La Lucciola

Da violgave

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[COMPLETA] Nella frenesia della vita, c'è una ragazza con una determinazione inarrestabile e un unico obbiett... Altro

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Da violgave

Tenni stretta la sua mano. 

In piedi a fianco al letto lo guardavo stringendo le labbra. 

I suoi occhi erano chiusi, ma l'espressione serena. 

Gli parlavo, gli sussurravo che ero lì, lo pregavo di resistere. 

La voce mi raschiava la gola, le tempie battevano. 

Mattew, dall'altro lato del bianco letto, faceva lo stesso. 

Nascondeva il dolore dietro una voce forzatamente calma, sentivo come lo lacerava dall'interno.

Jake, dietro di me, aveva ancora il fiatone per la corsa fatta dal parcheggio dell'ospedale alla macchina. 

Non osò pronunciare parola, si limitò ad accarezzarmi la schiena con discrezione. 

Le parole dei medici mi risuonavano nella testa come uno sciame di vespe. 

A causa di quell'improvviso peggioramento delle sue condizioni il viso addormentato di zio Barnaby non accennava il minimo intento a svegliarsi, ma arrendermi non era nelle mie intenzioni. 

Sarei rimasta lì per ore, per giorni se solo fosse servito a fargli riaprire gli occhi. 

Il suo viso, solcato dalle rughe che raccontavano le storie di una vita vissuta appieno, era pallido e fragile. 

Sentivo il peso dell'addio nell'aria, e il mio cuore si spezzava a ogni respiro che lui faceva sempre più faticoso. 

Nel profondo del mio cuore, sapevo che era arrivato il momento di lasciarlo partire, di permettergli di trovare la pace che tanto meritava. 

Con disperazione mi ritrovai a fissare il monitor in cerca di sollievo, ma il lento alternarsi di piccoli squilli riecheggiava in quella stanza da ormai troppo tempo. 

Il mio sguardo si fissò sul suo viso, prendendo nota di ogni linea, di ogni tratto che avevo memorizzato nel corso degli anni. 

Volevo ricordarlo così, sereno e in pace. Lasciai che le lacrime scivolassero liberamente sulle mie guance, senza preoccuparmi di nasconderle. 

Era il mio modo di mostrargli l'amore che provavo, di dimostrargli che sarebbe rimasto sempre nel mio cuore.

Poi gli squilli diventarono un tutt'uno e un ultimo respiro sfiorò le sue labbra. 

Gli occhi chiusi rimasero immobili, e un silenzio assoluto si sparse nella stanza. La sua anima si era sollevata, lasciando il suo corpo senza vita.

Mi sembrò come se il terreno si sfaldasse sotto i miei piedi, ma quando sentii il tocco allarmato di Jake sulle mie spalle capii che ero collassata per davvero.

Come acido rovente le lacrime cominciarono a scorrermi lungo il contorno del viso.

Udii Jake chiamarmi, percepii il delicato tocco delle sue mani sulle mie guance.

Non lo ascoltai, abbandonandomi nella speranza che fosse tutto un orrendo sogno.

Sentivo gli occhi bruciare, un martello mi batteva sulle tempie.

Urlai.

Con voce disperata, con pianto incontrollato e il dolore che si fece strada attraverso ogni fibra del mio essere.  




Non sentii il prete parlare.

I miei occhi erano persi nel vuoto mentre persone, molte mai viste, continuavano a venirmi incontro.

Donne che mi abbracciavano e uomini che mi stringevano la mano in segno di supporto.
Labbra umide si appoggiavano sulla mia fronte, baciandola.

A malapena sentivo la pioggia fine sulla mia pelle mentre i brusii sommessi e addolorati riempivano il luogo.

La sua mano sulla mia vita era l'unica cosa che mi impediva di cadere nella convinzione che fosse tutto un brutto sogno.

Le dita lunghe e snelle mi accarezzavano il fianco con una delicatezza tale da dovermi sforzare per sentirne il tocco.

Non esordì nulla, sapeva bene che in quel momento non avrei sentito niente.
Perdendo mio zio mi sembrava di aver perso tutto, avevo perso una parte di me.

Ricordando il suo viso rotondo, sorridente, rimpiansi di aver sprecato il nostro tempo insieme.
Rimpiansi di non essere andata a trovarlo tutte le volte che avrei potuto.

Se n'era andato e non sarebbe più tornato, non lo avrei mai più potuto abbracciare, vedere, parlare o confidarmi con lui.

