La Lucciola

By violgave

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[COMPLETA] Nella frenesia della vita, c'è una ragazza con una determinazione inarrestabile e un unico obbiett... More

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By violgave

Chiusi la chiamata più frustrata che mai. 

-"Che ora?" Seriamente, Amber?-
Il ragazzo sembrava fuori di se. 

-Jake, non cominciare.-
Esordii alzandomi dal letto.
Che risveglio.

-Si prende gioco di te e pretendi che me ne stia zitto?-
-Non sono affari tuoi.-

Osservai la sua figura sedersi con disappunto sul materasso. -Oggi non è domenica.- Disse soltanto, le ciocche corvine gli ricadevano sugli occhi stanchi.

-Può venire lui.- Azzardai.
-Non lo voglio qui.-
Rispose brusco, le labbra rosee erano tese.
-Ma avevi detto di sì!-

-Ho cambiato idea.-
-Ma...-
-Ha avuto la sua occasione, ora è tardi.-
-Non capisco perché lo giudichi così velocemente senza nemmeno conoscerlo!-
-Perché ti ha allontanato da me, Mocciosa!-
I suoi occhi bianchi mi trapassavano con frustrazione. 

-Facendo così peggiori solo la situazione! Perché non capisci?- Strinsi i pugni con forza, le mie dita diventarono bianche. 

-Perché nonostante tutto io non riesco ad accettare la tua scelta, Amber!-
Tuonò. 

-So che lui ti rende felice, so che io non posso darti lo stesso, ma non riesco a fare diversamente! Probabilmente dovrei essere felice per te, ma più parli di lui e più mi viene voglia di spaccargli la faccia!- Sputò infine. 

Mi sentivo oltraggiata, perché non poteva semplicemente lasciarmi andare?
Perché non accettava la mia scelta e basta? O perché almeno non faceva finta?
Sarebbe stato più facile per entrambi.

-Mia la casa mie le regole.-
Stringendo il suo bastone bianco mi intimò di andarmene con un cenno della testa.

-Se proprio volete vedervi fatelo lontano da me.-
Aggiunse prima che me ne andassi chiudendo violentemente la porta scorrevole.

Dopo aver lanciato in una borsa alcuni capi d'abbigliamento scesi le scale con arroganza. 

Ero stata tutto il pomeriggio a dipingere, con la porta chiusa a chiave, per evitare di incontrare Jake.

Apparecchiai per una sola persona e mi misi ai fornelli distrattamente, quando il ragazzo fece il suo ingresso in cucina non volò una mosca.

Osservai il suo corpo snello accomodarsi sullo sgabello del bancone con falsa indifferenza.
Neanche un grazie quando gli misi il cibo nel piatto, con la forchetta ci giocò un po'.

Non era pentito di ciò che mi aveva detto, ma allo stesso tempo non sembrava gradire quella situazione di silenzio imbarazzante.

Quando si decise a spezzarlo ormai avevo deciso che il turno di parola spettasse a me.
-Io vado da Axel.- 

Smise di giocare con il pezzo di carne.
-E quindi?- Il tono era pungente.

Perché la sua indifferenza mi fece male?
-Niente... dimmi solo se vuoi che chiami Liam.-

Alzò un sopracciglio facendo una smorfia.
-Fa quello che ti pare.-

Come se non fosse successo nulla si rimise a mangiare apparentemente tranquillo.
Strinsi le dita attorno alla borsa e composi aggressivamente il numero dell'autista.

-Pronto Liam.-
Mentre il maggiore parlava il ragazzo tese l'orecchio.

-Sì, vado da Axel. No, dormo da lui.- La mano di Jake intorno alla forchetta ebbe un fremito, improvvisamente sembrava aver perso l'appetito.
-Sì, sì la aspetto. Grazie davvero.-

Chiamata terminata.

Ora dovevo resistere qualche minuto con Jake, almeno finché non sarebbe arrivato Liam. 

-Non mi avevi detto che avresti dormito da lui.-
La gelosia sembrava consumarlo. 

-Credevo fosse scontato, dopotutto sono già le 18:00.-
Con arroganza ignorò la mia risposta. 

Il suo sguardo niveo balzò nuovamente su di me, ma non disse nulla.


Quando arrivò l'autista, qualche minuto più tardi, si diresse subito con scioltezza e tranquillità verso il salotto.

