La Lucciola

By violgave

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[COMPLETA] Nella frenesia della vita, c'è una ragazza con una determinazione inarrestabile e un unico obbiett... More

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By violgave

Quando quella seduta straziante, che era stata definita come pranzo, finì ognuno di noi si alzò e si diresse in direzioni diverse. 

Il ragazzo al mio fianco si aggrappò al mio braccio ed io ebbi l'impressione che, se solo non avessimo dovuto recitare quella stupida parte dei ragazzi innamorati, sarebbe tornato alla nostra stanza da solo.

Appena la porta si richiuse alle nostre spalle Jake si staccò dal mio braccio come se fosse stato incandescente. -Cosa voleva lui da te?- Chiese in tensione. 

-Jake, io... mi dispiace di averti lasciato da solo con i tuoi genitori.- Mi decisi a sussurrare, gli dovevo delle scuse. 

Abbandonandolo, anche se per poco, avevo mancato alla promessa di rimanergli accanto, nonostante sapessi di quel rapporto tanto conflittuale tra i tre. 

Avevo fatto vacillare la fiducia che lui aveva scelto di riporre in me. 

-Non me ne frega un cazzo dei miei genitori adesso!- Uscì come un latrato dalle sue labbra sfregiate. 

Immersa nel silenzio appena creatosi, sfiorai piano il mio nuovo anello. -Scusa...- Lo sentii appena. Le sue pupille bianche ora erano rivolte verso di me. 

-Non è niente.- Per quanto ci provai, per quanto mi sforzai con tutta me stessa, non riuscii a non distogliere lo sguardo. 

-Ora è meglio se ci vestiamo.- Suggerii porgendogli il mio braccio per condurlo al letto su cui erano appoggiate le nostre valigie.
Gli allungai i suoi vestiti e lui si diresse da solo in bagno senza fiatare. 

Cercando di non pensare assolutamente a nulla cominciai a svestirmi e sfilandomi la maglia del pigiama rimasi a torso nudo, solo in quel momento mi ricordai del vestito che mi era stato regalato dai signori Hale. 

Mi spogliai infilandomelo immediatamente, corsi davanti al grande specchio all'angolo della stanza. Dovevo ammettere che non mi stava affatto male. 

Ruotai su me stessa un paio di volte ammirandolo e rimpiangendo di non averne indossati di simili durante l'estate. Mi feci anche due foto che inviai a Leda dopo averla ringraziata del regalo. 

A lei erano sempre piaciuti i vestiti anche se non li indossava più tanto spesso dopo essersi messa con Vince.

Dopo essermi osservata un altro po' decisi che era arrivato il triste momento di vestirsi ma, non appena sfilai il vestito, la porta del bagno si aprì e Jake uscì vestito e pettinato. 

Strillai coprendomi istintivamente con le mani come meglio potevo, il ragazzo fece un passo indietro spaventato.
-Voltati sono nuda!- Urlai e sulle sue labbra comparve una smorfia nonostante le sue guance tinte di un rosso acceso. 

-Ma tanto non posso vederti!- Tentò di ribattere. -Non mi interessa!- Il ragazzo sospirò scuotendo la testa e cercando di nascondere un sorriso divertito. 

Si voltò incrociando le braccia.
-Così va meglio?- Mi chiese e io sbirciai oltre la mia spalla. -Sì, grazie mille.- Dissi impacciatamente mentre mi fiondavo sulla mia valigia estraendo ciò di cui avevo bisogno. 

-Cosa hai fatto in tutto questo tempo invece che vestirti?- Mi domandò il ragazzo aspettando il mio permesso per girarsi. 

-Ho provato il vestito che mi hanno regalato i tuoi genitori.- Dissi infilandomi i jeans velocemente, per poco non caddi di faccia. 

-Ma che fai?- Mi chiese Jake sentendomi imprecare a bassa voce. -Sono inciampata sul pantalone.- Dissi semplicemente e lui non poté fare a meno di ridere per la mia goffaggine. 

Ci misi tutto il mio impegno per non perdermi in quel suo riso così ipnotico.
Velocemente mi allacciai un reggiseno bianco e mi infilai la prima maglia che mi capitò sotto tiro. 