Era caduto un pilastro della mia vita e non avrebbe più fatto ritorno.

Osservai la bara bianca venire calata nel terreno con espressione vuota.

Neanche mi accorsi delle calde lacrime che facevano capolino agli angoli dei miei occhi e che poi si precipitavano lungo il mio viso.

Ora viveva solo nei miei ricordi.

Lo immaginai riunirsi a zia Anne, abbracciare sua sorella, mia madre, e tirare una sonora pacca sulla spalla di mio padre.
Sorrisi.

La signora Black se ne stava a spalle chine, in disparte, osservando la bara bianca dove ora riposava il suo amico.

-Amber! Scusa per il ritardo.- Una voce mi chiamò distogliendo la mia attenzione dalla donna. 

Scorsi la figura di Axel avvicinarsi cercando di ripararsi come meglio poteva dalla pioggia ora un po' più fitta.

-Tsk.- Jake strinse di poco il mio abito nero.

Salutai il mio ragazzo con un debole cenno della testa, quasi distratto, mentre lui si piegava e mi lasciava un tenero bacio sulle labbra.

Lo sentii strappare via la mano di Jake dal mio fianco con arroganza e nel punto dove prima poggiavano le sue dita provai un'insolita sensazione di gelo.

Il modello non si azzardò a dire nulla, ma lo vidi contrarre le dita attorno al bastone bianco.
-Axel, lui è Jake: il mio capo. Jake, lui è Axel.- Proferii a voce bassa. 

Tutto ciò che si scambiarono fu un'occhiataccia da parte di Axel e una smorfia da parte di Jake. 

-Mi dispiace molto per tuo zio, principessa.- Sembrava che più a volermi rassicurare volesse stuzzicare Jake, mi abbracciò da dietro accarezzandomi i capelli.

Non provai nulla.

Non farmi questo, sembrò dire il mio cuore al mio cervello.

Il mio sguardo balzò su una figura poco distante.
Il vestito nero era fradicio per la troppa pioggia, le spalle ricurve e scosse dai singhiozzi del ragazzo.
Mattew.

Ogni mio muscolo cercò di resistere alla tentazione di avvicinarsi a lui.
"-Prometti al tuo vecchio che prima o poi farete pace.-"
La sua voce calda risuonò nella mia testa.

Era morto senza aver avuto la soddisfazione di vederci nuovamente insieme come due fratelli.
Dovevo fare uno sforzo, per lui.

Ma non appena tornai a concentrarmi su Mattew non lo vidi più.
Sussultai quando la sua voce risuonò proprio dietro le mie spalle.

-Ehi.- Mormorò, gli occhi gonfi dal pianto. 

Ricevette un'occhiataccia da parte di Axel.
-E tu saresti?-

Mattew lo guardò a stento, concentrato su di me.
-È suo fratello gemello, immagino sia evidente.-
Jake non voltava il viso, dava le spalle ai due ragazzi. 

Probabilmente aveva riconosciuto la voce che aveva sentito al telefono.

Il mio ragazzo oppose un po' di resistenza quando provai a liberarmi dalla sua presa, ma poi cedette.

Piantai i miei occhi in quelli piccoli e scuri del mio gemello che immediatamente si gettò su di me avvolgendomi in una calda stretta, ricambiai.

Il suo corpo era infreddolito, il suoi occhi stanchi di versare lacrime.
Non proferimmo parola.

Sentii lo sguardo pungente di Axel su mio fratello, ma lo ignorai.
Mattew mi diede un piccolo bacio sulla punta del naso arrossato.

-Ti ricordi cosa ti dissi al funerale di mamma e papà?- Esordì sfoderando uno storto e debole sorriso. 

-Andrà tutto bene.- Ricordai e lo vidi annuire.
-Andrà tutto bene, Amby.-

Axel mi stette accanto nei minuti successivi. 

Mi accarezzava la schiena con pazienza ogni qualvolta udiva un mio singhiozzo, mi baciava la fronte e mi diceva di essere forte. Si allontanò soltanto quando ricevette una chiamata, urgente disse lui.

Non vidi dove si diresse, tanto i miei occhi erano incollati alla bara. 

Più gli istanti passavano e più cominciavo a realizzare che si trattava nientemeno della realtà. 

Avevo sempre amato vedere il positivo nelle cose, avevo sempre cercato di evitare di concentrarmi sulle negatività. 

In quel momento però, in quel luogo, come potevo tenere fede al mio solito atteggiamento?

-Facciamo due passi, ti va?- Jake si era chinato su di me, sussurrandomi all'orecchio. 