Porse a Jake un libro dalla copertina azzurra.
-Questo è il libro di cui le ho parlato, sono riuscito a trovarlo per lei su internet.- 

Sorrise fiero sotto i folti baffi bianchi.
Il minore lo prese con cura ringraziandolo con voce fievole. 

Osservai le ciocche scure ricadergli sulle guance magre e davanti agli occhi socchiusi.
L'anello con la mezza luna sembrò bruciare attorno al mio dito, ma non lo tolsi.

-Beh, io vado.- Annunciai aprendo la grande porta d'ingresso.
Jake voltò di poco il viso ascoltando i miei passi allontanarsi. 

-Chiama per qualsiasi cosa.-
Mi sembrò di sentirgli dire.

Qualche ora dopo ero stesa sul letto di Axel, i pigiami caldi avvolgevano i nostri corpi. 

In quel grande appartamento si respirava ancora l'aria natalizia visto tutti gli addobbi che ancora non aveva avuto tempo di rimettere in soffitta.

La luce soffusa mi fece rilassare tanto da rischiare di addormentarmi.
Il ragazzo mi strinse a se.

Un flash e vidi Jake, la mattina di natale.
Il suo corpo stretto al mio.

Svanì ogni possibile traccia di sonno, ebbi un brivido mentre mi chiedevo cosa fosse appena successo. 

-Quello che volevo dire è che mi dispiace.-
Continuò Axel ignaro.

-Ti ho rovinato il capodanno, mi sento una merda.-
Non dissi nulla. 

-Prometto che non capiterà più.-
Si poggiò una mano sul cuore, alzai lo sguardo per osservare i suoi due sinceri occhi verdi. 

-Immagino di doverti concedere un'altra opportunità.-
Vidi i suoi lineamenti tirarsi in un sorriso, le sue labbra mi baciarono la fronte.

-Prometto che non ti deluderò più.-
Non so perché, ma un senso di colpevolezza cominciò a crescermi nel cuore.

 E se, fra i due, fossi stata io a deluderlo? A illuderlo?

Mi prese la mano e la mia mente fu travolta da un'altra, rapida, memoria.

I miei polpastrelli scorrevano sul foglio di carta ruvida, guidati dalla sua mano.
Ritraendo il braccio gli dissi che era impossibile, che avrei perso la scommessa.
Lui non chiuse il libro, mi porse la sua mano tranquillo.
Facendomi segno con la testa mi spronò a continuare.
Come due calamite le nostre mani si unirono nuovamente.
Indovinai qualche lettera, a occhi chiusi sembrava quasi più semplice.
Chinato al mio fianco era concentrato sulla lettura del libro e ogni qualvolta che le ciocche dei suoi capelli mi sfioravano la guancia mi sembrava di non sentire più il freddo di quella fredda giornata d'autunno in quel parco dai sassolini colorati.

-Bello l'anello.-
Notò Axel alzando il mio indice per osservare meglio il gioiello alparco, strinsi le labbra tornando al presente. 

-Un regalo di Natale.- Notai un sorriso bambinesco comparirgli in volto. 

-A proposito di regali.- Esordì allungandosi verso il comodino e aprendo un cassetto. 

-Non ho fatto in tempo a dartela il 25.- Aggiunse porgendomi una collana d'argento, il pendente a formadi un piccolo cuore. 

-Oddio, Axel.- La guardai per un po', brillava sul mio palmo. 

-Vuoi che te la metta?- Annuii spostandomi i capelli e liberando la nuca. 

Le sue mani mi sfiorarono la pelle con timidezza. -Ti sta benissimo.- Mormorò, mi lasciò un bacio umido sul collo, proseguì fino alla scapola. 

Le sue dita scivolarono sotto il caldo tessuto del mio pigiama scoprendomi le spalle.
-È davvero bella.- 

Le sue labbra continuavano a non staccarsi dalla mia pelle, succhiando quasi con foga.

-Axel...- Lo chiamai una prima volta, in risposta vidi un piccolo e veloce sorriso sul suo volto. 

-Axel...- Lui continuò imperterrito, i suoi baci umidi appena dietro il collo. 

-C'è Théo nella stanza qui di fianco.- Lentamente mi allontanai, lo inchiodai con lo sguardo.

-E....non sono venuta per... per questo.- Spiegai pettinandomi agitatamente i capelli con una mano.

