La Principessa Che Non Credev...

By Live_And_Fly_Away

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Abigail ne era convinta. La sua sarebbe stata la storia di una ragazza che realizza il suo sogno. Di una rag... More

1. Benvenuta a Chicago
2. Dov'è finito Lucas O'Connor?
3. Tu non mi piaci
5. Credici rossa
6. Mi sta importunando
7. Mio figlio è scomparso
8. Complici
9. Birra e Confessioni
10. Sguardi
11. Inviti o scuse?
12. Scelte sbagliate
13. Problemi
14. Richieste d'aiuto
15. Non andare via...
16. Te l'avevo detto
17. Ho solo avuto paura
18. Amici?
19. L'ho fatto per te
20. Beneficio del dubbio
21. Masochista?
22. È diverso
23. Il Riscatto
24. Pranzo col botto
25. Odi et Amo
26. Il romanticismo non fa per noi
27. I guai non vengono mai da soli
28. Una parola di troppo ed è subito...
29. Quanto è piccolo il mondo
30. Vedere senza mai guardare
31. Stupido ad ammetterlo
32. Non avevo mai creduto alle favole
33. Difficile per lei
34. Non averti mai incontrato
35. Per volere del destino
36. Siamo l'opposto della perfezione
Epilogo

4. Hai già detto abbastanza

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By Live_And_Fly_Away

LUCAS

Non ero mai stato un amante della sveglia, soprattutto se puntata troppo presto ma, quella mattina quando mi svegliai, avrei preferito che fosse il rumore di una sveglia quella che squillava nelle mie orecchie e non la voce irritante di mia sorella.

<<Lucas!>> esordì a voce alta perché la sentissi bene, <<Ecco dov'eri finito! Forza alzati! É da ieri sera che Logan e Travis ti cercano! Capisco che per te gli altri valgano meno di zero ma, la gente tende a preoccuparsi per te se avete un appuntamento e tu non ti presenti, anche se non te lo meriteresti!>>.

La sera prima mi ero addormentato sul divano e mi trovavo ancora in quella posizione quando mia sorella decise di prendere un bicchiere d'acqua e versarmelo sul viso. Mi alzai di scatto senza trattenere alcun insulto o imprecazione. Possibile che neppure in vacanza forzata potessi dormire?!

<<Ellie, non ti hanno insegnato a suonare prima di entrare in casa d'altri?!>> sbottai infastidito passandomi una mano sul volto per darmi un'asciugata.

<<Ho suonato tre volte dopo averti chiamato per altre cinque al telefono. Non rispondevi così mi sono fatta dare le chiavi dal tuo portinaio>> sorrise falsamente sedendosi sul divano al mio fianco.

Patrick mi avrebbe sentito appena mi fossi liberato dell'urlatrice.

Non sopportavo quando mi trattava come un bambino. Era lei la più grande tra i due e nel corso della mia infanzia mi aveva fatto molto da mamma, però ogni cosa ha il suo limite e lei l'aveva oltrepassato come sempre.

<<Che cos'è successo qui? Puzzi tremendamente d'alcol>> mi fece notare con un'espressione schifata e sventolandosi una mano davanti al viso.

<<Avevo bisogno di rilassarmi, tutto qui>> spiegai alzando le spalle indifferente per poi appoggiare il capo su un cuscino. Avevo un terribile mal di testa e di parlare o anche solo avere un qualche tipo di conversazione mi costava molta fatica. Lei ovviamente però non l'aveva capito

<<Lucas, cominci seriamente a preoccuparmi. Ormai sono più le sere che ti ubriachi che quelle in cui rimani sobrio. Posso capire che la decisione di papà non sia molto favorevole per te ma, non per questo hai il diritto di diventare un alcolizzato e far preoccupare in questo modo chi ti sta intorno>> mi rimproverò come quando avevo sedici anni e uscivo ogni fine settimana con gli amici, tornando sempre completamente andato.

Quello che però né Ellie né nessun altro capiva era che non fossi più un ragazzino e che non potessero riprendermi e mettermi in punizione come se ancora lo fossi. Ero un uomo di quasi trent'anni sapevo esattamente ciò che fosse meglio per me.

<<Ellison, non sono un alcolizzato mi piace semplicemente svagarmi un po'. E sappi che non ho bisogno che qualcuno mi faccia la predica>> sbuffai afferrando la bottiglia di vetro per terra al divano, constatando che non fosse del tutto vuota. Feci per portarmela alla bocca per finirla quando Ellie, prontamente, me la strappò di mano.