-Come ti stava?-
-Cosa?-
-Il vestito, Mocciosa.-
-Mmh, non male. Mi piace, credo che lo metterò quest'estate.-
Dissi pettinandomi i capelli con le dita. 

-Ah, ti puoi girare ora.- Ubbidì portando le braccia ai fianchi. Era vestito con il nuovo maglione, che gli stava una meraviglia, e un paio di jeans neri come i suoi capelli. 

Ormai abituata mi avvicinai a lui sistemandoglieli con la riga in mezzo e pettinandoglieli con le dita, non capii se il rossore sulle sue guance fosse lo stesso di qualche minuto prima o fosse scaturito in quel momento. 


-Quasi quattro mesi.- Esordì interrompendo la sua lettura.
-Come?- Voltandomi chiusi il libro tenendo il segno con un dito. 

-Sono passati quasi quattro mesi da quando la signora Holland se n'è andata.-
Spiegò paziente. 

Seduti sulla soffice coperta, che Declan aveva trovato chissà dove, poggiavamo con la schiena sul possente tronco del Salice. 

I rami di quest'ultimo si rilassavano fino a sfiorare la verde erbetta curata di quel giardino nascosto, isolandoci dal resto del mondo.

-Di già?- Alla mia esclamazione i suoi occhi si schiusero lievemente e le due nivee perle si piantarono su di me, mi schiarii a disagio la gola.

-Sono... sicura che si trova bene a New York. Sei sicuro di non volerla chiamare?-
-Sì.- Pronunciò duro. -Sicurissimo.-
-Non ci credo che non ti manca!- Bastò la sua smorfia a farmi capire di aver alzato troppo il tono della voce. 

-Non ho mai detto questo.- Ci tenne a fare presente.
-Semplicemente non avrei nulla da dirle.- Concluse. Una folata di vento riuscì a farsi largo tra i rami accarezzandomi le guance, ma cercai di rimanere concentrata sulla conversazione. 

Jake, invece, decise di godersi quell'attimo di aria. Gettò la testa all'indietro, inspirando profondamente. -Non sempre per dirsi qualcosa servono le parole, Jake.- 

Col dito cominciai a picchiettare sulla copertina rigida del libro che ora tenevo in grembo.
-Toccante.- Senza traccia di cambiamento in quella sua espressione derisoria, riprese la sua lettura

Sbuffai e feci in modo che si sentisse.

Ormai stanca di far ricadere lo sguardo su parole d'inchiostro, mi concentrai sul colore sgargiante che il sole donava alle piccole foglioline del salice. 

Era tutto il giorno che faceva capolino da dietro le nuvole per poi, in un secondo momento, sparire nuovamente dietro di esse. 

-Come mai questo pensiero?- Sbirciai i suoi lineamenti e, da dietro le pagine, lo vidi riflettere. Fermò l'indice all'inizio di una pagina bianca. 

Mi sarei aspettata una risposta, anche solo un'espressione che mi facesse capire che non avrei ricevuto alcuna spiegazione, ma si limitò a schiudere gli occhi contemplando il vuoto, di nuovo. 

-Ti manca.- Azzardai di conseguenza. -Non è vero?- Non avevo mai trovato difficile perdermi in quelle due perle, ma lì, nel momento in cui balzarono nella mia direzione, distogliere lo sguardo fu più forte di me. 

Inespressivo, si preparò a rispondere.
Già sentivo il tono tagliente delle sue imminenti parole.

Una piccola, dolce, voce riecheggiò da dietro le nostre schiene, al di là dell'albero. 

Indirizzai lo sguardo verso l'origine di quel grazioso richiamo solo per veder spuntare, da dietro il tronco, due aguzzi occhietti seguiti da un corpicino paffutello. 

-Un gatto?- 

Osservai l'animale avvicinarsi a noi, ondeggiando con fare tranquillo la grande coda arruffata. 

Il manto bruno era punteggiato di ciocche grigiastre il che faceva presumere che avesse qualche annetto. 

Avanzò con eleganza superandomi, deciso a raggiungere il ragazzo al mio fianco che sembrava in ascolto di ogni minimo fruscio. 

