La Lucciola

By violgave

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[COMPLETA] Nella frenesia della vita, c'è una ragazza con una determinazione inarrestabile e un unico obbiett... More

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By violgave

All'ingresso di un pittoresco ristorante italiano, Axel mi stava aspettando. 

Mi avvicinai con un sorriso timido, e lui sembrò riconoscermi immediatamente. 

-Amber! È un piacere rivederti.- Esclamò con quel leggero accento francese, sfoggiando un sorriso caloroso. 

Dietro di lui, comparve una piccola testolina di capelli folti e ricci, due occhietti nocciola fissarono il mondo dal basso. 

-Oh, lui è mio figlio. Théo, non essere timido.- Lo incoraggiò Axel prima di rivolgersi a me con un sorriso d'apertura. 

-Scusami, la babysitter ha annullato all'ultimo momento.-
-Nessun problema.- Mormorai, accovacciandomi per raggiungere l'altezza di Théo. 

Con delicatezza, agitai la mano in un gesto di saluto che accompagnai con un sorriso. -Ciao Théo, sono Amby.- Mi presentai, ma ricevetti solo un timido sorriso in risposta.

Appena entrammo nel ristorante, notai le sue diverse stanze. Un piccolo ingresso con pochi tavoli era affollato di gente. 

Il bar si trovava in una stanza separata, all'estremità del locale. Altre quattro sale, tutte ricche di tavoli, circondavano la sala principale. 

Il nostro tavolo era in una di queste stanze, offrendoci una privacy tranquilla.

-Come va il lavoro?- Mi chiese Axel, consegnandomi un menu. 

-Non mi lamento, e a te?-
-Lo stesso.- Rispose con un sorriso, prima di iniziare a esaminare le opzioni culinarie del locale. 

Ciascuno di noi fece il proprio ordine, e quando il cameriere si allontanò, potemmo finalmente godere di un momento tranquillo per conversare. 

Condivisi con Axel un racconto sincero e senza fronzoli della mia vita: dalla mia nascita a New York, dove avevo vissuto fino all'inizio delle elementari, al trasferimento a San Francisco, dai miei zii, dopo la tragica scomparsa dei nostri genitori.

Poi, fu il suo turno di condividere. 

Axel Durand, ventottenne, originario di Marsiglia, aveva compiuto una scelta audace all'età di ventidue anni, decidendo di lasciare tutto alle spalle, prendere Théo, e trasferirsi in California. 

Lui la chiamava "un'avventura." Nel profondo, mi chiesi cosa ci volesse per abbandonare tutto e iniziare un viaggio verso l'ignoto. 

Immersa in questi pensieri, persi il filo del suo discorso, mentre Axel, giocando con un braccialetto al polso, continuava a raccontare la sua storia. 

Soltanto quando notai che il piccolo Théo mi fissava da dietro un grande bicchiere di Coca-Cola, tornai al presente. 

-Théo, raccontami: hai già iniziato la scuola?- Chiesi, desiderosa di coinvolgerlo nella conversazione. 

Il bimbo annuì soltanto. 

-Ha iniziato da poco la prima elementare.- Mi spiegò Axel sistemandosi il tovagliolo sulle ginocchia. 

-E cosa ti piace fare quando non sei a scuola?- Théo mi guardò con occhi curiosi e si prese del tempo prima di rispondere con un timido sorriso. 

-Mi piace disegnare.- Disse con un filo di voce. 

-Ah, davvero?- Risposi con entusiasmo. -Anche a me piace tanto! Che cosa ti piace disegnare?-

Lui sembrò pensieroso per un momento. -I dinosauri e i draghi.- Sussurrò, come se stesse condividendo un segreto. 

-Wow, i dinosauri e i draghi sono fantastici! Hai dei disegni da farmi vedere?- Chiesi, incuriosita. 

Il bimbo scosse la testa negando lentamente, ma gli occhi brillavano di emozione. -Li mostro solo a papà.- Axel sorrise orgoglioso e prese in mano la conversazione. 


Mentre la cena proseguiva, Théo diventò un po' più socievole e cominciò a fare domande su New York, era affascinato dalla grande mela, e io raccontai storie su Central Park e i grattacieli, suscitando negli occhi di Théo quella luce scintillante dell'immaginazione.

Fu un piacevole pasto, con una conversazione leggera, e mi resi conto che avevo gradito molto la compagnia di Axel e Théo. 

La serata proseguì con una camminata nel piccolo parco accanto al ristorante, dove Théo si lasciò andare alle risate, correndo attraverso l'erba fresca mentre cercava di catturare gli ultimi raggi di sole al tramonto.

Quando il bimbo si allontanò, ci fu qualche istante di silenzio. -È stata una bellissima serata, grazie.-  Un piccolo sorriso si formò all'angolo delle labbra di Axel.