<<Il fatto che tu non abbia bisogno della predica, è discutibile. Non capisco come tu possa pensare di non aver bisogno d'aiuto! Sono le dieci del mattino ed eri sul punto di ricominciare a bere! Ti rendi conto oppure no?!>> sbottò fuori di sé posando la bottiglia lontano da me.

<<È per papà, per Grace? Lucas, parlami>> mi prego appoggiando una mano sulla mia spalla e, anche se non potevo vederla, ero certo che stesse provando compassione per me.

Dal canto mio, ogni istante che passava mi convincevo sempre di più che la gente è molto brava a dare consigli ma, poco a farsi i fatti suoi e pensare ai problemi che affliggono la loro vita. La mia vita era una merda ma almeno non tentavo di dare inutili consigli agli altri come un perfetto ipocrita.

<<Posso sapere perché tutti pensate di dovermi aiutare?! Sono grande abbastanza per prendermi le mie responsabilità! So badare a me stesso e alla mia vita!>> sbottai alzandomi in piedi e cominciando a girare per la stanza come un pazzo.

<<Io non sto dicendo che tu non sia in grado di badare a te stesso ma, che stare tutto questo tempo immerso nel lavoro dopo la separazione da Grace, non ti abbia fatto molto bene!>> tentò di spiegarsi ma ormai la mia mente aveva preso una brutta piega, sentendomi attaccato dalla mia stessa sorella in casa mia per di più. Ero sempre stato un tipo molto suscettibile da diversi punti di vista. Non avevo mai capito perché fossero sempre i miei stessi famigliari a remarmi contro, anche dopo tutti quegli anni. Ogni volta c'era una scusa diversa: adesso ero alcolizzato.

<<Fammi capire, tu ti senti in dovere di aiutarmi perché la tua vita è perfetta, no? Non c'è nulla che non vada! Non sapevo che tu e tuo marito aveste risolto il fatto di non poter aver figli!>> esclamai senza pensare agli effetti che potessero avere le mie parole. Me ne resi conto forse troppo tardi. Quando vidi l'espressione preoccupata sul volto di Ellie trasformarsi in risentita. Avevo visto poche volte mia sorella, sempre allegra e sorridente, fredda e glaciale come in quel momento. Non avrei mai pensato che un giorno avrei visto tale espressione rivolta a me.

<<Ellie, io...>>.

<<No Lucas, hai già detto abbastanza per quanto mi riguarda>> decretò alzandosi senza tentare più di incrociare lo sguardo con il mio.

<<Ascolta, io non volevo dire...>>. Avevo fatto un casino. Mia sorella e Carter, il suo attuale marito, cercavano di avere un figlio da anni ormai ma, Ellie non riusciva ad arrivare ai tre mesi di gravidanza. Ogni volta pensavano fosse quella buona ma poi puntualmente mia sorella perdeva il bambino e finiva con il passare giorni chiusa in casa per poi ricominciare da capo. Era una donna da ammirare ed io l'avevo sempre fatto e continuavo a farlo. È proprio vero che chi ha il pane non ha i denti.

<<Adesso non mi interessa sinceramente che cosa intendessi. Ero passata per accertarmi che fossi ancora vivo e per dirti che Grace è partita... per Sidney, credo, e che dovrai tenere Will per un po'>> parlò a raffica sempre evitando il mio sguardo, <<ti ho messo la borsa con i suoi vestiti vicino alla porta>>.

Continuava a parlare raccattando distrattamente la sua giacca dal divano e dirigendosi senza freno verso l'entrata. Non avevo mai sopportato l'idea di poter litigare con i miei fratelli, soprattutto con mia sorella. Avevo un legame speciale con lei, solo che non poteva pensare di poter mettere becco in ogni cosa della mia vita.

<<Ellie, ti vuoi fermare un attimo?!>> esclamai esasperato. Volevo chiarire ma lei non mi rendeva nulla facile come suo solito.

<<Hai avuto tutto il tempo per parlare. Ora sono io a non volerti ascoltare>> mi fermò con fare teatrale. Se non avesse fatto la modella penso che sarebbe stata un'ottima attrice di Hollywood.

<<Perché tu lo sappia, devi andare a prendere Will a scuola oggi>> disse poi prima di chiudersi la porta di casa alle spalle e lasciarsi scappare un flebile "ci vediamo".