Quando il muso del micio sfiorò il suo palmo, vidi quest'ultimo affondare le dita snelle nel pelo morbido dell'animale. 

La cicatrice sulle rosee labbra sbiancò quando sorrise.
-Harold?-
Meravigliato ascoltò le sue fusa. 

-Vi... vi conoscete?-
Lo vidi annuire, il sorriso non sembrava intenzionato a svanire. 

-Un regalo per il mio decimo compleanno.- Chiarì.
-Non pensavo fosse ancora vivo.- 

Strabuzzai gli occhi.
-E perché mai non dovrebbe esserlo!?- Gracchiai, ma non ricevetti risposta. 

Allungai la mano verso il micio, pronta ad offrirgli una carezza, ma quando mi soffiò contro la ritrassi immediatamente. 

-Non sembro stargli molto simpatica.- Mugugnai ricambiando lo sguardo truce che mi riservò l'animale. 

Il ragazzo inclinò il viso nella mia direzione porgendomi con delicatezza la mano, con un cenno mi intimò di afferrarla. 

Dopo un attimo di esitazione ubbidii, con un fine gesto mi fece posare il palmo su quella piccola testolina. -Non ti fa niente.- Mormorò quando opposi resistenza. 

-È sempre un po' distante con chi non conosce.- Spiegò. Immersi le dita in quel manto soffice, Harold mi lasciò fare. 

Quando il ragazzo sciolse il contatto delle nostre mani accarezzò sfuggente il dorso della mia. 

Il micio chiuse gli occhietti godendosi i grattini che gli feci cautamente, sorrisi. Jake, in silenzio, aveva ripreso la sua lettura, ma sembrava essere rimasto in ascolto. 

-Devi essergli mancato molto.- Dissi notando come la piccola creatura gli riservasse continuamente teneri sguardi. 

-È mancato anche a me.- Ammise accarezzando la schiena di Harold.
Rimasi ad osservarli per qualche attimo, sembravano in totale sintonia. 

***
Quando la udì accendere la bajour al suo fianco capì che si era fatto buio.

La sentì avvicinarsi a carponi sul materasso, così aprì appena gli occhi.
Non osava mai spalancarli, sapeva che effetto facevano alle persone.

Rimanevano disgustate o, nel migliori dei casi, sentiva la loro compassione appiccicarglisi sulla pelle. Era difficile da mandare via, quella sensazione.

Per giorni se la portava dietro e la sentiva, sentiva la consapevolezza che nulla sarebbe cambiato crescere e stagnarsi nelle sue viscere.

-Aprili per bene.- La sentì sbuffare, la sua voce fu come una secchiata d'acqua fredda in pieno volto. 

Ogni singola volta cercava di inciderla nella sua mente, per aggrapparsi a essa quando si sentiva affogare da pensieri e preoccupazioni. 

Due mani delicate gli sfiorarono la pelle del viso, ben attente a non sfiorare neppure per sbaglio una delle cicatrici.

Neanche percepì il pizzicore delle gocce tanto era concentrato a mantenere il respiro regolare. 

Fu tentato di compiere lo stesso gesto estremo della sera prima, afferrandola, quando la sentì allontanarsi, ma la lasciò andare.

Si bloccò quando lei si accomodò sul materasso, al suo fianco.
Voltò di poco il viso nella sua direzione soltanto per percepire la sua agitazione mentre si rifugiava sotto le calde lenzuola. 

-Buonanotte.- La sentì mormorare e dal suono della sua voce intuì gli stesse dando le spalle. 

Non rispose, troppo preso a chiedersi cosa l'avesse portata a compiere quella decisione. 

Aveva compiuto un gesto quasi disperato avvolgendola tra le sue braccia quella stessa mattina, ma mai aveva dormito in tale serenità. 

Era convinto di averla turbata ma, se così fosse stato, allora perché lei si trovava ancora lì, a pochi centimetri da lui?

Ricordò il suo profumo, i suoi capelli sul suo viso e per un secondo, per un attimo sfuggente, provò il profondo desiderio di stringerla a lui.

Quella sera non ci fu nessuna conversazione, nessuno sfogo, solo i loro respiri profondi. 

Rimasero distanti e lui non si azzardò a sfiorarla nemmeno con un dito.
***

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