La Lucciola

Autorstwa violgave

170K 4.2K 356

[COMPLETA] Nella frenesia della vita, c'è una ragazza con una determinazione inarrestabile e un unico obbiett... Więcej

10°
11°
12°
13°
13° pt. 2
14°
15°
16°
17°
18°
19°
20°
21°
22°
23°
24°
25°
26°
27°
28°
29°
30°
31°
32°
33°
34°
35°
36°
37°
39°
40°
41°
42°
43°
44°
45°
46°
47°
48°
49°
50°
51°
51° pt. 2
52°
53°
54°
55°
56°
57°
58°
59°
60°
61°
62°
!!!

38°

2.5K 67 15
Autorstwa violgave

Chiusi le valigie mentre Jake ascoltava i miei movimenti seduto sul letto. Percepivo la sua tensione, sentivo la sua voglia di tornarsene a San Francisco. 

L'ambiente lì era opprimente, toglieva il fiato. -Non dimenticare niente.- Si raccomandò, girai la stanza un paio di volte per controllare di non aver lasciato nulla in giro. 

-Il tour della casa ha soddisfatto le tue aspettative?- Già sapevo fosse una domanda retorica, lo si intuiva dal tono che aveva usato. 

Nonostante ciò, però, ripercorsi con la mente la mattinata appena passata. Era stata Gwenda a portarmi in giro per tutta la struttura, di So-min non avevo visto nemmeno l'ombra. 

La ragazza aveva provato a raccontarmi qualche curiosità, ma non poteva certamente sapere tutto. -Abbastanza.- Affermai. 

Quello che mi incuriosiva era conoscere meglio il passato di quella famiglia, quello di Jake, ma mi ero dovuta accontentare. 

-Forza, andiamocene.- Jake impugnò il suo bastone bianco mentre io allungavo il braccio per afferrare una delle due valige. 

-Quella lasciala qui.- Jake era al corrente che c'erano molti domestici pronti a portarle per noi. Neanche a farlo apposta, appena aprimmo la porta, un domestico, mai visto prima di allora, si catapultò dentro la stanza afferrandole al posto nostro.


I signori Hale arrivarono proprio quando io e Jake eravamo sulla soglia della grande porta d'ingresso. 

So-min si avvicinò con cautela e mi sembrò di vedere i suoi occhi farsi lucidi quando guardò il figlio. 

Dopo un attimo di silenzio gli si avvicinò e, come se non ne potesse più, si buttò tra le braccia di quest'ultimo. 

Dal modo in cui, disorientato, toccò piano e rispettosamente il corpo della madre, per capire chi fosse, fece dedurre che sapesse benissimo che fosse una donna ad abbracciarlo. 

Corrugò la fronte all'inizio dubbioso e quando finalmente capì sembrò congelarsi sul posto, quasi terrorizzato. 

La madre lo strinse un altro po' fra le sue braccia e quando lo sguardo duro di Isaac cadde su di lei sembrò addolcirsi un po'. 

-Mi mancherai Jake...- Agli angoli dei sottili occhi del ragazzo comparvero delle piccole lacrime. La strinse a sua volta senza dire una parola, scioccato da ciò che stava succedendo. 

Rimasero stretti l'uno all'altro per qualche momento, senza dire nulla. La donna mi fissò con le sue due perle scure.
-Grazie di averlo portato qua.- Mi mormorò, sentii la punta delle orecchie arrossarsi. 

Isaac distolse lo sguardo, ma quando So-min si allontanò dal figlio lo vidi avvicinarsi. Trattenni il fiato quando rimase davanti al ragazzo prima di afferrargli la mano e stringergliela. 

A differenza di come aveva fatto con la madre, Jake non ricambiò la stretta. 

Si asciugò velocemente le piccolissime lacrime agli angoli dei suoi occhi sottili per poi voltare il viso verso di me e forzare un sorriso impercettibile. 

-Andiamo ora.- Gli tremò la voce, ma cercò di nasconderla schiarendosi immediatamente la gola. Annuii porgendogli il braccio a cui lui si appoggiò subito con una grazia disumana. 

-Grazie dell'ospitalità.- Ringraziai i due genitori voltandomi e facendo un inchino un po' goffo col capo. Quando uscimmo definitivamente un enorme peso sembrò togliersi da sopra di me. 

La macchina di Liam era già in moto davanti al cancello pronta a partire, ma alla guida di Liam non c'era traccia, probabilmente stava passando il Natale con la sua famiglia. 