La delusione sul suo volto fu quasi palpabile. -Pensavo che...-

-Non fraintendere! Sono solo stanca, è stata una giornata lunga.- Le parole mi uscirono agitate, quasi incerte. 

Fecero dubitare persino me stessa.
-Capisco.- Mentì. 

-Non ti preoccupare.- A disagio si allontanò un pelo, si agitò sul materasso. 

-Credo che andrò a fumarmi una sigaretta.- Aggiunse alzandosi e sparendo dietro la porta finestra del balcone.

Come rovinare una serata perfetta by Amber.
Rimasi sola coi miei mille pensieri e dubbi per l'ennesima volta.


Sfiorai la maniglia della portiera posteriore con un sorriso ampio e accogliente. 

Théo si sganciò dalla cintura di sicurezza e, con un balzo energico, scese dall'auto, avviandosi in una corsa allegra lungo l'imponente viale privato della villa. 

Axel, dalla sua posizione al volante, mi rivolse uno sguardo grato. -Grazie per esserti offerta di tenerlo all'ultimo minuto. Spero che per il tuo capo non sia un problema.- 

Lanciò uno sguardo affettuoso al figlio che attendeva impaziente davanti al portone. 

Pregai interiormente affinché non avesse suonato il campanello. Agitai la testa con un sorriso rassicurante. 

-No, affatto. Lui adora i bambini...- Nonostante le parole positive, non riuscii a nascondere il mio scetticismo.

Quando mi avvicinai a Théo lo feci con passo deciso. -Ho in mente un gioco interessante.- Iniziai, notando il suo viso illuminarsi di curiosità. 

-Un gioco?- Chiese, occhi scintillanti di aspettativa. 

-Che ne dici del gioco del silenzio?- Proposi, portando un dito davanti al naso, ma tutto quello che ricevetti fu uno sguardo di disapprovazione. 

-E di 'Simon Dice' cosa ne pensi?- Théo sembrò esitare per un istante, poi un sorriso giocoso si dipinse sul suo viso. 

Annuì, dissipando momentaneamente il mio scetticismo. 

-Bene, comincio io!- Annunciai, lasciando che un sorriso si dipingesse sul mio volto. 

-Simon Dice: Entriamo dentro casa senza fare il minimo rumore.-


Lasciai che la porta si aprisse con una leggera spinta. 

Presi la mano del bambino conducendolo all'interno. Gli intimai nuovamente il silenzio posizionando l'indice sulla punta del mio naso. 

Théo annuì comprensivo, ma il suo viso rifletteva ancora una certa eccitazione infantile, rendendomi ancora più agitata. 

Mi mossi cautamente attraverso il corridoio, attenta a non fare alcun rumore. 

Jake era comodamente seduto sul divano, un libro in mano. -Bentornata.- Mormorò fermando l'indice sulle pagine bianche. 

Fui ad un passo dal rispondergli, poi lo sguardo mi cadde sul bambino che tenevo per mano. 

Si guardava intorno meravigliato dall'imponenza della villa. Non aveva ancora emesso un suono ma non avrebbe esitato a parlare e additarmi se mi fossi azzardata a salutare il ragazzo. 

Così mi limitai a sbuffare rumorosamente, approfittando della discussione avvenuta tra noi il giorno prima e usandola come giustificazione al mio comportamento. 

Con i piedi cercai di coprire il rumore dei piccoli passi del bambino mentre salivamo le scale.

Scivolai con cautela lungo il corridoio, conducendo Théo verso la mia stanza. Entrai con Théo al seguito, chiudendo la porta dietro di noi con delicatezza. 

Un sospiro di sollievo sfuggì dalle mie labbra, sapendo di essere momentaneamente al sicuro. 

La stanza era avvolta da un'atmosfera tranquilla, permeata dall'odore di vernice e dai colori vibranti dei miei dipinti appesi alle pareti. 

Théo osservava tutto intorno a sé con occhi curiosi, catturato dalla vivacità delle mie tele. 

-Ti piace?- Indicai i dipinti che adornano le pareti. 

Théo osservava i dipinti con un misto di ammirazione e stupore, come se fossero finestre aperte su mondi sconosciuti. 

Mi chiesi cosa stesse pensando, cosa si potesse vedere attraverso gli occhi di un bambino così puro e innocente. 

