Capitolo XVI

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Capitolo XVI
Ma imparando a vedere

Harper si trascinò fuori dall'ennesimo incubo, la faccia schiacciata contro il terriccio e i capelli neri che si mimetizzavano con lo sfondo tetro della Foresta. Si era addormentato mentre era di guardia, nonostante avesse fatto a botte con Morfeo fino all'ultimo istante.

Aveva sognato ancora quegli occhi ambrati.

Si tirò a sedere, stringendosi nel mantello e rabbrividendo comunque. Faceva un freddo cane, si era nel cuore della stagione delle piogge e presto sarebbe arrivato l'inverno, il gelido inverno di Lyonesse. Abituato al clima mite di Aresil, Harper ne soffriva particolarmente. Invidiò il principe Devon, addormentato al caldo in una di quelle tende, e si chiese cosa sarebbe accaduto se si fosse alzato e fosse andato via. Se così, di punto in bianco, avesse deciso di mollare tutto.

Non aveva un posto dove andare e non sapeva orientarsi nella Foresta Nera, ma in quel momento pensò che tutto sarebbe stato meglio dell'inferno che stava vivendo. Ripensò all'incubo che aveva appena avuto, all'uomo che aveva ucciso e allo sguardo distrutto della figlia. Dolore che si era trasformato prima in rabbia e poi in odio puro, verso di lui e tutto quello che rappresentava. Le guardie la trattenevano e lei piangeva, pregandolo di fermarsi.

Quegli occhi lo avevano supplicato fino all'ultimo momento.

Ma Harper aveva potuto soltanto affrettare le cose, affondando il pugnale nello stomaco dell'uomo in un colpo secco e preciso, per mettere fine alle sue sofferenze.

E lei aveva urlato.

Si era scagliata contro di lui, ma gli uomini di Devon l'avevano tenuta ferma e il principe era uscito da quella dannata casa con l'aria tronfia e un sorriso smagliante. Gli aveva detto di liberarsi di lei o di tenersela, come gli pareva, ma di fare in fretta.

Andate, aveva detto Harper alle guardie, ci penso io, aveva aggiunto, il tono fermo e la voce fredda, salda. Era bravo a fingere, sarebbe stato persino capace di sorridere in una situazione del genere. Un attore nato.

Gli occhi ambrati lo avevano guardato ancora con odio, ma la ragazza era rimasta zitta.

Harper si aspettava che gli saltasse addosso, che si avventasse contro di lui per prenderlo a schiaffi, ma quando le guardie la lasciarono andare, per poi uscire dalla piccola casa di legno, lei si accasciò a terra ed emise dei piccoli singhiozzi. Lo sguardo fisso in quello azzurro di lui, orgogliosa eppure distrutta dal dolore.

Che aspetti?, gli aveva chiesto, ammazza anche me, forza, con la voce spezzata per via del pianto aveva spalancato teatralmente le braccia, come se aspettasse il colpo di grazia. Ma Harper era rimasto immobile, rinfoderando il pugnale.

Non gridare, le aveva detto, esitando solo per un istante

Poi si era voltato ed era uscito di lì, senza guardarsi indietro.

***

Yaldon era molto piccolo, a stento una piazza per il mercato e alcuni vicoli intrecciati in un nodo a cassa. Gli abitanti, come in tutti i villaggi non molto grandi, si conoscevano tutti tra loro e avevano una routine piuttosto fissa. Viandanti e turisti non se ne trovavano, soprattutto alla vigilia di un inverno freddo come quello, motivo per cui Aislin e Will si sentivano più scoperti che mai.

-Forse non è stata una buona idea lasciarti venire.- le fece notare il ragazzo -Potrebbero riconoscerti.

Aislin alzò gli occhi al cielo, ma tirò meglio il cappuccio del mantello color petrolio per coprirsi anche la fronte.

DisordersWhere stories live. Discover now