Annuii e le sue ciocche di capelli corvini mi accarezzarono i contorni del viso. E così ci avviammo lungo il viale curato e, piano piano, i brusii della gente alle nostre spalle fecero spazio alla quiete del luogo. 

Il ragazzo non proferì parola, le sue fredde dita mi accarezzavano il fianco. Fui così tentata di appoggiare il viso sulla sua spalla, ma mi convinsi fosse dovuto soltanto al mio fragile stato d'animo. 

-Il tuo ombrello è troppo piccolo per coprire entrambi?- Jake mi sorrideva dolcemente, non sembrava importargli della leggera pioggia che gli scorreva lungo i contorni del viso. 

Scusandomi feci in modo che la tela nera dell'ombrello coprisse, almeno in parte, anche lui. La pioggia non mi era mai dispiaciuta, ma in quel momento sentivo una sorta di avversione nei suoi confronti.

Allo zio piaceva il sole, lo amava, e mi sembrò così ingiusto che il suo ultimo saluto fosse celebrato in tale, umida, maniera.

-Il tipo... perché si è allontanato da te?- Jake sembrava totalmente immerso nelle sue riflessioni. Non pronunciava mai il nome di Axel, neanche per sbaglio. 

-Una chiamata di lavoro.- Mormorai senza correggerlo, perché non c'era parola che non uscisse tremante dalle mie labbra. 

"Io ti sarei rimasto accanto in ogni caso.": già sapevo cosa stava pensando. 

Feci per farglielo presente, poi fui attratta da una lastra di pietra non lontana da noi. 

Jake, tanto era fra i suoi pensieri che non si accorse minimamente del cambio di direzione che attuai. 

Più ci avvicinavamo alla lapide e più una strana sensazione si insidiava in me. Mi bloccai di scatto quando lessi il nome su di essa inciso. 

Jake posò leggermente la mano sulla mia spalla. -Stai bene?- L'atteggiamento era calmo, era la voce agitata a tradirlo. 

-Dove... dove hai detto che si trova Thomas ora?- Domandai, mi pentii all'istante del modo crudo con cui mi porsi. 

-Mocciosa... lui non...- Era in difficoltà. Sicuramente pensava che fossi impazzita, che avessi dimenticato ciò che mi aveva confidato a causa del mio sconvolgimento. 

-In quale cimitero, intendo.- Non lo guardai in faccia mentre formulavo il chiarimento. Stavo usando così poco tatto, ma dovevo essere sicura di ciò che mi ritrovavo difronte. 

-Non l'ho detto.- Dal tono usato era chiaro che il ragazzo avesse capito. Il suo fiato mi batteva pesantemente sul collo, ora faceva fatica anche solo a respirare. 

-Il... il suo cognome, qual era?-
-McCaffrey.- Fu la sua risposta , niente più che un nome sussurrato a fatica.

E così ricevetti conferma: sotto di noi, a non più di qualche metro, si trovava il suo amico, il suo migliore amico. 

La foto, al centro della lapide, era coperta da piccole goccioline di pioggia ma si scorgeva ancora il viso sorridente, luminoso, del ragazzo. Il nome, le date: tutto coincideva.

-È qui, vero?- Percepii la sua confusione. 

Era chiaro sperasse in una risposta affermativa, al contempo però sembrava desiderare di non trovarsi lì. 

-Sei mai venuto a trovarlo?- Esordii facendo scivolare la mia mano nella sua che, a differenza di sempre, non si strinse nella mia. 

Lasciò che le sue fredde dita ne sfiorassero il dorso. -No.- Bisbigliò. 

-Non... non volevo presentarmi in questo stato.- Dietro gli occhiali scuri, vidi i suoi occhi aprirsi di poco quando sfoderò una smorfia di disprezzo. 

Non dissi nulla, non c'era niente da dire, così mi limitai ad avanzare lasciandogli l'ombrello. -Ci sono dei fiori freschi.- Lo informai quando sfiorandone i petali chiari. 

-Crisantemi bianchi.- Jake, che era rimasto alle mie spalle, pronunciò sicuro quelle parole. Stupita rimasi a fissarlo senza sapere cosa dire. -Come...?-
-Liam, mando Liam. Ogni settimana, con gli stessi fiori.- Mormorò quindi. 

Con una rapida occhiata constatai che fosse meglio tornare al suo fianco, per dargli forza.
E forse anche per riceverne.

-È molto dolce da parte tua.- Esordii prendendo al posto suo l'ombrello e tornando all'asciutto. 

