Capitolo 9

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La mattina mi sveglio più tardi di quanto avevo previsto. Riesco a mettermi in cammino solo a mezzogiorno, maledicendomi in trentadue lingue diverse per il tempo che sprecato.

La prossima casa non deve essere troppo lontana se riesco a vederla da qui, spero di riuscire a raggiungerla in fretta.

Il problema è che so che ci sono Ethan e Luke che girano per guardare le stesse case che sto controllando io, senza contare eventuali altre persone che potrebbero aver già svuotato tutte le case nei dintorni. Loro si spostano con la macchina quindi saranno sempre un passo avanti a me.

Mi auguro solo di guadagnare un po’ di terreno sperando che oggi decidano di prendersi un giorno di riposo.

Fa meno freddo rispetto a ieri ma mi stringo comunque nella mia giacca, mi tolgo il berretto e lo guardo. Era di Noah ma adesso ogni volta che lo vedo ripenso ai due uomini di ieri. Una parte di me vorrebbe buttarlo via ma alla fine lo metto nello zaino.

La mia mente continua a tornare agli eventi di ieri e da una parte sono terrorizzata. La sola idea di continuare a muovermi invece di rimanere in qualche casa al sicuro mi fa impazzire, ma allo stesso tempo sono consapevole del fatto che è necessario.

D’altra parte c’è da dire che riuscire a cavarmela mi ha dato un po’ di speranza, forse posso davvero farcela. Certo mi sarebbe potuta andare meglio, ma anche peggio.

Cammino per mezz’ora e la gamba fortunatamente sta un po’ meglio anche se ancora zoppico. Continuo a guardarmi alle spalle e ogni volta conto quindici passi prima di soffermarmi un momento e guardarmi intorno per assicurarmi di essere ancora sola in un compulsivo valzer solitario e autodistruttivo che non fa che aumentare la mia agitazione, ma che non riesco a interrompere.

La casa è più lontana di quanto pensassi e la raggiungo solo dopo altri dieci minuti. Non so cosa mi aspettassi di preciso, ma posso dire con certezza che non mi aspettassi questo.

Più che una casa sembra una discarica, l’odore è quello, mi tappo il naso con due dita. Ci sono mobili sparsi per il giardino, poltrone, materassi. La vernice giallo ocra è quasi totalmente scomparsa e il colore scuro del legno marcio mi fa fare un passo indietro. Della porta è rimasta solo la parte superiore e numerosi pezzi del tetto pendono qua e là in modo poco rassicurante. Il portico non ha più una ringhiera e il legno degli scalini è spezzato in più punti.... Dire che è abbandonata non renderebbe appieno l’idea.

La delusione mi investe e scoraggiata rimango lì in piedi a guardarla, ferma.
Se ieri non mi fossi potuta sistemare in quella casa sarei arrivata fino a qui per scoprire di dover continuare nella speranza di trovarne altre.

Sono stata fortunata ma si è trattato di un caso.
Avrei bisogno di una mappa o una cartina, devo potermi rendere conto delle distanze che devo percorrere nel tempo che ho, non posso più improvvisare. Il problema è dove trovarla.

Qualcosa mi tocca la spalla e sobbalzo per lo spavento, lascio cadere il fucile e afferro l’accetta con entrambe le mani per uccidere lo zombie, Balto abbaia e gli dico di stare zitto in un grido sussurrato senza riuscire a rimproverarmi abbastanza per essermi distratta ancora, ma ormai è troppo tardi.

Sento il tremolio del pavimento, e le tavole più vecchie e rovinate che si spezzano sotto il loro peso prima ancora di riuscire a vederli.

Passano attraverso la metà mancante della porta, arrivano da sotto il portico, dal retro della casa.
Mi si fa un nodo nella gola.

Uno spiffero di vento mi fa venire la pelle d’oca e mi si rizzano i peli sulla nuca.

Raccolgo il fucile e comincio ad indietreggiare senza staccare gli occhi dalla casa col rumore assordante del mio cuore che mi impedisce di udire altro.

Sono troppi, decisamente troppi.

Con le gambe tremanti metto un piede dietro l’altro cercando di non perdere l’equilibrio mentre gli occhi si posano freneticamente sugli zombie. Perdo quasi subito il conto non riuscendo a rimanere concentrata.

Mi vedo pallida con Balto che non la smette di guaire al mio fianco mentre la vista diventa sfocata.

Non posso morire, l’ho promesso.
Faccio un altro passo all’indietro urtando qualcosa e quasi perdo l’equilibrio, mi scanso appena in tempo sfuggendo al suo morso.

Altri zombie si avvicinano dai cespugli, dagli alberi. Torno verso la casa guardandomi intorno nella speranza di trovare uno spiraglio verso cui dirigermi, ma arrivano da tutte le parti.

Inghiottisco e avanzo lentamente verso la strada, devo andarmene prima che la situazione peggiori.
Quattro zombie oscillano nella mia direzione bloccando l’unica via di uscita, ma mi basta farne fuori uno per poter correre via.

Gli vado incontro alzando l’arma pronta a colpire e gli schizzi di sangue si schiantano sul mio viso.

L’ultimo lamento gracchiante esce da quello che rimane della sua bocca, il corpo cede e a contatto con l’asfalto le sue deboli ossa scricchiolano e la mascella schiocca per l’impatto.

Il fetore ormai familiare mi penetra le narici facendomi arricciare il naso e devo trattenere un conato di vomito.

Un secondo.

È il tempo che mi concedono per rendermi conto di cosa succede.

Uno dopo l’altro gli zombie accelerano, non sapevo nemmeno che fossero in grado di farlo.

Le loro grida diventano assordanti e io non posso che tornare al centro. Ruoto su me stessa veloce  senza mai fermarmi nel patetico tentativo di tenerli tutti d’occhio, sono troppi.

Uno di loro mi raggiunge e allora lo faccio fuori, poi un altro, e un altro ancora, ma ogni colpo che sferzo sembra farli arrabbiare sempre di più e io non so cosa fare.

Balto continua ad abbaiare peggiorando la situazione. Attirati dal frastuono vanno verso di lui ma non percependo niente di loro gradimento spostano velocemente l’attenzione su di me, al suo fianco.

Una goccia di sudore scende lungo la mia schiena facendomi rabbrividire. È il momento in cui mi rendo conto che posso solo rallentare il processo, che non ho speranza.

Morirò, dopo un solo giorno fuori casa.

La consapevolezza si fa strada dentro di me così come io cerco di liberare il passaggio, in modo impacciato, lentamente.

Mi fermo cercando di stare il più lontano possibile da ognuno di loro.

Accarezzo Balto e chiudo gli occhi aspettandomi di sentire dolore, di sentire un morso seguito da altri mille.

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vi dico qualche curiosità sul mio conto!
il mio occhio sinistro non gira a sinistra (questo in realtà non lo sa nessuno perché me ne dimentico persino io, non è una cosa che si nota a meno che non cerco di girare gli occhi a sinistra)
sono tremendamente imbranata, cado talmente tanto spesso che non è nemmeno più imbarazzante
il tetto del vicino era il mio posto preferito da piccola
non sono figlia unica
-emme <3

L'inizio della fineWhere stories live. Discover now