33. Cain

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Quando Cain sente suonare il campanello sa già chi c'è alla porta. Aspettava Ginger molto prima, si chiede cosa abbia fatto tutto questo tempo.

Resta seduto sul divano mentre Sandro si rende utile andando ad aprire. E' ormai il quarto giorno che gli fa da balia, ma non sono diventati più amici. Anzi, se possibile gli sta ancora più antipatico.

Non può fare nulla.

Niente sforzi, niente lettura, niente tecnologia ... niente di niente. Per uno come lui che è abituato a muoversi in continuazione è una vera tortura. In tutto questo Sandro è una sorta di ectoplasma muto che si aggira per la casa senza perderlo mai d'occhio per controllare - vigile - il suo stato di salute e che rispetti le restrizioni imposte dalla convalescenza. Sembra un genitore severo, con cui lui non ha ovviamente nessuna voglia di interagire.

Sarà forse per questo che aspettava Ginger con ansia? Si convince che sia così, dopo tutto è l'unica distrazione della giornata e cominciava a temere che non avrebbe avuto neanche quella. Guarda verso l'ingresso sollevato, cercandola con lo sguardo e animato da un inconsueta aspettativa.

Quando i loro occhi s'incrociano però, capisce subito che è successo qualcosa. Ginger ha l' espressione impenetrabile e cammina rigida come un paletto. Raggiungere il centro della sala e poi si ferma, a un metro di distanza da lui. Accenna un sorriso tirato, puramente di cortesia.

'Ciao, stai meglio dall'ultima volta che ci siamo visti. Mi fa piacere.'

Lui la guarda senza capire.

E' vestita con semplicità: jeans, maglietta e scarpe da ginnastica. I capelli sono raccolti in una cosa alta e tiene le mani nervose aggrappate alle bretelle dello zaino. Sembra incredibilmente giovane e a disagio. Vorrebbe fare qualche passo in avanti per avvicinarsi. Vorrebbe abbracciarla e stringersela addosso, dirle che va tutto bene, sussurrandoglielo all'orecchio come un segreto .

Ma non la conosce abbastanza per interpretare il suo disagio e poi lui non è il tipo da fare cose del genere... si chiede quanto danno gli abbia provocato la botta che ha preso alla testa. Cristo, deve essere messo davvero male. Vede che lo sta ancora fissando e si accorge di non averle risposto.

'Sì, qualche piccolo progresso c'è stato. Prego, siediti.'

Le indica lo spazio del divano accanto a lui, ma Ginger si guarda intorno e sceglie la poltrona . A debita distanza.

Cain non commenta, si limita ad osservarla.

I movimenti rigidi, l'espressione imperscrutabile. Si chiede se sia lui a farle quell'effetto.

E' imbarazzata?

L'ultima volta che si sono visti hanno passato la notte insieme. Non che sia stata una notte memorabile, lui ha praticamente dormito tutto il tempo mentre lei gli si è sdraiata accanto, dall'altra parte del tabellone di gioco del Monopoli. Non si sono nemmeno sfiorati e lei è sempre rimasta vestita , sopra le coperte. Ma hanno pur sempre condiviso lo stesso letto e 24 ore della loro vita, ora lo tratta come un 'estraneo.

O è in imbarazzo, oppure lo odia. E più scorrono i minuti più pende per la seconda ipotesi. Non si sono più sentiti né visti da domenica, ma una cosa è certa : se pensava che l'antipatia che provava Ginger nei suoi confronti si fosse un po' attenuata, deve essersi sbagliato. Sembra decisa a mantenere la maggiore distanza possibile da lui.

Cerca di rompere il ghiaccio.

'Vieni dal cantiere?'

Ginger annuisce senza dire niente.

'Hai parlato con Roger?'

Annuisce di nuovo.

Cain la guarda in silenzio, c'è qualcosa che non và, è evidente. Questa non è certo la rossa che ha cercato di prenderlo a schiaffi la prima volta che si sono visti al locale, semmai la sorella gemella remissiva .

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