Mi avvinghiai al suo braccio e questa volta non mi feci problemi a posare il mio viso sulla sua spalla. 

Il ragazzo non fiatò negli istanti successivi e io non osai interrompere quel doloroso silenzio. Non versò alcuna lacrima, ma dentro sapevo che stava bruciando. 

E così, un po' per conforto suo, un po' per sfizio mio, lasciai che le mie labbra sfiorassero la liscia pelle della sua guancia. 

-Sei forte, Jake, più di quanto pensi.- Sussurrai a pochi centimetri dal suo volto, con ancora su di me quella setosa sensazione appena provata. 

Il suo labbro tremò, ma non si scompose nemmeno lì. Con il braccio mi circondò la vita portandomi contro di lui, mi avvinghiò in un disperato gesto seppellendo il viso tra i miei capelli. 

La pioggia era aumentata e con essa anche il tranquillo rumore che la accompagnava, ma io lo sentii comunque. Li avvertii, i suoi singhiozzi. 

Lo percepivo quel respiro pesante, alternato a momenti di mancanza d'aria. Lo ascoltai, donandogli l'attenzione, il supporto che stava indirettamente chiedendo. 

***

Non parlò, per tutto il tragitto non pronunciò neanche una parola.
Non la sentiva nemmeno piangere, forse aveva finito le lacrime.

Le tese la mano che sentì subito stringersi alla sua, ma la stretta era debole, appena accennata.

L'auto si stava dirigendo al luogo del rinfresco, dove la aspettava Leda e gli altri suoi strambi amici.

La testa della ragazza si appoggiò alla sua spalla, con contagiosa malinconia.
Immaginò i suoi occhi arrossati chiudersi sperando di cadere e perdersi nel sonno e i suoi capelli umidi appiccicati al suo viso distrutto.

Era successo tutto così velocemente.
Non osava immaginare il dolore che la stava tormentando.

Le circondò il corpo con un braccio nella speranza di alleviare un po' il suo patimento.
-Sei tutta bagnata.- Iniziò a bassa voce. 

-Hai freddo?-
-No.- Pigolò, la voce appena udibile.

Capì che non era nelle condizioni di sostenere una conversazione e tacque.
Ciononostante un brivido le percorse il corpo.

-Liam, alza il riscaldamento, per favore.-
L'autista sembrò ubbidire, lo ringraziò con un cenno della testa, sperando lo avesse notato.

Dentro il locale furono accolti da brusii.

Udì una voce femminile urlare il nome della Mocciosa mentre dei passi affrettati si dirigevano verso di loro: Leda.

Per quanto snervante potesse essere era grato che fosse lì, sapeva quanto Amber ci tenesse. Sapeva quanto valesse la loro amicizia.

Fu colto dal ricordo del volto di Thomas.
Con una morsa straziante al cuore cercò di scacciare via quella memoria e si concentrò sull'altra persona che si stava avvicinando.

Un ragazzo.

-Nathan è abbastanza alto, ha i capelli rossicci e mai in ordine.- Mormorò Amber lasciandolo attonito. 

In un momento del genere davvero si preoccupava di descrivergli ciò che lui non poteva vedere? 

-Ha sempre un'aria simpatica con quelle sue lentiggini e i grandi occhi marroni con le sopracciglia folte.- Concluse lei.

I passi si fermarono, proprio davanti a loro. Li sentì salutare la Mocciosa in un abbraccio, poi percepì qualcuno porgergli la mano amichevolmente. 

-Piacere, lei deve essere il signor Hale.- Iniziò il ragazzo, dal tono della voce probabilmente aveva accennato un sorriso. 

-Sono Nathan.- Si presentò quando si strinsero la mano.
-Oh e così hai un ragazzo e non hai detto niente al tuo migliore amico?- La voce di un secondo ragazzo si avvicinò a loro.

Jake sentì il suo sguardo su di lui.
-Gareth...- Amber lo stava abbracciando, si sentiva dalla voce.

Jake percepiva l'enorme sforzo che stava facendo per non scoppiare nuovamente in lacrime.
-Mi dispiace tanto, Amby...- La voce del ragazzo era sincera.

-Ma ehi! L'unico single ora sono io.- Scherzò. Probabilmente cercava solamente di strapparle un sorriso. 

Jake gliene fu grato.

-Noi non... non stiamo insieme.- Lo corresse lei. -Pensavo Axel ti avesse informato...- 

A giudicare dal silenzio che susseguì, la mandibola del suo amico doveva essersi spalancata talmente tanto da toccare il suolo. 

