Baby, you are my trouble

Autorstwa Sara_H96

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Quando incontra Jamie e Aaron per la prima volta, Taylor non sa che il fato ha già scelto per lei: uno dei du... Więcej

❥Pʀᴏʟᴏɢᴏ
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∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 2
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 3
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∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 20
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 21
Sequel
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 22
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 23
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 24
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 25
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 26
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 27
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 29
∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 30
❥Epilogo
Ringraziamenti
Baby, you drive me mad
Avviso
Importantissimo ❤️

∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 28

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Autorstwa Sara_H96

In foto: Diego Barrueco come Benjamin
Canzone: Smells like teen spirit dei Nirvana
•••

Jamie

Era un po' nervoso quella mattina.
I poliziotti lo facevano innervosire. E in quale posto poteva trovarsi se non al dipartimento di polizia di Los Angeles, un posto strapieno di uffici che brulicava di poliziotti?
Prese a grattarsi vigorosamente un braccio dal gran che era nervoso. Vide Aaron prendere le distanze da lui per avvicinarsi al banco informazioni e improvvisamente si ritrovò da solo al centro della hall a guardare, di qua e dila, persone in divisa che correvano da una scrivania a un'altra. Poi, con lo sguardo, incappò in una scatola di cartone sulla scrivania più vicina.

Ciambelle!

Riconobbe il logo di Dunkin' Donuts su un lato della scatola e il suo stomaco brontolò per non aver visto ancora cibo quella mattina. 

«Jamie, cosa stai aspettando?» Jamie spalancò gli occhi verdi. Le ciambelle gli stavano parlando? Aveva l'acquolina in bocca, riusciva già a sentire il sapore della glassa al cioccolato bianco sulle labbra. Si girò di novanta gradi e camminò verso la scrivania. «Jamie!» La voce parlò ancora. «Cosa ti è preso?»

Cosa? pensò. Poi si rese conto che era stato Aaron a parlare. Ma certo, so che le ciambelle non possono parlare. Pff. si disse, ma non servì a farlo sentire meno stupido.

«Hai detto ciambella?» disse meditabondo ad Aaron, la bava alla bocca. «Ehm volevo dire... qualcosa.» si corresse in fretta. «Hai detto qualcosa?»

Il ragazzo passò circa un minuto in silenzio, poi si decise e rispose: «Ho detto che dobbiamo muovere le chiappe, l'ufficio di Parrish è di la.» ripeté e indicò una porta sul lato ovest del dipartimento.

«Va bene,» Sbuffò, spingendosi il cappello degli NYY sul naso, così che andasse a coprirgli gli occhi. «andiamo allora.»

L'ufficio era abbastanza grande, ma vuoto per metà. L'arredamento era ridotto al minimo indispensabile che permettesse a Parrish di svolgere il suo lavoro. Scrivania, sedia, schedario.
Jamie passò in rassegna ogni angolo della stanza e solo alla fine, si accorse del ragazzo che ammirava la strada dalla finestra, posta dietro la scrivania.

Era alto, le spalle erano larghe, i capelli erano biondo cenere e Jamie era sicuro rispondesse al nome di Ashton.

«Che strano incontrarti qui.» Jamie fece un passo avanti verso la scrivania. «Vogliono arrestarti?» lo provocò mentre un moto di antipatia si manifestava dentro di lui. «O l'hanno già fatto?»

Era inutile per Jamie sforzarsi di farsi andare a genio quel ragazzo, gli rimaneva incastrato in gola, non gli andava ne su ne giù.
E il fatto che fosse l'ex migliore amico di Taylor, lo rendeva ancora più detestabile.

Aaron chiamò Jamie picchiettandogli il gomito nelle costole. «Lo conosci?»

«È un amico di Taylor.»

«Migliore amico in realtà.» lo corresse il biondo aggiungendo un sorriso sghembo, che Jamie si immaginò di poter cancellare con un pugno in bocca. «E no, mi dispiace deludere le tue aspettative, ma nessuno qui mi arresterà.»

«Che peccato.» grugnì Jamie fingendo un sorriso. La bocca gli rimase bloccata in quel sorriso che sembrava di plastica, si ricompose quando la mandibola iniziò a fargli male.

