9d) L'INDOVINA

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Aldaberon tornava spesso alla scorreria di tre inverni prima e ai tragici momenti che precedettero la morte di quella ragazza innocente a cui aveva mozzato la testa. Certo, era diventato un guerriero Varego, poteva portare a buon diritto le armi che Alfons gli aveva donato e che indossava sempre quando partiva per un viaggio, però i dubbi di allora continuavano a tormentarlo anche ora. Semmai il rimorso li aveva amplificati, portandolo a chiedersi se avesse senso quello che stava facendo. Quando ne parlò con Neko, lo vide incupirsi, incerto su cosa rispondergli. Quelle erano le poche volte in cui l'anziano uomo perdeva la serenità che pareva governare tutta la sua vita. Per quanto sapeva di turbarlo, Aldaberon aveva bisogno della sua saggezza in quei momenti. Così era pronto ad attendere a lungo prima di ottenere una risposta che prima o poi sarebbe arrivata.

  Poi, alla fine, invariabilmente, si sentiva rispondere con le medesime parole di sempre:

"Nessuno di loro aveva scelto di essere quello che erano. Essere un Sanzara era un fardello che dovevano portare per il bene di tutti e questo era il loro destino".

Solo una volta Neko cambiò di un poco la sua risposta e fu quando Aldaberon gli chiese se lui non avesse mai provato paura quando fu un Sanzara:

"Io spesso ne ho" gli disse sincero, sebbene si vergognasse di esserlo.

Allora il vecchio, fermandosi e stringendogli le spalle con le mani forti e callose, gli rispose:

"Non essere sciocco, la paura fu la mia salvezza. Non vergognarti mai di averne, perché potrebbe essere anche la tua". Dopodiché non disse più una parola per tutto il giorno.

Un mattino spuntarono fuori dalla foresta ed entrarono in una radura dove al centro campeggiava un albero gigantesco, altissimo, con i rami contorti che si protendevano per decine di metri sia in orizzontale che in verticale. Pareva essere lì da tempi immemorabili, dall'inizio del mondo e oltre ancora. Era una quercia immensa, la più grande di tutte.

Il tronco, scavato in profondità in più punti e corroso dal marciume, era curvato da una parte sotto il peso del legno e degli anni. Se ancora restava in piedi era per le possenti radici mezze scoperte che lo ancoravano al terreno impedendogli di capovolgersi, sprigionando una tensione vitale fortissima che terminava in alto, con le fresche foglioline verdeggianti che fremevano nel vento. La vita scorreva ancora, fortissima e tenace, in quelle fibre contorte.

Il vecchio sospirò soddisfatto.

"Siamo arrivati" fece Neko ad Aldaberon, quando lo vide stagliarsi maestoso davanti a loro.

Al giovane parve di essere già stato in quel luogo ed ebbe un immediato senso di disagio.

Erano giorni che il vecchio gli diceva di prepararsi una domanda da fare all'indovina. Gli aveva raccomandato di pensarci bene e di non mentire perché lei se ne sarebbe accorta e l'avrebbe canzonato, ma lui arrivò a quella radura impreparato. Non si aspettava quel turbine di sensazioni che l'albero suscitò in lui. Aveva pensato a mille domande da fare e ad altrettanti modi per farle, eppure, ora che si trovava a breve distanza dall'Indovina dell'albero si sentì vuoto e tormentato.

Per la seconda volta in vita sua sentì lo stomaco contorcersi come se dei serpenti si attorcigliassero attorno ai suoi pensieri impedendogli di vedere chiaro.

"SONO LORO, DOMINALI!" gli disse secco Neko quando lo vide in quello stato. Quasi urlò, poi lo prese per un braccio, trascinandolo bruscamente con sé.

Attraversarono la radura a passo svelto e quando Aldaberon vide campeggiare quell'immenso albero su di sé, venne preso dal panico. Se non fosse stato per Neko che lo tratteneva per un braccio, sarebbe fuggito all'istante.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz