Capitolo 11

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“Mmh” mugugno. “Sono cresciuta parlando italiano e olandese; le lingue mi hanno sempre appassionato, quindi ho deciso di iscrivermi al Liceo Linguistico ed ho imparato l’inglese, il francese e lo spagnolo. Concluso il liceo, ho fatto un anno di pausa, mi sono iscritta all’Università di Torino e ho fatto fisioterapia”
Mi guarda stupito. “Fisioterapia?”
Annuisco."Eravamo pochissimi. Però adesso so scrocchiare la gente” scoppiamo a ridere.
“Magistrale o triennale?” chiede curioso.
“Triennale, la magistrale non c’è. Ma poi ho fatto il Master di un anno di fisioterapia equina, quindi so scrocchiare anche i cavalli”
“E perché hai scelto questo corso?”
“Mi interessava, poi a casa discutevamo sempre. Mia madre voleva che io facessi medicina veterinaria, mio padre ingegneria. Ci sono rimasti di sasso quando gli ho fatto vedere la conferma d’ammissione al corso di fisioterapia. Almeno non hanno più litigato”

“E, per curiosità, come ci sei finita a Monza dalla Liguria?”
“Ho dovuto cambiare maneggio” mi limito a rispondere.
“E come mai, se posso sapere?”
"Lunghissima storia, molto noiosa” stiamo arrivando ad un argomento spinosissimo, sensibile, intoccabile. Eppure, in un modo o nell’altro ci siamo arrivati.

Non si torna indietro, per quanto io esiti a parlarne.

Antares mi ha dato il via libera: è una persona di cui ci si può fidare.

“Ho tempo da spendere”

Sospiro. “Ho iniziato ad andare a cavallo a tre anni. Andavo nel maneggio di un’amica di mia madre. Cavalcavo i pony della scuola, che continuavano a cambiare. I miei genitori decisero così di prenderne uno tutto mio, dopo molto tempo. Si chiamava Sally, era una pony baia, molto grande. Un doppio pony, ecco. 
Io e Sally abbiamo vinto tante gare, siamo state insieme fino alla seconda superiore.
Durante uno degli allenamenti, l’istruttore fece un movimento brusco, spaventandola, e lei si impennò, buttandomi giù. Caddi in malo modo, lei mi passò sopra, rompendomi una gamba e diverse costole. 
Sally, nel mentre, era scappata inseguita dal mio istruttore. Io non riuscivo ad alzarmi, ma sentivo i suoi nitriti e le urla di diverse persone. Poi mia madre, che gridava ‘No, no! Non potete farlo, non è necessario!’, infine un nitrito che somigliava più ad un lamento, un tonfo e il silenzio.
Non la rividi più. L’avevano abbattuta, senza il nostro permesso e senza un fottuto motivo” 

“Dio, mi dispiace, non avrei dovuto chiedere” sussurra.
“E’ tutto ok. Il peggio arriva dopo”
“Non devi raccontarmelo se non vuoi”
“E’ passato abbastanza tempo per riuscire a parlarne, Charles, tranquillo” mi schiarisco la voce e continuo.

“Sono stata portata in ospedale e per due anni sono stata fuori uso, sono guarita lentamente e il danno psicologico è stato abbastanza importante. 
Come ti ho detto, Sally mi è passata sopra. Di certo, una bestia con un peso compreso tra i 400 e i 600 chili non è che non mi faccia niente, se mi calpesta. Essendo ferrata, mi ha lasciato due tagli belli profondi sulla pancia. Sono le cicatrici di cui parlava Charlotte” sospiro. “Sono state la mia rovina. Le guardavo e le odiavo, gli altri le vedevano e bisbigliavano indicandole. Dio, le mie compagne di classe penso che ci abbiano fatto tante storie sopra che si potrebbero raccogliere in un libro e supererebbero le fiabe dei Grimm” sorrido amara. “Questo mi ha portato, naturalmente, a nasconderle. Non avendo più un pretesto per parlare di me, iniziarono a fare storie sul mio fisico, e sul fatto che fossi sovrappeso. Ti lascio immaginare”

Solo a ricordare quel periodo, le loro parole e le conseguenze, mi viene il voltastomaco.

“Non dirmi che…”
“La gente fa schifo, Charles, e questi sono i risultati”
“E hai passato tutto questo da sola?”
“No, per fortuna vicino a me c’erano i miei amici e mio padre soprattutto”
“Per quanto è andata avanti questa situazione?”
“Tre anni, direi”
Sgrana gli occhi. "E' tantissimo"
"Lo so, infatti ne ho risentito parecchio"
"Come ne sei uscita?"