Forse vedeva la bellezza che io stessa faticavo a cogliere, o forse solo un insieme di colori e forme senza senso. 

-È bellissimo- Sussurrò poi, rompendo il silenzio che avvolgeva la stanza. 

Il suo elogio mi riempì di calore, mi sentii come se i miei dipinti avessero finalmente trovato un'anima affine che li comprendesse pienamente. 

-Te lo avevo detto che anche a me piace disegnare.- Mi avvicinai al mio cavalletto, dove un dipinto incompiuto attende pazientemente di essere portato a termine. 

-Vuoi una tela nuova?- Gli chiesi, indicando un mucchio di tele accatastate in un angolo della stanza. 

-Potrai disegnarci tutti i dinosauri che vorrai!- Théo si illuminò all'idea, gli occhi brillanti di entusiasmo. -Davvero?-

-Certamente!- Risposi con un sorriso incoraggiante, prendendo una tela e porgendogliela con delicatezza. 

Théo afferrò la tela con entusiasmo, le dita ansiose di iniziare il suo piccolo progetto artistico. 

Guardai il bambino quando si immerse nel suo mondo creativo, pieno di speranza e gioia. 

In quel momento, la stanza sembrava colma di magia, come se ogni pennellata e ogni tratto fossero in grado di creare un universo tutto suo. 

In un attimo, anche io mi ritrovai immersa nel mio mondo artistico, rapita dalla magia che si sprigionava dalla tela bianca di fronte a me. 

Presi un pennello, immergendolo nell'acquerello con determinazione, e iniziai a dipingere con passione, lasciando che le emozioni fluissero liberamente sulla tela. 

Mi persi nel movimento fluido del pennello che danzava sulla tela, creando sfumature di colore che si fondevano armoniosamente. 

Il tempo sembrò fermarsi mentre lavoravo sul mio dipinto, e non mi resi conto di essere completamente assorbita dalla mia arte. 

Le pennellate si susseguivano con grazia e precisione, trasformando la tela bianca in un'esplosione di colori ed emozioni. 

Non sentivo altro che il suono leggero del pennello che scorreva sulla tela. 

La mia mente si concentrava solo sulle sfumature e sui dettagli del dipinto, ignara del passare delle ore. 

Solo dopo molto tempo, quando il sole si era abbassato all'orizzonte e la luce dorata dell'imbrunire filtrava attraverso le finestre, mi resi conto improvvisamente della quiete intorno a me. 

Sollevai lo sguardo dal dipinto per cercare Théo, ma la stanza era vuota. 

Un brivido mi attraversò la schiena mentre mi alzavo dal mio posto. -Théo?- Chiamai, la voce leggermente ansiosa. 

-Dove sei?- Mi affrettai ad attraversare la stanza, scrutando ogni angolo in cerca del bambino.

I miei piedi scivolarono rapidamente sui gradini, uno dietro l'altro, mentre corsi giù per le scale con la mente piena di ansia. 

La villa era immensa, chissà dove si era andato a cacciare. 

Il mio cuore sembrò fermarsi quando, tra i contorni sfumati dell'angolo del salotto, lo vidi.

Théo reggeva un pesante libro, la copertina dai colori spenti. 

Le pagine, intrise d'inchiostro, venivano scrutate dal suo dito minuto, mentre le labbra si schiudevano ad ogni parola letta. 

Il ragazzo a fianco a lui lo ascoltava in silenzio, mantenendo un sorriso quasi impercettibile. 

Il suo assenso incoraggiante si manifestava con un leggero cenno di testa ogni volta che il piccolo Théo si trovava in difficoltà di fronte a una nuova parola, incerto sulla pronuncia o sul significato. 

Nell'ultimo caso gli riservava un dolce sorriso proseguendo a spiegargli il significato della parola, che fosse un sostantivo, un verbo o un aggettivo, cercando sempre di semplificarne la comprensione. 

Il bambino appariva sereno, totalmente rapito dalle parole di Jake. 

Li osservai con un misto di ammirazione e struggente commozione, un nodo emotivo serrandomi la gola. 

Adesso, mentre lo osservavo lì, accanto a Théo, il senso di colpa mi stringeva il petto con una morsa implacabile. 

Jake non avrebbe dovuto scoprire così della presenza di Théo. 

Dovevo trovare il modo di risolvere quella situazione senza causare problemi. 