-Sapevo vi frequentaste ma.. perché diavolo non mi hai detto nulla? Tu, Leda Bardhi, da quel sorriso capisco tutto. Lo hai sempre saputo e non mi hai mai detto una singola parola a riguardo e... Nathan, che cazzo ridi? Non dirmi che anche tu... siete tre stronzi, anzi quattro con Axel, anzi cinque se contiamo anche lui.- Sicuramente gli stava puntando l'indice contro agitatamente. 

Lui si sforzò di sfoderare un piccolo accenno di sorriso nonostante il dolore lancinante che lo colpì dritto al cuore. 

Gli porse la mano. -Jake.- 

Una pausa, poi un sospiro.
-Beh piacere non ragazzo di Amby, mi chiamo Gareth.-

***

Verso la fine del rinfresco a Leda venne la magica idea di organizzare un'uscita tutti e quattro, come i vecchi tempi. 

Ero grata della loro compagnia e del loro supporto, mi sentivo completa quando li avevo intorno.

Le rivolsi un sorriso grato quando un po' contro voglia decise di invitare anche Jake su suggerimento di Nathan e Gareth.

Scorsi Mattew uscire dall'edificio con Esther.
Parlavano a testa bassa, ma la mano della ragazza era stretta in quella di mio fratello.

-Potremmo farla la settimana prossima. Ti va, Amber?- Annuii, feci per accennare al mio ragazzo ma lei mi batté sul tempo. 

-Axel non è ammesso, sappilo. Mi piace ancora meno di questo qua.- Scrutò di sottecchi Jake che di rimando sfoderò una smorfia. 

La fissai in attesa di una spiegazione. -Ma è mio cugin...-

 -Andiamo, ogni volta la mangia con gli occhi! Come fa a non darti fastidio?-

Non notai come la mascella di Jake si serrò all'istante.




Seduta sul piccolo divanetto all'angolo della stanza mi concentrai sul tocco della sua mano sulla mia. 

Con la testa appoggiata sulla sua spalla e gli occhi socchiusi il contatto sembrava più accentuato. 

-Chi è?- Lo sentii mormorare quando dei passi lenti si avvicinarono a noi. 

Tornando alla realtà osservai la gente nella stanza, subito un volto amico si fece meno sfocato. 

-Signora Black, salve.- Mi riservò un sorriso educato, affettuoso. 

Le occhiaie che marcavano i suoi occhi stanchi erano profonde, le rughe sembravano essersi triplicate e i capelli si erano fatti più radi. 

Mi avvicinai più a Jake, invitandola a sedersi al mio fianco.
Prima di accomodarsi, studiò il ragazzo con sguardo attento. 

Lui, lentamente, mi lasciò andare. Allarmata, lo seguii con gli occhi quando si alzò lisciandosi la camicia scura, strinse il bastone bianco tra le dita snelle. 

-Jake, dove..- Voltò il viso verso di me, poggiò l'indice sulla punta del suo naso intimandomi silenzio.

Poi si allontanò.

-È sempre stato un ragazzo sveglio.- Notò Madelyn stirando le gambe. 

-Tuo zio lo stimava molto, sai?- Le due orbite da gufo si ancorarono alle mie. 

-Era orgoglioso di vedervi insieme.-
Sentii gli occhi pizzicare, strinsi le labbra in un sorriso. 

-Sapeva già come vestirsi se mai vi foste sposati.- Scherzò e gli occhi le si fecero lucidi. 

-Quel blazer blu scuro immancabile nel suo armadio, aveva scelto quello.- Sussurrò, la voce le si incrinò.

-Farneticava di una sorpresa, un qualcosa che doveva a tutti i costi donare al ragazzo per ringraziarlo dell'aiuto.- Scosse la testa. 

-Non mi ha mai voluto dire di cosa si trattasse.- I palmi ruvidi della donna mi accarezzarono il contorno del viso quando diedi il via libera alle lacrime. 

-Io ero lì, in quella stanza, quando è successo.- Mormorò poi. 

-La sera prima, non smetteva di parlare di te e tuo fratello. Aveva sempre avuto la parlantina, ma quella sera sembrava che non parlasse da mesi.- Rise acconsentendomi di posare la fronte nell'incavo del suo collo, con le dita tozze disegnò cerchi immaginari dietro la mia schiena. 

-Piangi, bambina. Fa bene buttare tutto fuori.-

E quando mi allontanai, stava piangendo anche lei.

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