Un altro uomo era seduto al suo posto pronto a partire. Aveva la pelle scura e dei folti capelli ricci, vestito molto elegante sembrava essere l'autista dei signori Hale. 

-Buongiorno.- Disse quando salimmo. Non si presentò nemmeno e io fui l'unica a rispondere al suo saluto. 

Appena la macchina partì Jake sospirò rumorosamente, chiuse gli occhi ancora lucidi, sembrava ancora scioccato dal gesto improvviso della madre.

Il ragazzo non si era ancora mosso, i capelli scuri ricadevano come tende sul suo viso fino a nascondere gli occhi socchiusi e le labbra semiaperte. Le mani erano strette in pugni sulle gambe rigide, le sorpresi a tremare.

In un gesto esitante mi allungai verso di esse, fino a sfiorarne il dorso. All'inizio non sembrò neanche fare caso a me, poi le sua dita si intrecciarono alle mie. 

Strinse e col pollice mi accarezzò delicatamente la pelle, sperai non si accorgesse di tutti i brividi che iniziarono a correre sul mio corpo.

Rividi il suo corpo contro il mio, il suo caldo respiro sul mio collo la mattina di Natale. Molto in fondo avevo sperato un risveglio identico quella mattina, forse era per quello che la sera prima del divano me n'ero totalmente scordata.

-Era da quattro anni che non ricevevo un regalo di Natale.- Mormorò lui con voce rauca.
-Come?-
-Volevano fare buona impressione con te, ecco perché il maglione.- 

Dopo quello che avevo visto facevo fatica a non credergli. 

-E la signora Holland? Non ti ha mai fatto nulla?- Lui scosse la testa.
-No, non ho mai voluto. Odio le sorprese.- Disse soltanto. 

Eppure avevo la sensazione che, sotto sotto, gli avrebbe fatto piacere ricevere qualcosa dopo tanto e cominciò a nascere in me l'esigenza di fargli un regalo sincero, uno che avesse un significato. 

Lì mi ricordai di quel vecchio gatto, Harold. Jake non lo aveva neanche salutato e probabilmente quella era stata la sua ultima occasione. 

Avevo visto quanto in sintonia fossero, erano cresciuti insieme e l'idea che il micio trascorresse la sua vecchiaia a fianco dell'amico mi sembrò splendida. Forse avrei potuto fare qualcosa a riguardo.

Nonostante il tragitto durò molto meno rispetto a quello del giorno prima, fu nettamente più stressante. 

Non volò una sola parola per tutte le quattro ore e mezzo di viaggio successive, ma le nostre mani non si allontanarono neanche per un istante.

Lo squillo del mio telefono interruppe quel silenzio assordante. -Leda?- Dissi portando il cellulare all'orecchio e vedendo subito il viso del ragazzo fare una smorfia, non gli andava molto a genio la mia amica. 

Sotto sotto, però, sentii la sua mano rilassarsi. -Ho lasciato Vince.- Dall'altro capo della linea Leda sembrava aver appena smesso di piangere. -Stai scherzando?-

-No, non scherzo su queste cose.-
-Il motivo?- Lei sospirò. -Mi tradiva.- La voce le tremò un po'. 

-Nathan aveva ragione, tu avevi ragione, Amby.- Tirò su piano col naso. -Sto per chiamare anche Nathan e dirgli tutto.- Mi informò. 

-Appena torno a San Francisco ne parliamo di persona.- Sentii Jake massaggiarmi con discrezione la mano, il suo viso tuttavia non osava voltarsi nella mia direzione. 

Chiudemmo la chiamata poco dopo, rimasi qualche istante in silenzio massaggiandomi la tempia. In fondo, ero felice che finalmente Vince si fosse fatto vedere per quello che era in realtà.



Quando arrivammo alla villa il sole era calato da un pezzo, ci avevamo messo poco considerando che non c'erano molte persone per strada il pomeriggio di Natale.

Dentro la casa non c'era anima viva. Le domestiche erano tutte rimaste a casa loro quel giorno, ma non si erano dimenticate di mettere qualche decorazione in giro per la casa. 

Fui felice di rientrarci, non potevo negare che mi fosse mancata. L'autista dietro di noi lasciò le valigie all'entrata. 

-Buona serata.- Ci disse cortese girando i tacchi e andandosene senza darmi il tempo di ricambiare. 

-Non hanno fatto l'albero di Natale, vero?-
-Beh, no.-
-Meglio.- Mi accigliai. -Perché?-
-Lo odio.- Disse semplicemente senza approfondire, eppure a me sarebbe piaciuto. 