Eppure, la visione di Théo seduto accanto a Jake, così sereno e felice, mi lasciava indecisa su cosa fare. 

A decidere per me fu il cellulare che vibrò nel taschino dei miei jeans. 

Estrassi rapidamente il telefono e vidi il nome di Axel illuminarsi sullo schermo. Con le mani che tremavano leggermente, risposi alla chiamata. 

-Pronto?- Dissi, cercando di mantenere la voce ferma nonostante il nervosismo che mi assaliva.

Ovviamente Jake alzò un sopracciglio quando sentì la mia voce e, schiudendo gli occhi nivei, voltò di poco il viso nella mia direzione mentre continuavo a parlare al telefono. 

Chiudendo la chiamata, mi voltai verso Jake, cercando di nascondere la mia agitazione. -Théo, è ora di andare.- 

Jake annuì, ma il suo sguardo interrogativo non sfuggì alla mia attenzione. -Ci vedremo presto, Théo.- Disse con gentilezza al piccolo, mentre si alzava dal divano. 

Théo, ignaro della tensione che si era creata, si alzò rapidamente, pronto ad andare con suo padre. 

Con passi incerti, mi seguì verso l'uscita, mentre il cuore mi pesava nel petto, pregando che tutto si risolvesse senza intoppi. 

Una volta davanti al portone, mi avvicinai a Théo con un sorriso teso sulle labbra, cercando di nascondere la turbolenza che agitava il mio cuore. 

-Arrivederci, Théo.- Dissi con voce morbida, posando una mano sulla sua spalla con un gesto di affetto. 

-Ti riporterò la tua tela appena possibile.- I suoi occhi scuri brillavano di una gioiosa innocenza mentre mi guardava. 

Con un gesto tenero, mi strinse in un abbraccio improvviso e poi si allontanò con passo leggero verso l'uscita, dove suo padre lo attendeva. 

Mi limitai a guardarlo mentre si allontanava, poi, con un sospiro, chiusi la porta dietro di lui, lasciando che il silenzio riempisse la stanza una volta ancora.

Mi avvicinai con passo incerto al divano dove Jake era seduto, notando il libro chiuso tra le sue mani. 

La tensione nell'aria era palpabile, eppure il suo volto non tradiva la rabbia, ma piuttosto una sorta di delusione sottile, difficile da decifrare. 

Mi sedetti accanto a lui, cercando di mantenere la compostezza nonostante il groviglio di emozioni che mi attanagliava. 

Il silenzio pesante ci avvolse mentre cercavo le parole giuste da dire. 

-Jake...- Iniziai esitante, ma la voce mi morì in gola prima ancora di poter continuare. 

Il suo sguardo vuoto si alzò dal libro per incontrare il mio, e per un attimo mi sentii vulnerabile. 

-Era suo figlio?- 

Un senso di rimorso mi travolse mentre mi rendevo conto del danno che avevo causato. 

-Mi dispiace.- Riuscii a dire finalmente, le parole uscirono a stento dalle mie labbra. 

Con un sospiro profondo, posò il libro sul tavolino davanti a noi e si voltò verso di me. 

-Mi dispiace, Jake, davvero.- Sussurrai di nuovo, questa volta con una sincerità acuta che bruciava nel petto. 

Poi, senza aggiungere altro, Jake si alzò in piedi con un movimento lento e silenzioso e si allontanò dal divano. 

Il suo silenzio era più eloquente di qualsiasi parola avrebbe potuto pronunciare. Rimasi da sola con i miei pensieri e il peso del mio rimorso. 

Con il cuore pesante e la mente turbata dal rimorso, decisi di chiamare Leda. 

Avevo bisogno di qualcuno che potesse comprendere la mia angoscia. 

Dopo una breve conversazione al telefono, accettò gentilmente di farmi compagnia quella notte. 

Preparai velocemente una piccola borsa con il necessario e mi avviai verso casa di Leda, lasciando la villa nell'oscurità della notte. 

Senza esitare oltre, mi avviai verso l'appartamento di Leda. Camminando per le strade illuminate dalla luce fioca delle lampioni, sentivo il peso delle mie azioni scivolare via, almeno per un momento. 

Era la mia natura, scappare quando la situazione diventava difficile, ma in quel momento non riuscivo a trovare un'altra soluzione. 