«Che ci fai qui? Nell'ufficio dell'agente Parrish?» chiese Aaron con l'impassibilità e l'indifferenza che Jamie non riusciva a tenere.

Ash superò la scrivania per camminare nella loro direzione. «Sono il fratello di Lisa, sua moglie.» Jamie notò il tono rispettoso con cui si rivolse ad Aaron. «Sto facendo un tirocinio qui.»

«Okay biondo ossigenato, se mai vorremmo sapere qualche altro particolare della tua vita da fighetto te lo chiederemo. Adesso puoi farci la cortesia di chiamare Jordan? Siamo di fretta.»

«Scusalo,» si dispiacque Aaron grattandosi il capo. «diventa aggressivo quando non mangia.»

Ash fece una risata a quel commento e Jamie lo trovò fastidioso.
Chi si credeva di essere? La versione maschile di Paris Hilton? (O Paris Hilton stessa!)

Dopo che il ragazzo fu uscito, sia Jamie che Aaron si sedettero, in attesa. A Jamie faceva male la schiena dopo la scorsa notte, in cui era stato costretto a dormire sul pavimento della camera di Taylor sopra quattro strati di coperte arrangiati a materassi.
Strisciò un po' più in basso sullo schienale della poltrona, poi distese le gambe e incrociò le mani sul ventre.

Inspirò, forse troppo rumorosamente.

«Non credo tu stia prendendo sul serio questa situazione.» commentò Aaron con lo sguardo che vagava nella stanza. «Ti sei arreso?» chiese con la delusione nella voce.

Jamie chiuse gli occhi, il viso rivolto al soffitto. «No, penso solo che tutto questo sia una perdita di tempo. Se lo sbirro non ha voluto parlarne a Taylor, di certo non lo farà con me.»

C'era un meccanismo difensivo che Jamie usava per impedire che venisse ferito. Ed era non avere aspettative. Aspettative era uguale a illusione e illusione era uguale a fregato.
L'equazione era semplice e bastava davvero poco per metterla in pratica.

Qualche minuto dopo, Ash tornò accompagnato da un uomo che Jamie faticò a riconoscere. Lo aveva visto poche altre volte dalla notte dell'omicidio del fratello e sebbene i suoi occhi blu e la mandibola squadrata fossero gli stessi di una volta, alcuni tratti del viso erano mutati.

«Ti ho procurato delle ciambelle, poi non dire che sono scortese.»

«Ci hai sputato sopra?»

«Forse.» scherzò Ash, ma Jamie abbandonò comunque la scatola sulla scrivania.

«In cosa posso aiutarvi ragazzi?» Jordan fece un sorriso contenuto e strinse la mano a Jamie e ad Aaron che si erano alzati in piedi.

Un dubbio si insinuò come un serpente nella mente del ragazzo con il piercing.
Ricordava chi fosse? Lo aveva riconosciuto o faceva finta di non sapere?

«Le spiace se vado dritto al sodo?» volle sapere.

Parrish scosse la testa disorientato, sembrava sommerso da una nuvola di pensieri. «Certo che no.» disse piatto.

«Ho bisogno che mi dica tutto quello che sa su mio fratello, Benjamin Anderson, ucciso sette anni fa da una banda di ragazzi. So che sa qualcosa, una ragazza di nome Taylor è venuta a parlarle qualche giorno fa e non ha voluto dirle niente, ma ora ho bisogno che lo dica a me.» lo pregò.

Jordan si voltò dandogli le spalle, lo sguardo che scorreva su tutto il pavimento. «Mi spiace, ma come ho detto con la ragazza, non posso dire niente.»

«Perché quella notte mi ha fatto scappare dalla scena del crimine dicendomi che era meglio non essere coinvolto?» insisté abbassando la voce. Gli occhi di Jamie erano fissi su quelli dell'agente ed erano insistenti, tanto che Jordan non riuscì più a distogliere lo sguardo.

L'uomo scosse la testa.