Sospirai conducendolo nella sua stanza con la sua valigia nell'altra mano.
-La disfo io domani.- L'appoggiai all'angolo della stanza mentre lui si stendeva sul letto, esausto.

Accennai un piccolo sorriso, il mio cuore cominciò a battere più forte quando ebbi l'ennesimo flash della mattina precedente. 

Sentii per un istante le sue ciglia solleticarmi la pelle. -Ieri mattina...- Cominciai col dire. 

-La tua amica... sta bene?- Lo guardai sorpresa di essere stata interrotta. 

-È una situazione difficile.- Dissi piano controllando di scatto il cellulare nella speranza di vedere un suo messaggio, ma niente. 

-Prima sembravi arrabbiata.- Mi fece notare lui mettendosi a sedere, sembrava in tutti i modi voler evitare il discorso che stavo per proporgli. 

-Lo ero.- Sentii nuovamente la frustrazione salirmi nelle vene. 

-Hai fame?- Non ero sicura se il mio stomaco si fosse ribaltato per la fame o alla vista del suo sorriso, appena accennato ma così sincero, ma annuii. -Sì, un po'.- 

Schiuse le labbra, probabilmente per proporre qualcosa, ma quando suonò il campanello le serrò di colpo. -Chi è adesso?-

-Credo sia Axel.- Dal silenzio che susseguì notai il turbamento che cominciava a stagnarsi in Jake. -Perché?- Chiese a bassa voce.

-Cosa perché?-
-Perché esci con quello?-
-Perché non posso?- Dissi dall'alto del mio orgoglio. 

Lui strinse le labbra come se si stesse trattenendo dal dirmi qualcosa.
Sospirò prendendosi la faccia fra le mani perfette. 

-Tu... perché voi ragazze siete così stupide?- Incrociai le braccia al petto indispettita. 

-Non trattarmi così, Jake.- 
-Come posso non farlo se non ti accorgi di una cosa così evidente?-
Sbottò spalancando gli occhi bianchi, le labbra ebbero un fremito. 

Cosa c'era di così evidente?

Il campanello suonò un'altra volta e Jake imprecò a bassa voce.
-Allora sì, sono stupida perché non mi sono accorta di niente!- Mentii spudoratamente, in panico. 

Da lui non arrivò nulla se non una smorfia furiosamente sofferente.

-Jake, dimmi di cosa mi sarei dovuta rendere conto!- Dissi alzando la voce che si era fatta tremante. 

Ciò che uscì dalle sue labbra fu un urlo secco.
Mi travolse, fulmineo e violento. 

Come se quel pensiero avesse aspettato tanto, un tempo interminabile per assaporare la libertà.

-Che ti amo, Mocciosa!-

Rimasi a fissarlo col cuore che batteva troppo forte per i miei gusti, senza respiro per la sincerità, a momenti palpabile, di quelle parole. 

Nella mia mente cominciarono ad accumularsi troppi pensieri. -È la tua fottutissima voce, il tuo modo di parlare, il tuo modo di chiamarmi.- Continuò, aprì di poco i sottili occhi nivei. 

-Quando si tratta di te, io non lo so che mi succede. Per quando io cerchi di nasconderlo, se si tratta di te, io sono felice.- Le sue labbra si strinsero, le sue mani tremavano. 

-Oh...- Tutto ciò che riuscii a dire fu un sussurro, strozzato dal peso delle sue parole e per un attimo vidi la tristezza più profonda nei suoi occhi chiari. 

Girò immediatamente la testa stringendo i pugni e facendo diventare le sue nocche bianche, furioso. 

Il mio respiro era irregolare, le mie mani tremavano, sentivo le lacrime agli occhi ma, nonostante il calore che cominciò ad espandersi nella zona del mio cuore, il resto del mio corpo rimase congelato. 

-Io...- Il campanello suonò una terza volta, ma Jake non sembrò nemmeno notarlo. Ebbi l'impulso fortissimo di stringerlo a me, di dirgli che provavo lo stesso, ma dalle mie labbra uscì una frase differente. 

-Devo... devo andare.- E senza neanche pensarci uscii quasi di corsa dalla stanza.

Ero una cretina.

Corsi alla porta d'ingresso senza guardarmi indietro e il cuore che sembrava volere uscire dal petto. Avevo avuto la mia occasione e l'avevo persa.

Lo avevo lasciato solo.

Mi si fermò il respiro quando mi fermai davanti al cancello. Con la schiena contro la recinzione della villa scoppiai a piangere, in panico. 