Mi bloccai davanti alla porta dopo che mia sorella se ne fu andata. Fermo e inerme a fissare le venature della porta in legno scuro, a pensare come fossi finito in quella situazione. Ero sempre stato un uomo attento e riflessivo, sin da ragazzino. Il mondo in cui viveva mio padre però mi aveva fin da subito travolto con i suoi pregi e difetti. Ero molto presto diventato arrogante e - per quanto ne diceva la gente - un grandissimo egoista. Non sapevo quando fosse successo ma ero cambiato completamente. È stato proprio ad inizio carriera che avevo conosciuto quella che sarebbe poi diventata mia moglie e la madre di mio figlio. Era bella da mozzare il fiato, abbastanza stronza da farsi desiderare fino ad impazzire e, soprattutto, non cercava una relazione seria. La donna ideale quindi. Peccato che le cose si fossero complicate irrimediabilmente quando era rimasta incinta.

Scossi il capo tornado alla realtà e senza stare troppo a pensarci mi lanciai nuovamente sul divano. Avevo troppo sonno arretrato per i miei gusti. Mi addormentai in meno di cinque minuti forse ancora troppo intotito dalla sbornia della sera prima per pensare alla discussione avuta con mia sorella e provare un qualche senso di colpa.

Mi svegliai solo diverse ore dopo con un mal di testa lancinante e una fame da lupi. Con un passo da zombi e con la consapevolezza di puzzare come un ubriacone, gettai gli abiti che indossavo nel cesto dei panni sporchi, che la donna che vieniva a fare le pulizie si sarebbe occupata di svuotare, e mi infilai sotto la doccia. Avevo sempre considerato la doccia una sorta di rigenerazione dopo una giornata intensa di lavoro o di una notte da dimenticare. Solo che in quel momento non facevo altro che tornare a pensare alle parole di mia sorella e il senso di colpa che quella mattina non avevo avuto iniziò a farsi sentire.

Ero sempre stato un gran bastardo ma quella volta avevo davvero esagerato. Con Ellie poi, che aveva fatto di tutto e di più per me. Dovevo ringraziare solo lei se non avevo preso brutte strade durante la mia adolescenza.

Ero un grandissimo imbecille...

Per quanto avrei voluto risolvere tutto, non ebbi il tempo per autocommiserarmi poiché, appena uscito dalla doccia, i miei occhi caddero sull'inutile sveglia che mi aveva regalato mio fratello l'anno prima per il compleanno. "Così non puoi arrivare tardi" aveva detto ridendo. Certo, infatti non mancava meno di mezz'ora all'uscita da scuola di Will.

Imprecai ad alta voce mentre mi buttavo letteralmente nella cabina armadio per trovare qualcosa di decente da indossare. Non ho idea di come feci ma tempo dieci minuti ero vestito profumato e sembravo meno un barbone di poco prima. Potevo ritenerlo un miracolo vista la mia immagine prima di entrare in doccia. Afferrai le chiavi dell'auto e di corsa uscii di casa. Sapevo che sarei comunque arrivato in ritardo ma almeno dovevo provarci.

Non ero mai stato una di quelle persone che arrivano in anticipo, al massimo in orario ma solo se mi obbligavano ad uscire di casa con la forza. In molti non mi avrebbero definito un padre modello, ero sempre dietro a scordarmi le cose, a dire parolacce e uscire con donne che tutto cercavano fuorché formare una famigliola felice. Avevo perso il conto di tutte quelle volte che sia mio padre che mia sorella mi avevano rimproverato per non essermi presentato ad una partita od a qualche appuntamento scolastico con Will. Solo che io proprio non ci riuscivo, ero diventato padre prima ancora di diventare adulto a tutti gli effetti. Legalmente non potevo neppure bere alcolici! Poi non potevo dire che mia pseudo moglie mi avesse aiutato molto. Era più il tempo che passava all'estero per le sue varie sfilate che il tempo che passavamo insieme.

Parcheggiai davanti alla Prescott Elementary School quando ormai il parcheggio era completamente deserto, se non si consideravano alcuni studenti del liceo che chiacceravano mentre si incamminavano verso casa.

Imprecai mentalemete mentre di corsa mi dirigevo verso l'entrata della scuola salutando velocemente il guardiano. Già immaginavo l'espressione truce di mio figlio quando mi avrebbe visto. Ogni tanto mi domandavo che cosa pensasse di me sinceramente. Fossi in lui probabilmente mi odierei.

Lo trovai seduto in un'aula vuota insieme ad una donna che appena si accorse di me alzò gli occhi al cielo. Dovevo averla già vista ma sinceramente non ero in vena di mettermi lì e ricordare.

<<Buon pomeriggio, signor O'Connor>> mi salutò la donna attirando l'attenzione del bambino di fronte a sé che alzò subito lo sguardo verso di me.

