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-"Felice, non puoi mettere due appuntamenti che ci vogliono tempo così ravvicinati. Mio marito comunque non ce la farebbe a finire in tempo per l'altro appuntamento visto che deve andare dall'altra parte della città. Stasera, per le diciannove, metti la nostra riunione per il senatore Rouge. Portagli la lista degli appuntamenti e per cortesia scendi tu a prendergli qualcosa da mangiare, tanto non scenderebbe visto quanto è impegnato sul progetto" dico all'assistente incapace di mio marito.
-"D'accordo signora Morgan" risponde Felice timidamente. Non mi chiama mai per nome, ma sempre utilizzando il cognome da sposata.
Ho trent'anni e sono sposata da dieci anni con il capo di tutta la baracca, Ibrahim Alì Morgan. 
Sono arrivata a vent'anni a Parigi per intraprendere la mia carriera da architetto e ho iniziato come stagista nella sua azienda impegnandomi tantissimo senza cedere a lussi e divertimenti.
All'inizio ho lavorato come assistente e non ho fatto altro che impegnarmi e studiare notte e giorno, praticamente vivendo dentro l'azienda.
Un giorno, dopo aver assistito ad un litigio furioso tra Ibrahim e i suoi genitori, il mio capo all'epoca, mi propose un contratto dove entrambi ci impegnavamo in un matrimonio fatto solo sulla carta ed è così tutt'ora. Viviamo entrambi nel pieno rispetto, non invadendo la privacy dell'altro e abbiamo un ottimo rapporto come colleghi e amici. Spesso ci diamo consigli lavorativi anche se alcune volte bisticciamo anche noi sulle decisioni di alcuni progetti su cui lavoriamo insieme.
In tutti questi anni devo dire che non è stato facile e non è facile vivere accanto ad un uomo bellissimo che sembra un modello. E' alto sul metro e novanta e con un fisico abbastanza muscoloso, visto che si allena spesso e fa anche yoga alle prime luci del mattino. Ha i capelli abbastanza corti quasi neri, occhi castani e un pizzetto con una leggera barba sul viso.
Ultimamente lo vedo sotto una luce diversa, anzi, a dire il vero lo vedo sotto una luce diversa da otto anni, da quando una notte siamo rimasti bloccati in uno chalet di montagna in mezzo ad una tormenta di neve. Eravamo andati a trovare un cliente che era in vacanza e il maltempo ci ha sorpresi. Quella notte siamo rimasti senza luce e solo con il camino acceso a riscaldarci. Quel maledetto chalet aveva solo una camera in cui dormivano i nostri clienti e io e mio marito abbiamo dovuto dormire per forza sull'unico divano. All'inizio ci siamo addormentati seduti, poi non so e non mi ricordo come siamo finiti per addormentarci allungati e avvinghiati. Ho cercato di rimuovere quella notte dalla mia mente e solo ogni tanto mi ritorna in mente.
Oltre quella notte, non ci sono stati altri contatti fra di noi, al massimo due baci sulle guance per gli auguri o ci teniamo per mano quando dobbiamo presenziare a qualche festa o gala, ma più che altro per scena.
A casa viviamo come due amici che si rispettano e come una normale coppia nelle faccende di casa aiutandoci. Fin dall'inizio ho detto di non volere nessuna domestica a far le faccende dentro casa, visto che le ho fatte sempre da sola. Appena dopo il matrimonio, Ibrahim ha aperto un conto a mio nome versandoci tantissimi soldi i quali sono ancora lì sopra intatti. Ero stata chiara a riguardo, di non volere un conto e tutti quei soldi, ma lui mi ha risposto che potrebbero sempre servirmi un giorno e sono rimasta zitta per non litigarci un'altra volta.
-"Signora Morgan? Ha un attimo?" mi ferma Martine, una nuova promessa dell'architettura.
-"Dimmi cara" dico in modo gentile fermando la mia marcia verso la porta d'uscita del nostro piano.
-"Ha chiamato il calciatore Bonome, vorrebbe parlare con lei" dice emozionata.
-"Ok, ti ha detto cosa riguarda?" chiedo curiosa.
-"Si. Vorrebbe progettare una casa in campagna fuori Parigi. Voleva parlare con lei o con suo marito" mi spiega. Charles Bonome è un calciatore francese di fama mondiale, grazie al suo impiego nel Lille e nella nazionale francese.
-"Potresti parlarne con Ibrahim. Fai un affaccio nel suo ufficio e vedi cosa ti dice. Io ora devo scappare" dico di fretta.
-"D'accordo. A dopo signora" mi saluta.