“Nonostante fossi decisamente sottopeso, le mie ossa erano guarite, quindi ricominciai a fare sport.
Ero ancora spaventata e non avevo intenzione di riprendere equitazione dopo la vicenda di Sally, ma i miei genitori continuavano a spronarmi a ricominciare. Iniziarono a cercare maneggi interessanti e cavalli in vendita. Dopo diversi tentativi, andati abbastanza male, trovammo il maneggio dove vado tutt’ora, dove sono stati molto gentili con me fin da subito.
Conobbi il mio attuale istruttore e insieme cercammo un cavallo adatto a me. 
La ricerca fu molto intensa, provai cavalli di ogni tipo: alti, bassi, muscolosi, esili. Poi, ad un anno di distanza, la mia salvezza. Da una scuderia belga ci arrivò una proposta ad un prezzo non troppo elevato. Si trattava di un cavallo alto, dal manto sauro, con una lista bianca sul muso e le balzane sulle zampe posteriori: Antares”

“Come hai capito che fosse quello giusto?”

“Era tranquillo, particolare da cavalcare ma adatto a me. Quando l’ho visto me ne sono innamorata, è un cavallo bello, bisogna ammetterlo. Ma nonostante la bellezza, ha subito drizzato le orecchie. Quando sono salita, ha percepito la mia insicurezza e ha fatto in modo di farla scomparire. E’ venuto a casa con me la sera stessa.
Ho ripreso lentamente a cavalcare e saltare, sempre con Antares. Lui mi ha anche aiutato a mangiare in modo sano. A raccontarlo non ci si crede: quando gli davo una mela, ne lasciava un pezzo e voleva che ne prendessi un morso” ridacchio.
“E’ stato proprio la tua salvezza” commenta.
“Esatto, oltretutto all’inizio si chiamava solo Duncan de Tiji Z, ma io ho deciso di dargli il nome Antares perché è anche quello di una delle stelle più luminose della volta celeste, e lui è stato la luce nel mio buio. Tra l’altro, la stella è di un colore rossastro, proprio come lui”

“Mamma mia, ne hai passate di tutti i colori”
“In questo siamo simili”
Do un’occhiata all’ora e noto che è tardissimo, quindi mi alzo e lo guardo. “Io me ne vado in hotel a dormire. E’ meglio che torni dentro dagli altri, se non vuoi rimanere solo a guardare la strada”

“Credo che verrò con te. Sono abbastanza stanco stasera”
Digito velocemente un messaggio a Nicole per avvisarla e gli faccio cenno di affiancarmi.
“Allora, da domani ognuno per la sua strada” sospiro.
“Eh già, ma possiamo tenerci in contatto. Potresti venire al prossimo Gran Premio” propone.

Ahia, monegasco, qui caschi male.

“Non so il calendario di quest’anno” svio il discorso.
“La settimana prossima siamo in Brasile, quella dopo siamo ad Abu Dhabi”
“La settimana prossima non posso, poi non so… E’ che mi ricorda tanto papà”
“Fai come ti senti, i pass ci sono sempre” mi sorride.
“Grazie, ci penserò”

“Mi lasci il tuo numero, così rimaniamo in contatto?” propone dopo un po’ di silenzio.
“Certo, da’ qui” allunga la mano e ci posa il cellulare sbloccato.

Quanta fiducia.

Traffico rapidamente e in un attimo glielo restituisco.
“Didi?” chiede guardando come mi sono salvata.
“E’ il soprannome con cui mi chiamano i miei amici. Direi che possiamo definirci tali”
Annuisce. “Sono d’accordo, Didi
“E tu hai un soprannome?”
“Charles non è un nome molto facile con cui crearne uno. Una volta un tizio mi ha chiamato Chuck” ridacchia.
“Chuck non ti si addice per niente, spiace”
“In effetti suona male”

Il resto del tragitto fino alla mia stanza lo passiamo in silenzio, perché non c’è niente da dire. E’ uno di quei silenzi piacevoli.

Faccio per entrare in camera, ma sono interrotta dalla sua voce.
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi”
“Perché mi hai raccontato tutte quelle cose di te?”
“Perché mi fido” lo guardo seria.
“Davvero?”
“Antares si fida di te, e lui non sbaglia mai. Buonanotte Charles”
“Buonanotte Didi”

Al tuo fianco | Charles LeclercWhere stories live. Discover now