Cosa mi stava succedendo? Perché ero in crisi se era successo ciò che in fondo desideravo? 

Mi presi la testa fra le mani affondando le unghie fra le ciocche di capelli, perché una parte di me continuava a opporre resistenza.

-Cosa succede?- Non mi accorsi nemmeno di Axel quando mi venne incontro. 

Lo guardai senza dire nulla, poi sospirai. -Axel.. io... io non ci sto capendo più niente.- Dissi fissandolo alla luce della luna, cominciò ad agitarsi. 

-Perché piangi?- Appoggiò una mano sulla mia spalla. -Il tuo capo... ti ha messo le mani addosso?- Continuò con sguardo severo, quando si agitava l'accento diventava più marcato. 

Provai una fitta al cuore mentre scuotevo la testa. -No, ma... non voglio parlare di lui.- Sembrò tranquillizzarsi un pelo. 

Sorrise dolcemente, ma per qualche strano motivo non mi fece alcun effetto. -Andiamo a prendere qualcosa e ne parliamo con calma, okay?- Disse porgendomi una mano, le mie gambe si mossero da sole quando mi condusse alla sua macchina. 

Quando il ragazzo al mio fianco accese il motore, saltai sul posto. -Non partire!- Mi guardò confuso. 

-Non me la sento di andare via dalla villa ora.- Aggiunsi guardando dal finestrino la grande casa e immaginandomi Jake al suo interno, completamente spaesato.

-Va... bene.- Axel allontanò le mani dal volante guardandomi come se fossi una pazza. -Parliamo di qualcosa, distraimi ti prego.- Lo supplicai senza nemmeno pensarci. 

-In effetti volevo dirti una cosa.- Iniziò e io piantai i miei occhi su di lui, con la testa completamente da un'altra parte. 

-È da un po' che ci penso in effetti.- Si morse un labbro guardando le mie. -Non ci conosciamo bene, Amber. Non ci siamo visti molto ultimamente, se non erano i miei impegni erano i tuoi. Beh, quello che volevo chiederti era se ti andasse di cominciare a...- Si stoppò. 

-...a frequentarci, seriamente intendo.- Concluse con quell'accento delicato. 

L'abitacolo cominciò a diventare soffocante e sotto i suoi occhi, così dannatamente speranzosi, mi grattai nervosamente l'avambraccio schiarendomi la gola. 

Non potevo negarlo: un po' me l'aspettavo, quindi mi chiesi come fosse possibile essere ancora così combattuta. Era chiaro cosa volessi.

Lo avevo sempre in mente ormai.
Sognavo quei suoi lineamenti così delicati. 

Ovunque vedevo quel suo viso sfregiato accennare delle piccole smorfie, ormai avevo imparato a riconoscere il vero sentimento che erano incaricate di nascondere come spesse tende.

Jake era il mio capo, una figura nettamente superiore, mai sarei stata al suo livello. 

Eppure non riuscivo a togliermelo dalla testa e questa mia consapevolezza cominciava a bruciarmi la pelle, fino a diventare una piaga insopportabile.

Era una cosa sciocca, una stupidaggine da ragazzina, da mocciosa, ma le sue parole, così fuggiasche e imprevedibili, erano la bazzecola più grande di tutte.

Non era ciò che volevo.

Avrei dovuto rimettere la testa a posto e rendermi conto dell'enorme guaio in cui mi ero cacciata con le mie stesse mani, ma il pensiero delle sue mani strette sul mio grembo, delle sue labbra morbide adagiate dietro il mio orecchio, mi facevano perdere il senso della ragione.

Quello era proprio il problema più grande di tutti.

Quando ero con lui tutto sembrava passare in secondo piano, era come se nulla avesse più importanza a meno che Jake non fosse in qualche modo coinvolto.

Non era ciò che volevo.

Mio zio aveva bisogno di me, quello doveva rimanere il mio unico pensiero costante e con lui persino quello era riuscito a passare in secondo piano.

Non era ciò che volevo.

Con Axel, invece, nulla di tutto ciò era mai accaduto.
La sua figura rimaneva perfettamente dove doveva stare, lui era quello giusto.

Czytaj Dalej

To Też Polubisz

110K 4.9K 56
Charlotte, un'alunna come tante altre, inizia un nuovo percorso scolastico: le superiori. Lei sta superando una fase molto delicata della sua vita e...
144K 4.1K 89
@charles_leclerc ha iniziato a seguirti
187K 6K 56
[COMPLETA] Una lotta tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato Tra il dolore e la ricerca di una felicità precaria Tra consapevolezze ed arrendev...