<<Salve, mi scusi per il ritardo ma ho avuto un inconveniente>> spiegai avvicinandomi a Will che alle mie parole scosse leggermente il capo.

<<L'importante è che sia arrivato. Avevo proprio bisogno di parlare con lei... da soli>> sorrise forzatamente facendo un cenno del capo a Will perché uscisse dall'aula. Il bambino senza neppure guardarmi fece come la donna gli aveva ordinato, chiudendosi la porta alle spalle.

<<Ehm... mi dica...>> esordii appoggiandomi ad un banco senza sapere dove volesse andare a parare.

<<Vorrei parlare del comportamento di William. In questo periodo è molto più vivace e disubbidiente del solito. Non lo è mai stato e per quanto possa provare a capire la sua condizione in questo momento, direi che è fuori luogo in un'istituzione come la scuola>> disse con voce gelida senza guardarmi negli occhi.

<<Che tipo di comportamenti assumerebbe mio figlio che sono tanto contrastanti con questa istituzione?>> mi scappò una risata nervosa, mentre tentavo di trattenermi dal dire ciò che sinceramente pensassi.

<<Parla durante le lezioni in modo assiduo, spinge i compagni, non fa i compiti e non studia. Qui non si viene a giocare, signor O'Connor, e le sarei grata se non ridesse>> mi riproverò come se fossi un suo alunno.

<<Penso che questo sia un comportamento tipico, William è un bambino>> le feci notare basito dalla sua franchezza.

<<Non è normale. Lo sarebbe se suo figlio avesse sedici anni e fosse in piena crisi ormonale, ma siccome ne ha otto non lo è. So della separazione tra lei e sua moglie e penso che Will non l'abbia presa molto bene e faccia di tutto per attirare la vostra attenzione. Ci sono molti casi come questo oggigiorno, vorrei consigliarle di sentire una psicologa>>.

Avevo sentito bene? Mi stava "consigliando" una psicologa? Questo era troppo, mio figlio non aveva nulla che non andasse. Era un bambino un po' vivace e scansafatiche ma era normale!

<<Io non porterò mio figlio da uno strizzacervelli solo perché non se ne sta fermo e composto sulla sedia. E gradirei che non facesse riferimento a persone e fatti di cui non è informata, come il mio matrimonio. Non è affar suo e vorrei che continuasse a non esserlo>> esclamai serio e terribilmente risentito. Era la seconda persona quel giorno ad attribuire i problemi della mia famiglia al mio divorzio. Era così difficile pensare che stessi molto meglio dopo aver rotto con Grace?

<<Signor O'Connor se non ha intenzione di prendere provvedimenti lei, dovremo farlo noi>> mi fece notare con un'espressione sufficiente dipinta sul viso.

<<Faccia come crede ma, mio figlio, da uno strizzacervelli non lo porto>> conclusi con un tono che non ammetteva repliche.

Detto questo, io e il mio orgoglio ci congedammo dalla donna che mi guardava con compassione e uscimmo da quell'aula che stava diventando sempre più piccola ai miei occhi.

Nel corridoio in piedi in un angolo trovai Will che mi fissava con un'espressione glaciale. I suoi occhietti azzurri, tanto simili a quelli della madre, rendevano ancora meglio l'idea di freddezza. Mi dispiaceva averlo deluso, di nuovo, ma non potevo prendermi tutta la colpa io. Non riuscivo a gestire tutto e la mia mente era troppo presa dalle ultime novità per poter badare anche a quello.

Senza dire niente il bambino mi superò e con passo spedito si diresse verso l'uscita. Mi sentivo terribilmente in colpa ma, non potevo cancellare le mie azioni o le mie parole, così a testa bassa lo seguii senza dire nulla. Non c'era molto fa dire.

Per tutto il tragitto in auto non spiccicò una parola troppo preso a guardare fuori dal finestrino con un'espressione delusa, tanto che mi sembrò essere sul punto di piangere. Se dovevo essere sincero erano anni che non lo vedevo più piangere davvero. Era sempre sulle sue, parlavamo poco e quando lo facevamo non affrontavamo mai argomenti troppo pesanti, come la separazione da sua madre o il fatto che passasse più tempo con le babysitters che con noi. Tendeva a rispondere solo a monosillabi e non ti faceva mai sapere che cosa pensasse davvero. Ellie aveva pensato diverse volte di portarlo da uno psicologo ma Grace non ci aveva mai fatto troppo caso ai consigli di mia sorella ed io - beh - non sopportavo l'idea che mio figlio fosse considerato un pazzo.