«La prego, potrei ricattarla se volessi, potrei andare dallo sceriffo Hamada e dirgli  che lei ha falsificato la dichiarazione ufficiale dell'omicidio di Benji, ma non vorrei doverlo fare.» disse senza scomporsi.

«Be' dovrai farlo invece, perché non dirò niente.» concluse Jordan andando ad aprire la porta dell'ufficio, segno che la conversazione finiva li.

Taylor

Fece un drop sulla half-pipe di uno skatepark, nelle vicinanze della spiaggia, meritandosi gli applausi della sua nuova crew.
Non si sentiva fondamentalmente legata a loro dal punto di vista sentimentale (cosa importantissima in una crew), ma le era di grande ispirazione la loro esperienza.
Che le piacesse o no, i Keep In Mind erano i più bravi skater della California, mentre lei poteva solo sognare di arrivare a loro livello.

«Come sono le nazionali?» chiese Taylor tirandosi lo skate sotto al braccio.

Si prese un attimo di pausa per guardare l'ollie di Dawson, un ragazzo brutto e grassoccio che indossava dei vestiti di almeno due taglie più piccoli. Aveva due grandi braccione, avvolte come prosciutti dal cotone della maglietta a maniche corte dei Nirvana e, sotto i bermuda che arrivavano al ginocchio, due cosciotti di maiale al posto dei polpacci.
Taylor dubitava seriamente che a quella massa di lardo riuscisse un ollie con i fiocchi. E invece gli riuscì, non perfetto, ma migliore di quello che avrebbe mai fatto lei, il che la scoraggiò alquanto.

Intanto, Harvey la raggiunse facendole scivolare un braccio dietro la schiena. «Piene di fighetti e figli di papà che non sanno stare sullo skate neanche se ce li metti in piedi e li trascini.»

Smontò i suoi castelli di sabbia in un baleno.
Aveva sempre immaginato che le nazionali fossero come nei film.

«Già, ricordate quella crew l'anno scorso... come si chiamavano? Scotch? Swatch?» ridacchiò un ragazzo dai capelli rosso fuoco, Taylor non riuscì a ricordare il suo nome in quel momento.

«Eccome se li ricordiamo bello... non riuscivano a fare un solo trick senza finire a pulire il pavimento con le chiappe.»

Mentre intorno a se le risate aumentavano, Taylor sentì una sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco.
Odiava, quando qualcuno prendeva per il culo il lavoro altrui, specialmente se quelli non potevano difendersi.

«Be, sono sicura che se sono arrivati li, qualcosa la sappiano fare.» disse indispettita.

«Si,» rise Douglas rispondendo a tono. «sanno leccare il culo dei giudici e sganciare mazzette meglio di chiunque altro.»

«Chi siete voi per giudicare gli altri?»

«E tu chi sei ragazzina per rompere i coglioni?»

«Sono quella che ti farà il culo se non chiudi la bocca!»

Un coro di «Uhh» si levò alle spalle del ragazzo.

Gli sarebbe saltata alla gola se Harvey non le si fosse parato davanti, bloccando ogni suo movimento con il proprio corpo.
Le sue dita strette intorno ai polsi della ragazza come una corda di canapa.

«Sta buona tigre.» Sentì il suo alito caldo sfiorarle l'orecchio e l'unica cosa che impedì a Taylor di ritrarsi, fu la colonna di cemento contro cui Harvey l'aveva spinta.

«Lasciami.»

«Quando lo deciderò io.» bisbigliò, il tono provocante.

La spaventava la forza che quel ragazzo esercitava su di lei, non riusciva a muoversi da quella posizione, sentiva che se lo avesse fatto sarebbe finita con la faccia coperta di lividi, come quella di Cloe.
Dopotutto era un assassino, non sapeva come avrebbe reagito se lo avesse rifiutato.
Le labbra di Taylor tremarono quando il ragazzo le disegnò una forma indistinta sulla guancia con la punta dell'indice. Le dita scesero ancora un po' più in basso, sul mento, che afferrò tra indice e pollice.
Taylor sentì gli occhi serrarsi, senza aver dato alcun comando al cervello, quando Harvey la baciò con ferocia.
Fu un bacio che lei non si sognò nemmeno lontanamente di ricambiare, anzi, gemette cercando di allontanarlo con la forza, ma fu inutile.
Alla fine, fu lui ad allontanarsi e come fosse un giocattolo, la piantò li e se ne andò, in attesa del momento in cui avesse avuto voglia di giocare ancora con lei.

