3) LA CAPANNA DEL SANZARA

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Era un Sanzara ed essere un Sanzara era tremendo.

Essere un Sanzara voleva dire non essere completamente della famiglia in cui si era cresciuti.

Essere un Sanzara voleva dire non studiare con gli altri per imparare a leggere e scrivere, ma avere un insegnamento speciale, dato da insegnanti speciali, in condizioni speciali.

Ma sopratutto essere un Sanzara, voleva dire rompere con tutto quello che si faceva prima di iniziare l'addestramento.

Il che significava, Aldaberon iniziò ad averlo poco a poco chiaro nella testa, allontanarsi da Fredrik, Thorball e dal padre.

Era ancora immerso in queste considerazioni, quando vide Alfons alzarsi lentamente con le spalle curve, quasi che il peso di tutto il mondo gli pesasse addosso.

Senza rivolgergli parola si incamminò verso il sentiero che conduceva alla riva, la testa bassa e ciondolante. Dopo poco anche lui si alzò per seguirlo. Avrebbe voluto domandargli ancora mille altre cose, sapere di più del suo destino di Sanzara e di quello che questo avrebbe comportato per la loro esistenza, però era troppo vuoto e inerte per riuscire a farlo.

Le uniche cose che gli rimbombavano nella testa erano le ultime parole sentite e che continuava a ripetersi fino all'ossessione:

"Sono un Sanzara, un Prendi-Nome".

Se lo ripeteva in silenzio, vergognandosi ogni volta che lo faceva, perché per un Varego di quelle lande, voleva dire che il nome che portava non era suo, ma di qualche suo Avo. Era una tragedia, un disastro completo.

Non avere un nome proprio era un abominio per i Vareghi, al pari di un lupo scacciato dal branco senza più affetti e legami, condannato a vivere, il più delle volte, nella paura e nella insicurezza fino alla fine dei suoi giorni.

Quando arrivarono alla spiaggia non vi trovarono più nessuno. Le ombre della sera si allungavano sul fiordo e l'aria si era fatta pungente. I freddi venti del Nord iniziavano a far sentire i loro effetti, calando rapidi lungo il mare. Tutto il villaggio era tornato alle case, per rallegrarsi a vicenda del fortunato viaggio intrapreso e per preparare la grande festa che si sarebbe tenuta alla sera. Vi sarebbero stati i cibi più ricercati, le bevande migliori e canti e balli. I guerrieri appena tornati vincitori avrebbero raccontato le loro prodezze, mentre chi non vi aveva partecipato avrebbe ascoltato rapito e desideroso di sentire ancora altre storie. Tutto si sarebbe svolto in allegria, come sempre era stato e come sempre sarebbe stato.

Alla fine della serata i quattro giovani che avevano partecipato alla scorreria per la prima volta come guerrieri, si sarebbero sposati. Come voleva la tradizione quella notte sarebbero diventati uomini e con il tempo forse avrebbero avuto diritto a un focolare tutto loro.

Il ritorno da una spedizione fortunata portava sempre gioia a tutto il villaggio, ma questa volta per almeno due persone non sarebbe stato così.

Aldaberon e Alfons non se la sentivano di festeggiare.

Appena giunsero al villaggio, Aldaberon vide che durante la loro assenza una capanna, un po' discosta dalle altre, posta al di fuori del circolo, molto più piccola di dimensione tanto da contenere un solo focolare, era stata ricostruita e riadattata per essere abitata.

Aldaberon e i suoi amici l'avevano sempre vista vuota, quella capanna.

Ormai in disuso da molto tempo prima della loro nascita, era conosciuta come la casa del Sanzara. Era cadente, mantenuta in piedi più come monito per coloro che non volessero credere alla loro esistenza, che per altro. Però era solida abbastanza per entrarvi, giocarci, appropriarsene.

Nonostante avessero chiesto agli adulti del villaggio delle spiegazioni sul suo stato di abbandono, erano rimasti insoddisfatti e ben presto quella capanna  divenne il loro punto di riferimento per il gioco e le spacconate. Nessuno la usava, nemmeno i ragazzi con più inverni di loro, eppure nessuno mai la proibì ai tre monelli che vi andavano e venivano a piacimento.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteWo Geschichten leben. Entdecke jetzt