<<Dove stiamo andando?>> domandò ad un tratto interrompendo il corso dei miei pensieri.

<<Ci fermiamo un attimo in azienda, devo fare una cosa>> spiegai svoltando a sinistra e imboccando il viale in cui sorgeva la "O'Connor's Creations". Non sopportavo l'idea di essere tagliato fuori da tutto, avevo bisogno di sapere se fosse tutto a posto ed avevo intenzione di ottenere risposte ad ogni costo.

<<Zia Ellie ieri ha detto alla mamma che per un po' non lavorerai più lì>> mise le braccia conserte contro al petto fissandomi dallo specchietto retrovisore.

<<Zia Ellie dice tante cose>> dissi imprecando mentalmente contro la boccaccia larga di mia sorella, <<Ci metteremo un attimo, non ti preoccupare>> dissi poi accostando a pochi metri dall'entrata. Dovevo entrare di soppiatto e se mi fossi parcheggiato davanti mi avrebbero beccato subito.

Non sapevo il motivo ma dal giorno prima l'entrata era sorvegliata dai due buttafuori che affiancavano Nora. Dubitavo però che fossero lì per me, sarebbe stato un po' esagerato.

<<Poi andiamo da Cole a fare merenda?>> domandò Will guardando dall'altro lato della strada il bar del mio vecchio amico.

<<Dopo vediamo, adesso tu aspettami qui>>.

<<Io ho fame, posso andare lì mentre tu convinci Nora a farti entrare?>> insistette senza accennare a mollare la presa.

<<Ho detto dopo William. Aspettami qui, ci metto un attimo>> decretai con un tono che non ammetteva repliche.

Ero troppo preso dalla foga di entrare di nuovo in azienda per dargli davvero ascolto. Scesi dall'auto senza aggiungere altro e mi diressi verso l'entrata.

A dirla tutta l'idea di rivedere Nora dopo la scenata in pubblico del giorno prima non era una prospettiva così allettante. Non sapevo come avrebbe reagito ma, sinceramente, in quel momento il suo risentimento nei miei confronti poco mi importava. Mi sarebbe bastato che apparisse Jonny, Jordan, o qualunque fosse il nome del mio stagista, per sapere le novità in azienda.

Solo che non fu affatto facile. Appena messo piede nella hall infatti, i due gorilla assunti da mio fratello tempo indietro mi si pararono davanti impedendomi il passaggio.

<<Dovrei passare>> dissi loro cercando di mantenere la calma.

<<Siamo desolati signor Connor, ma ci è stato fatto preciso ordine di impedierle di entrare>> disse uno dei due con un'espressione neutra e senza guardarmi negli occhi.

Ma che cosa avevano i miei occhi quel giorno che nessuno si azzardava a guardarli?!

<<Vorrei farvi presente che questa azienda è anche mia e che ho tutto il diritto di entrarvi>> guardai prima uno e poi l'altro sperando in qualche effetto.

<<Ordini di suo padre>> si limitò a dire l'altro.

Non ci potevo credere. Era fuori discussione che io mi lasciassi sbattere fuori da due dei dipendenti di mio padre. Ero Lucas O'Connor, capo stilista della "O'Connor's Creations", la gente mi rispettava, mi ammirava. E adesso ero finito a pregare due buttafuori per farmi entrare nella mia azienda?! Era incredibile quanto in basso potessi essere caduto.

Feci per aprire bocca ma l'attenzione di tutti fu attratta da tutt'altra parte. Fuori in strada, per l'esattezza, dove un urlo aveva sferzato il solito caos delle quattro e mezza del pomeriggio. Subito dopo vidi un gruppo di persone radunarsi intorno ad un punto proprio in mezzo alla strada.

Ero confuso. Non avevo idea di che cosa fosse successo ma sentivo di essere preoccupato. Furono le parole che riuscii a cogliere da un passante a cominciare a farmi palpitare il cuore come mai prima di allora.

<<Penso abbiano investito un bambino e una donna in mezzo alla strada>>.

Mollai lì i due gorilla con il cuore in gola, per precipitarmi fuori e accertarmi che Will fosse ancora in auto. Non poteva essergli accaduto qualcosa. Era mio figlio e anche se non ero solito dirglielo gli volevo un gran bene, non potevo sopportare di perderlo. Era forse l'unica cosa buona che avessi mai fatto in tutta la mia vita ed ero serio nel pensarlo.

Solo che quando arrivai alla macchina, la trovai aperta e per di più vuota. Lì fui certo di aver perso circa dieci anni della mia vita e che sarei morto se fosse successo davvero qualcosa a Will.

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