Jamie

Fuori dall'ufficio dell'agente Parrish, successe una cosa strana.
Ash li avvicinò prima che mettessero piede nella hall e disse: «Ho sentito che stai cercando delle informazioni su tuo fratello.» Jamie lo guardò con riluttanza non capendo dove volesse andare a parare.

«Hai origliato.» fece notare Aaron.

«Posso aiutarvi.» aggiunse il biondo, abbassando un po' la voce. «Se c'è qualcosa che Jordan non vi ha detto, allora potete trovarla nella cartella del caso.»

Stava cercando di aiutarli? Perché?
Jamie non si fidava di quel ragazzo, ma Aaron sembrava ottimista e disposto ad ascoltarlo.

«Dove si trova questa cartella?» si informò.

«Nello schedario.»

Aaron spalancò un po' gli occhi. «Nell'ufficio di Parrish?»

Ash annuì.
Jamie lo guardò di traverso, come se lo avesse appena insultato.

«E quale genialata ti sei inventato per poter andare a prendere la cartella senza farti vedere?» domandò con qualche nota di cinismo nella voce.

«Non sarò io a prenderla,» Ash scosse il capo facendosi scappare una risatina, l'angolo sinistro delle labbra si sollevò. «sarete voi. Ogni giorno resto qui fino alla chiusura, controllo che tutto sia a posto e poi vado via.» Indicò la porta d'ingresso con uno sguardo e nel contempo fece attenzione che nessuno fosse a portata d'orecchio. «Per pura distrazione, potrei dimenticare la finestra dell'ufficio di Jordan aperta questa sera.» Dopodiché sollevò le spalle come un gesto di innocenza, infilò i pollici delle mani nelle tasche dei pantaloni e tornò sui suoi passi fino all'ufficio di Parrish.
Jamie rimase interdetto con la lingua che sembrava legata con lo spago.

***

Aspettarono nei dintorni della stazione di polizia per tutto il giorno, in attesa che l'edificio fosse libero.
Alle dieci in punto, erano sul retro davanti alla finestra dell'ufficio di Parrish. Camminarono a passi brevi tra le erbacce e raggiunsero il davanzale.
La finestra era chiusa fino a metà, ma prima di infilare la mano e aprirla del tutto, Jamie si voltò per guardare l'amico.

«Se il piano va a puttane, l'idea di fidarsi del biondo è stata tua.» gli ricordò.

«Andrà bene, muovi il culo.» e lo spinse verso la finestra.

Jamie la afferrò per la cornice in legno e tirò su accompagnandola fin sopra la sua testa senza far rumore.
Con destrezza, entrarono e Aaron provvide subito a tirare fuori la torcia, che avevano comprato quel pomeriggio dal negozio difronte. Quando si accese, una colonna di luce sferzò il buio e gli oggetti tutt'intorno divennero appena un po' più visibili.

«Jamie qui.» Aaron era già accanto allo schedario mentre Jamie controllava, attraverso le tendine delle finestre interne, che non ci fosse nessuno dall'altra parte.

I cassetti contenevano tutte le cartelle in ordine alfabetico, quindi Jamie andò subito ad aprire il primo cassetto che conteneva le lettere A, B e C. Aaron puntò la luce gialla della torcia sui cognomi, mentre Jamie scartabellava i fascicoli raccolti con cura.

«Trovato!» esclamò Jamie e tirò furori la cartella con su scritto Anderson.

«Forza aprila.» lo spronò l'amico dopo un istante di esitazione.

Finalmente avrebbe scoperto la verità. Avrebbe scoperto cosa nascondeva Jordan e perché la notte dell'omicidio lo aveva fatto scappare, non credeva che fosse per un'amicizia del fratello con il poliziotto. Parrish non avrebbe sacrificato in quel modo la sua carriera.

