Capitolo 60

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Bianca come quella neve pungente: era così che Loki la sognava, pura come una sposa ancora intatta, bella nel modo in cui sono belli i riflessi del sole nel mare. Si sarebbero di certo sposati in cima ad una scogliera, con l'oceano a testimoniare la loro unione. Nonostante quei punti rimasti cicatrizzati nelle sue labbra non si pentiva affatto dell'inganno compiuto per ottenere l'anello d'oro, unico.
Un serpente d'oro, la miglior morfologia che potesse scegliere Loki.
E Frida avrebbe avuto i morbidi capelli bruni sciolti lungo le spalle, mossi questa volta, per ricordare a Loki i vecchi ricci affezionati ormai perduti. Le avrebbe regalato una leggera corona di brillanti preziosi da indossare assieme all'abito nuziale. Frida sarebbe stata bella proprio come una regina, la sua.
La vedeva in lontananza nel suo delirio da eremita, seduto al riparo di un albero spoglio, mentre una brutta tormenta di neve lo scalfiva.
In quel posto che era sempre stato la sua vera casa Loki aveva il colorito della pelle blu. Stava poco a poco ritrovando la sua natura.
Gli occhi rossi sanguigni ed i capelli color carota lucente che si muovevano come un vortice per via del vento ululante.
Il figlio di Laufeyson si strinse nella sua pelliccia bianca, infastidito dalle condizioni climatiche ostili.
Era buio pesto ma lui non riusciva a prendere sonno; sognava ad occhi aperti immaginando il matrimonio desiderato con Frida.

Immaginava lei, piangeva per Atali.

Da poco giunto nella sua nuova casa d'esilio non volle ancora andare alla ricerca dei suoi fratelli di sangue per cercare asilo da loro.

Loki voleva restare in solitudine, sperando di riuscire a sentire nel più insignificante dei suoi respiri la presenza di Thurisaz. Anche lei era sparita per sempre, tentare di trovarla dentro al suo corpo era patetico.

La neve lo aiutò a materializzare nitidamente i contorni bianchi della sua Frida sposa.

Era da solo, e così sarebbe rimasto per il resto della sua quasi eterna nuova vita.

«Avanti.» rispose Frida alla porta, restando a letto.

Era ricoverata in struttura ospedaliera; si trattava di una delle migliori in circolazione. Bruce l'aveva personalmente scelta per lei. In quello stesso posto, costruito attorno ad una curata vegetazione rigogliosa, soggiornavano molti altri eroi feriti dalla battaglia contro Thanos.

Timidamente Thor aprì la porta di vetro sottile, lasciandovi sopra le impronte condensate delle sue dita.

Frida rimase sorpresa nel vederlo. Nonostante Thor fosse ancora fuori forma qualcuno gli aveva rifatto il guardaroba. Pigiò un tasto del telecomando sul suo letto bianco e alzò la spalliera, in modo tale da mettersi seduta per accoglierlo educatamente.

«Avevo timore di essere un disturbo...» disse lui entrando nella luminosa stanza, con estrema cautela.

Frida scosse il capo piano e ostentò un sorriso; «Tu non disturbi mai. Sono davvero felice che sia venuto a trovarmi.»

Il dio si avvicinò al letto di Frida sedendosi su una poltrona propri accanto a lei.

«Come stai?» le chiese.

Lei emise un verso sarcastico, abbassando lo sguardo: «Se ti riferisci al fisico va molto meglio, il dottore è fiducioso. Ho tre costole un po' ammaccate, ecchimosi e graffi qua e là -Frida gli indicò con la mano fasciata l'occhio nero ed il labbro tagliato- mi sento ancora uno schifo, ma per fortuna non sono finita sotto i ferri. Devo solo star a riposo, la mia colonna vertebrale ha rischiato grosso, ed il polso si è slogato. La cosa peggiore sono i miei vecchi dolori alle ginocchia che sono ritornati...»

«Quando ho saputo di come ti sei battuta contro Thanos credevo fossi morta.»

«Sai che sono una roccia.»

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