-Grazie a te, se domenica prossima ci sei per uscire...-

-Sarebbe grandioso.- Esclamò e, con impaccio, mi strinse in un timido abbraccio di arrivederci.

Ci salutammo poco dopo prendendo due strade differenti, non volevo chiamare Liam o avrebbe lasciato di nuovo Jake da solo. 

Così cominciai a passeggiare. Camminai sola per le strade illuminate, ma la luce artificiale rendeva difficile scorgere le stelle o la luna dietro gli alti palazzi. 

Una volta avevo provato a dipingerlo, il cielo notturno.
Ma ero stata ingenua a pensare di catturare la sua magia su tela, soprattutto con la mia impazienza. 

L'arte richiedeva pazienza, e il mio perfezionismo non faceva altro che ostacolare il mio progresso.

Avevo pianto, quando mi era toccato vendere la mia attrezzatura.
Mi mancava, dipingere, ma mio zio era la priorità.

Poi, come un fulmine, li vidi. 

Uscivano da un'auto parcheggiata vicino, una chioma nera tinta seguita da mio fratello. 

Si tenevano per mano, pronti ad entrare in un appartamento, probabilmente di Cassidy. 

Non avrei dovuto, mi sarei dovuta fare gli affari miei, ma non ci vidi più.

-Mattew Hooper!- Urlai incamminandomi verso i due che sembrarono paralizzarsi.

-Chi sei?- Mi chiese la ragazza diffidente per poi voltarsi verso il mio gemello. -Non è Esther.-

-Sono sua sorella, gallina.- Sibilai, scrutandola dalla testa a piedi con occhi furenti. 

-Cassy, te intanto sali. Arrivo subito.- Con uno sguardo tagliente, Matthew la spinse all'interno.

Appena Cassidy sparì dalla vista, mi avvicinai a Matthew, con il dito puntato minacciosamente contro di lui. 

-Sei un deficiente, un idiota insensibile. Come puoi fare questo a Esther?- Chiesi, ma non ricevetti risposta immediata. 

-Matthew, rispondimi! Da quanto intendevi tenere nascosto tutto ciò?- Gesticolai con rabbia, indicando l'appartamento. 

-Da quanto lo sai?- Non permise all'imbarazzo di strozzare la sua voce. 

-Importa ora? Senti razza di cretino, da quanto tradisci la tua ragazza?- Alzai nuovamente la voce attirando l'attenzione dei passanti. 

-Non urlare...-
-Come posso non farlo? Sono furiosa, Matthew. Sono... delusa da te.- Dissi piano, non lo guardai nemmeno in faccia. 

Sapevo delle lacrime agli angoli dei miei occhi: non sapevo litigare senza piangere, era una lotta che non potevo vincere. 

-Da quanto va avanti questa storia?-
-Qualche mese.- Ammise, le labbra strette. 

Continuò a fissarmi e notai che aveva avuto la mia stessa reazione. Stavamo diventando viola, i nostri volti gonfiati dalla rabbia, il senso di colpa. 

Era consapevole del suo errore, ma non era disposto ad ammetterlo. 

-Matthew, io non voglio immischiarmi, ma non mi sembra giusto tenerle nascosta una cosa del genere.- Mormorai.

-Quindi o glielo dici tu, o lo farò io. Lo giuro sul mio lavoro.- Assunsi un tono autoritario alzandomi nuovamente sulla punta dei piedi, cercando di mettere un po' di paura in lui. -Una settimana, Matthew, non puoi continuare ad approfittarti di entrambe.- 

Sospirai distogliendo lo sguardo, mi provocava un senso di disgusto incrociare i suoi occhi. Mi voltai lasciandolo lì in piedi, attonito. 

Non avevo più parole da dedicargli.


Quando tornai alla villa, non c'era traccia della macchina di Liam. 

Era tardi, e immaginai che fosse tornato a casa sua da un pezzo. 

La casa era avvolta nel buio, il silenzio regnava sovrano. Con passi leggeri e silenziosi, mi diressi al piano superiore. 

-Bentornata.- Esordì una voce impastata dalla camera di Jake. 

-Grazie, Signor Hale. Scusi se l'ho svegliata, buonanotte.- Dissi tirando su col naso in silenzio.

-Buonanotte.- La sua voce era un sussurro, e superai la stanza.

Una volta in camera fu già un miracolo che riuscii a mettermi il pigiama e struccarmi prima di cadere a peso morto sul soffice letto.

Come sempre, appena chiusi gli occhi caddi in una sensazione di relax tale da non sentire quasi più il materasso sotto di me. 

Mi addormentai in pochi minuti dando inizio al mio solito tormento giornaliero, non iniziò immediatamente, non iniziava mai subito. 

Prima feci qualche sogno, erano confusi e agitati come ogni sogno che facevo, col tempo tutto diventava nero e una volta intrappolata in quell'oscurità era impossibile uscirne prima della mattina successiva.

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