Jamie aprì la cartella, era piena di documenti e tra questi gli capitò di posare lo sguardo sul referto dell'autopsia. Percepì un nodo allo stomaco, ma cercò di ignorarlo stringendo i denti.
Andò avanti nella ricerca e si fermò quando trovò un foglio firmato dall'agente Parrish.

«Porca puttana!» imprecò subito dopo averlo letto e gettò a terra il foglio. «Dice sempre le stesse fesserie. Non c'è niente di nuovo!» disse arrabbiato con se stesso perché si era permesso di sperare. Si, questa volta aveva sperato di trovare davvero qualcosa che lo portasse un passo più vicino alla verità.

La mano di Aaron si posò sulla sua spalla e il ragazzo sospirò. «Troveremo qualcos'altro fratello, non preoccuparti.»

Come faceva Aaron ad essere sempre così positivo?
A volte Jamie desiderava avere la metà della sua fiducia nelle cose e nelle persone. Ma lui non era il genere di ragazzo che si fidava. Anche per questo erano amici. Aaron si fidava troppo, Jamie per niente, mettendo le due cose insieme era garantito il perfetto equilibrio. 

Un rumore. Jamie lo sentì appena, ma fu quasi certo di aver sentito una porta aprirsi fuori dall'ufficio di Parrish.
Senza dare prima una giustificazione, afferrò Aaron per il cappuccio della felpa e lo tirò dietro alla scrivania.
Lui lo guardò allarmato e confuso, ma non si azzardò ad aprir bocca per chiedere spiegazioni.
L'intero dipartimento era immerso nel silenzio ora, non c'era più alcun rumore, ne di porte che scricchiolavano, ne di passi sul pavimento in marmo.
Jamie era appoggiato con la schiena al muro, Aaron davanti a lui, entrambi con le gambe rannicchiate, quando un'idea gli saltò alla mente. Fece segno ad Aaron di allontanarsi dai cassetti della scrivania, così che avesse potuto aprirli e darci in fretta uno sguardo.
Poteva rischiare di far chiasso e farsi scoprire, ma volle rischiare.
Aprì il primo cassetto, che cigolò un po', ma non trovò nulla, così come nei successivi due.
Sbuffò crollando con il sedere per terra.

Aaron spalancò gli occhi. Gli sferrò un colpo energico sulla spalla e indicò qualcosa all'interno dell'ultimo cassetto.
L'angolo destro del piano di fondo era spezzato e formava un buco a forma di triangolo in cui entrava giusto la punta di un dito.

Un posto perfetto dove nascondere i propri segreti.

«Hai paura che ti ci rimanga incastrato il dito?» ironizzò Aaron dandogli una spallata. «Forza.» sussurrò.

Così infilò in dito nel triangolino e il pannello di legno, che prima era il fondo del cassetto, venne su, mostrando un secondo fondo.

C'era una cartella, un po' più vuota rispetto a quelle dello schedario, e portava il nome Anderson accompagnato da un piccolo sottotitolo "la verità".
La aprì e sentì un tuffo al cuore, prima ancora di cominciare a leggere. Gli angoli dei fogli erano sgualciti e sembravano essere stati letti molte volte.
Jamie lesse velocemente le prime parti, in cui Parrish raccontava dei cinque ragazzi che avevano aggredito Benji e del ragazzino di undici anni che vi aveva assistito, per poi arrivare alla parte finale, che sembrò una lista di scuse.

Mi dispiace Ben, non sono mai riuscito a dirti la verità su ciò che ho fatto. Ma ho bisogno di liberarmi di questo peso. Scriverò la verità su questi fogli che tanto non avrò mai l'occasione e il coraggio di farti leggere: sono stato io, ho detto ad Harvey quello che volevi fare, gli ho detto che volevi spifferare alla polizia il traffico di droga che aveva messo su.
Ti ho tradito. Mi dispiace averlo fatto, ma ho cercato di rimediare, lo sai.
Ho aiutato te e tuo fratello.
So che non saremo mai pari e mi dispiace anche per questo.
Ovunque tu sia amico mio, spero tu stia bene.

Jordan

...

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