Quando finalmente arrivai da lei, mi lasciai cullare dalla sensazione di sicurezza che solo la presenza di un'amica vera poteva offrirmi. 

Mi lasciai cadere sul morbido divano con un sospiro di sollievo, cercando rifugio nell'abbraccio rassicurante delle coperte per proteggendomi dal freddo della mia stessa coscienza. 


Quando il cellulare squillò ero già tornata alla villa.

Seduta sul divano avevo il naso immerso tra i documenti: molte aziende chiedevano ancora la partecipazione del ragazzo per pubblicità o set fotografici.

Jake era affacciato alla finestra e respirava a pieni polmoni l'aria fresca di quella mattina.

-Che fai, non rispondi?- Lasciò che il vento gli accarezzasse il viso. 

-Sono impegnata a fare un lavoro per te.- Dissi a denti stretti alzandomi e cercando di mettere in ordine quel mucchio di fogli. 

-Rispondo dopo.- Chiarii pinzando un paio di fogli per poi metterli da parte. Poi trovai qualcosa di veramente curioso.

Una pagina dalla carta liscia e bianca come il latte mi saltò all'occhio.
Nessuna scritta stampata.

Solo una semplice penna aveva macchiato quella carta.
La scrittura era fluida, ipnotizzante.

E in fondo, vicino al margine, c'era la sua firma.

-Questa... è la tua scrittura?- Mi uscì spontaneo, quasi in un sussurro, incantata da quell'armonia di linee eleganti.

Corrugò la fronte schiudendo gli occhi volpini, si bloccò.
-C'è la tua firma, qui in fondo.- Spiegai avvicinandomi, scavalcai una pila di documenti cercando di non ruzzolarmi al suolo. 

La sua mano si lasciò sfiorare, mi permise di prenderla nella mia.

-Senti.- Dissi facendo percorrere il suo polpastrello lungo il percorso tracciato dall'inchiostro. 

Un sorriso fulminio gli attraversò le labbra, sparì all'istante.
-Ti piacerebbe scrivere di nuovo?-

Non avrei mai pensato che una domanda tanto banale potesse illuminargli il viso in quella maniera.



Seduta accanto a lui afferrai decisa una penna, l'inchiostro nero come i suoi capelli. Osservai il suo profilo tagliente attendere, nessuna espressione in particolare.

Schiarendomi la gola posizionai di fronte a noi un foglio a righe, gonfiai il petto.
-Pronto?- Annuì impercettibilmente. 

Feci scivolare le mie dita fra le sue, la penna in mezzo.
-Devi indovinare cosa stiamo scrivendo.- 

L'inchiostro si impresse tra le righe. 

Emise un sospiro nostalgico, poi una risata.
Leggera.
-Scrivi in stampatello?- 

Feci l'errore di incontrare i suoi occhi, così vuoti eppure così dolci. Erano fissi su di me, come fari abbaglianti. Smisi di scrivere e mi persi in lui.

Oltre le labbra comparvero denti dritti, perfetti.
-È più elegante, il corsivo.- Affermò, marcando ogni parola. Il sorriso provocante.

Si avvicinò, forse non lo fece nemmeno apposta.

Con tocco delicato sfiorò il dorso della mia mano.

Il respiro forzatamente tranquillo, sentivo il suo cuore da lì.

Quando la punta del suo naso sfiorò la mia, le ciocche scure dei suoi capelli mi accarezzarono il volto.

Il cellulare squillò, il ragazzo strinse le labbra.

Le sue mani fuggirono dalle mie come se scottassero. -Rispondi.- La voce tesa.

Mi schiarii la gola, nell'alzarmi per afferrare il dispositivo non potei non notare come ogni mio arto non smettesse di tremare.

Quando osservai lo schermo provai una fitta al cuore. -È Mattew.- Dissi a denti stretti. 

Avevo saputo che aveva lasciato Cassidy, ma ero rimasta talmente delusa da lui che anche il solo sentirlo nominare mi faceva stare male.

Non capivo se era la sua mancanza a causarmi dolore al petto o la rabbia che ancora non se ne era andata dal mio corpo.

-Sarebbe?- Provò a mascherare le sue emozioni calandosi una maschera d'indifferenza, ma ormai era tardi.

-È mio fratello, Jake.- Dissi ammirando di nascosto i suoi dolci lineamenti.
-Ah.- Si lasciò sfuggire. 

-Pronto?- 

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