poi lavo il piatto.

Questo è ciò che mi rimane della normalità, piccoli gesti che mi ricordano che un tempo, il mondo che ora mi sembra così lontano, è esistito veramente.

Continuo ad aggrapparmi con tutte le mie forze alle abitudini di una volta, anche quelle di cui non ho più bisogno o che odiavo, nella speranza che un giorno torneranno ad essermi utili. È sciocco, lo so, ma a volte è l'unica cosa che mi fa andare avanti.

Dovevo tenermi occupata per sopportare il nulla che mi circonda, il silenzio. Vorrei aver avuto la forza necessaria per guardare avanti, per pensare a me, a volte mi ripetevo che ci ero riuscita, che lo stavo facendo, che non stavo permettendo al mio passato di farmi affondare, ma non era così.

Andare avanti è difficile, ma convincersi che ci si è riusciti, mentire a sé stessi pretendendo che sia tutto ok, forse è anche peggio.

Però rimuginare sul passato non porta mai a niente buono, io servo al mio presente, così ho scelto la via più semplice: non sento più niente.

Mi sono impegnata così tanto a costruire un muro per proteggermi, che temo non riuscirò a liberarmene mai più.

Lo zaino pieno mi osserva dal soggiorno, faccio un ultimo controllo a mente: fiammiferi, borracce, tonno in scatola, kit di pronto soccorso, fazzoletti, spazzolino e qualche vestito di ricambio. Armi: due coltelli e un'accetta.

Domani sarà una giornata impegnativa e devo andare a dormire presto così salgo al piano di sopra, Balto mi segue scodinzolando.

Trascorro molto più tempo di quanto io abbia mai fatto sotto il getto dell'acqua calda, abbondando col sapone, senza sapere quando potrò lavarmi di nuovo.

Cerco di districare i nodi tra i capelli mentre fisso nello specchio i grandi occhi verdi, le labbra rosee e sottili. Chissà quando rivedrò la mia immagine, voglio memorizzare ogni singolo dettaglio: le ciglia lunghe, il piccolo neo sullo zigomo destro, il naso con una lieve gobba se guardato di profilo. Ma anche le occhiaie dovute all'insonnia, le guance scavate dalla fame, le spalle spigolose.

Alzo la mano e sospirando sfioro coi polpastrelli le lentiggini sulla pelle pallida del viso, in contrasto coi capelli corvini. Arriccio il naso alla vista delle ciocche blu sparse qua e là, che col tempo si stanno scolorendo assumendo tonalità quasi verdastre.

Mi infilo il pigiama , ormai diventato di due taglie più grande di me, e passo davanti alla porta della sua camera, socchiusa. Esito solo un istante prima di chiuderla e andare oltre.

Mi metto sotto le coperte e sbatto la mano sul letto un paio di volte per far capire a Balto di saltare su, spengo la luce e cerco di svuotare la mente. Devo riuscire a dormire, almeno stasera, ho bisogno di essere riposata.

Chiudo gli occhi ma so che ogni mio sforzo è inutile. Rimango qui sdraiata per ore, tutta presa a guardare la flebile luce delle stelline fosforescenti attaccate alla vernice bianca del soffitto, tutte le notti, da almeno sei settimane.

Ma ci provo lo stesso, come sempre.

All'inizio lo facevo perché speravo di riuscire a cadere nel sonno prima di cadere a pezzi ancora e ancora, ora lo faccio perché ne ho bisogno per andare avanti.

Non tornerà.

Continuavo a sperare che lo facesse, una parte di me crede ancora che potrebbe succedere, ma lui non tornerà. Mi dicevo di continuo che non posso andarmene, non ancora, se tornasse e non trovasse nessuno? Se tornasse e pensasse che mi sia successo qualcosa? Se uscisse di nuovo per cercarmi rischiando la vita? Dovevo restare, ma poi? Sto finendo il cibo e non ho più nessuno.

Lui è via da tanto e non tornerà, io devo uscire, devo sopravvivere, provarci, per lui, per mamma.

Sono 64 giorni che non vedo la luce del sole. Domani uscirò.

Le tavole di legno bloccano i raggi che impazziscono nel disperato tentativo di entrare, si fanno strada a forza tra le fessure più piccole, riflettendosi debolmente sulla parete di fronte. Ma è meglio così, i rumori li attirano, le finestre devono essere rinforzate, e ho bisogno della certezza che nessuno di loro riuscirà ad entrare dentro questa casa, nemmeno dopo che me ne sarò andata.

Lasciare questo posto è una delle cose più difficili e dolorose che dovrò mai fare. E' casa mia, è tutto ciò che mi resta, ma stare qui mi sta uccidendo.

Ogni respiro, ogni oggetto o angolo non fa che ricordarmi la loro assenza, e a volte vorrei provare qualcosa, per avere la certezza che un tempo erano davvero accanto a me, ma non so più come si fa.

La maggior parte delle volte vorrei piangere ma non ci riesco, così rimango immobile sentendo il rumore del mio cuore che continua a spezzarsi.

Tutto quello che mi rimane sono io, e vorrei che fosse abbastanza per sopravvivere, ma non è così.

Mi sento tremendamente vuota e non c'è niente che possa fare per cambiare la cosa. Ho imparato a chiudere tutto in un cassetto, ho imparato come fare a non pensarci, ho sentito così tanto per così tanto tempo che ho cominciato a non sentire più nulla.

Ma gli incubi, quelli non svaniscono mai. Ogni volta che chiudo gli occhi sento la loro assenza più che mai.

Mi giro da un lato, spaesata. Dall'altro, scomoda. Allora mi alzo e vado in bagno a sciacquarmi il viso con dell'acqua gelida. Balto mi segue al piano terra dove mi metto a controllare di nuovo di avere tutto il necessario per domani.

Sarà una lunga notte.

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fatemi sapere cosa ne pensate e ditemi se avete qualche appunto da fare
-emme <3

L'inizio della fineМесто, где живут истории. Откройте их для себя