-"A dopo Martine" la saluto ed esco dal nostro piano.
Siamo situati in un palazzo antico di otto piani e ristrutturato da noi alla periferia di Parigi, dove ci sono tutti uffici e il nostro studio si trova al quarto piano occupandolo interamente.
Raggiungo il ristorante poco distante dal nostro studio dove ho appuntamento con uno degli ingegneri turchi che collaborano con noi e con cui sto collaborando per un progetto di un centro commerciale ad Ankara.
-"Ciao Kemal, scusa il ritardo" dico salutandolo stringendogli la mano.
-"Ciao Jessica, tranquilla. Tutto bene? Tuo marito sta bene?" mi saluta mentre ci sediamo al tavolo.
-"Si tutto bene, grazie. Anche lui sta bene. Oggi è una giornata di quelle caotiche che non sai nemmeno dove sbattere la testa" dico con l'affanno. 
Kemal Karasau è un bellissimo uomo sui cinquant'anni, divorziato, bello in forma, alto, moro e con gli occhi neri. Sembra un modello e veste sempre di classe. Da quando lo conosco non fa altro che essere gentile, rimanendo sempre rispettoso nei miei confronti e non oltrepassando il limite, anche se una parte di me mi dice che se non fossi sposata ci proverebbe subito.
-"Allora, che mi dici del progetto del centro commerciale?" mi domanda in modo professionale con la sua voce calda.
-"Sei tu che devi dirmi qualcosa a riguardo caro Kemal. Io la mia parte l'ho fatta, ora voglio sapere la tua parte da pignolo come sei" dico sfottendolo e ridacchiando.
-"Mia cara, sai che quel posto poco mi convince. Non sono del tutto convinto di volerlo realizzare proprio in quella zona" die serio.
-"E allora facciamolo nell'altra zona che è tutta pianura" dico sospirando.
-"Non abbiamo i permessi" risponde serio. Alzo gli occhi al cielo.
-"Che diavolo ci vuole per avere i permessi di quella zona?" chiedo scocciata.
-"Lo vuoi proprio sapere? Forse non è il caso nemmeno di nominare certe cose" dice troppo serio.
-"Mmmm ho capito. E quindi? Dobbiamo cercare un altro posto?" chiedo preoccupata.
-"A questo punto si Jessica" dice sospirando.
-"Però dovrai fare i sopralluoghi tu. Io al momento non posso muovermi" dico pensando ai progetti da terminare che ho sul tavolo da lavoro.
-"Certo. Do un'occhiata in giro e ti faccio sapere" dice sorridendo mettendo in mostra la sua dentatura bianca e perfetta che fa contrasto con la sua barba nera e corta sul suo viso abbronzato.
-"D'accordo. Ordiniamo? Ho una fame da lupi e questa mattina ho saltato anche la colazione" dico facendo un cenno al cameriere.
-"Sai che la colazione è fondamentale cara?" dice dolcemente.
-"Certo Kemal, ma stamattina sono uscita anche prima di mio marito per fare un sopralluogo su un cantiere" dico ridacchiando.
-"Fossi stato in tuo marito, ti avrei rincorsa e ti avrei imboccata prima di farti uscire di casa" dice facendomi l'occhiolino e facendomi arrossire.
-"Alcune volte ci prova, ma quando vado troppo di fretta lo ignoro proprio e corro via" dico ridacchiando raccontando una piccola bugia.
-"Come mai ancora non avete bambini? Scusa se mi permetto" chiede poi sorprendendomi.
-"In realtà non ci abbiamo mai pensato. Siamo troppo impegnati con la carriera" dico sorridendo a disagio dopo aver inventato la stronzata del momento.
-"Ho capito" risponde semplicemente piegando il tovagliolo sulle sue gambe dopo che il cameriere ha portato a tavola le nostre pietanze ordinate.
-"E tu?" chiedo curiosa.
-"Non ho figli. Come ben sai sono divorziato da vent'anni. Mi ero sposato a vent'anni e a trent'anni abbiamo divorziato. Forse il matrimonio non ha mai fatto per me, amo la mia libertà, i miei spazi" dice sorridendo. Sorrido appena per quello che ha detto e per come mi stava guardando intrappolandomi con i suoi occhi neri.
-"Ho capito. E la tua ex moglie?" chiedo sorridendo.
-"Melek è rimasta sempre ad Ankara. Si è risposata dopo qualche anno e ha avuto due bambini" dice alzando le spalle e sorridendo. Sorrido e infilo del cibo in bocca mettendo in silenzio il mio stomaco brontolone.

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