19 - la pioggia

463 43 24
                                    

Aveva inforcato il camino della presidenza quasi correndo.
Minerva forse le aveva parlato, o forse si era limitata a guardarla incredula, mentre cercava di nascondere delle lacrime che non avevano rispettato il suo tentativo mal riuscito di trattenerle.
L'odore della polvere aveva cancellato per un attimo quello di lui, che continuava a rimanerle appiccicato alle labbra.
Voleva piangere, Hermione.
Voleva chiudersi in una stanza buia e lasciare uscire tra le urla tutto il suo dolore.
Perché amava quell'uomo.
Lo amava di una amore nuovo, un amore che non aveva mai provato.
E lo odiava con tutta se stessa.
Odiava il suo passato che non gli permetteva di respirare.
La sua freddezza.
La sua volontà così assurdamente ferrea da impedirgli di ricominciare a vivere.

Si era lasciata il Ministero alle spalle, insieme ai suoi camini e alla facilità che rappresentavano di raggiungerlo di nuovo.
Perché era solo quello ciò che avrebbe voluto fare.
Tornare da lui.
Implorarlo di baciarla ancora, anche una volta soltanto.
E invece aveva ripescato quel briciolo di orgoglio che era scampato al potere impietoso del sapore delle sue labbra e si era avviata a piedi tra le strade di una Londra ormai quasi deserta, pronta ad abbracciare la notte sotto una pioggia torrenziale.
Voleva camminare, voleva sentire l'aria fredda sulla faccia, illudersi per un attimo ancora di poter continuare a vivere la vita che si era costruita tra le menzogne e i titoli accademici e, soprattutto, voleva che la pioggia le cancellasse l'odore di lui dalla bocca, il ricordo delle sue mani dalla pelle e quello di lui dai pensieri.
Svoltò l'ennesimo angolo buio, con i vestiti fradici e le lacrime confuse tra quelle delle nuvole.
La sua vita era uno schifo.
La sua casa era uno schifo.
I suoi amici che l'avevano lasciata sola con una carriera che aveva annientato tutto il resto intorno.
La guerra che aveva devastato ogni possibilità di spensieratezza.
Tutto era uno schifo, tranne lui e la sua vita schifosa che a lei sembrava di bramare come un alcolizzato brama un bicchiere di whisky proibito.
La luce dei lampioni si faceva sempre più fioca, oppressa da un temporale che riversava la sua rabbia sul mondo degli uomini.
Un lampo squarciò il cielo, illuminando a giorno per un solo istante il vicolo che aveva inforcato sulla strada di casa.
Una figura nera in lontananza apparve in mezzo all'oscurità della sera.
Ad Hermione si mozzò il respiro.
Un mantello nero si muoveva importunato dal vento e dai passi sicuri dell'uomo che camminava piano verso di lei.
Il buio tornò ad avvolgere la strada deserta.
Mentre un sorriso avvolgeva le labbra di Hermione, ancora vittime del sapore della sua bocca.
Qualche passo veloce si avvicinò nella penombra.
E il suo cuore smise di battere.

- "Severus..."

Solo un sussurro che superò a stento lo scrosciare della pioggia.
Un altro lampo.
Ed Hermione se lo ritrovò davanti.
Un mantello nero e una maschera argentata a coprirgli il volto.

- "Non sono Severus, avvocato Granger..."

Hermione non ebbe il tempo di sfoderare la bacchetta prima che due mani forti le bloccassero il respiro, stringendosi sulla sua gola.

- "Adesso vieni con me, avvocato.
Mi segui facendo la brava, senza urlare.
O sarò costretto ad impedirti di farlo.
Tutto chiaro?"

Hermione trangugio a stento la saliva sotto la stretta delle sue dita.
Un odore acre le riempì le narici, mentre con l'ultima lucidità scampata alla paura lasciava uscire un flebile cenno del capo.

- "Il tuo professore ha sbagliato pensando di comprarsi la libertà intrappolando me!
Gli altri non erano che un branco di imbecilli alcolizzati, ma io sono diverso.
Non ho nessuna intenzione di passare la mia vita in una cella di Azkaban per causa vostra."

La stretta intorno alla gola si fece più serrata,  ed Hermione vide i contorni del suo campo visivo farsi neri e la lucidità dei suoi pensieri sciogliersi come burro accanto al fuoco.

Quando si risvegliò un mal di testa infernale la colpì senza pietà.
Aprì gli occhi lentamente sul chiarore artificiale di una stanza dai soffitti a cassettoni di legno scuro scrostati e fatiscenti.
Un fuoco verdastro imperversava nel camino di pietra tra le finestre che affacciavano sulla periferia di una città che le sembrò di non riconoscere.
Si tirò a sedere sul letto con una fatica che le parve sproporzionata allo sforzo.

- "Ben svegliata, avvocato."

Una voce roca la raggiunse dal lato più in ombra della stanza.
Hermione si voltò di scatto, con la paura che improvvisamente le aveva ripreso possesso dello stomaco.
Un uomo nascosto dalla maschera se ne stava immobile su una poltrona che aveva visto tempi migliori.

- "Chi sei? Che diavolo vuoi da me?"

Cercò di fare uscire la voce da giurista esperta mentre si ritrovò a parlare come una ragazzina in preda al terrore.

- "Oh, non preoccuparti, Hermione. Non ti faccio niente.
Non è te che voglio, almeno fin che non mi darai fastidio.
E se vuoi continuare a vivere è meglio che io non ti riveli il mio nome.
È il tuo amico che mi interessa..."

Hermione rimase imbambolata per un attimo davanti ad una maschera troppo simile a quella dei mangiamorte per generare un indizio trascurabile.
L'uomo nell'ombra parlò ancora.

- "È il tuo nuovo amico che voglio!"

Hermione smise di respirare.

- "Esatto avvocato! Allora è vero che sei brava!"

Così dicendo si alzò dalla poltrona, si diresse verso un tavolo malconcio buttato senza troppa grazia sotto una delle finestre.
Prese quelli che sembravano essere un pezzo di carta e una piuma d'oca, poi si voltò verso il grande letto su cui Hermione restava quasi paralizzata dalla paura.
La raggiunse, rimanendo nell'ombra.
Lo vide allungare la mano nella sua direzione, lasciar cadere sul letto il foglio spiegazzato e gettarci sopra con poca grazia la piuma che ancora teneva in mano.

- "Digli di venire a prenderti.
Tu vai, lui resta.
È facile!"

Hermione temporeggiò un momento.
L'uomo nel buio si spazientì.

- "Avvocato, te lo chiedo con gentilezza.
Non costringermi a diventare poco cortese.
Scrivi a Severus Piton di venire qui, subito.
Ha tempo fino a domani.
E poi tu muori.
È tutto più chiaro adesso?"

Hermione afferrò la penna, se la rigirò tra le dita.
Poi alzò lo sguardo, lo puntò in quello dell'uomo nascosto sotto la maschera.
Con un gesto di stizza gettò per terra il foglio di carta e la piuma nera che lasciò una minuscola macchia di inchiostro sulle assi esauste del pavimento.

- "Fottiti!
Se vuoi Severus Piton, vai a prendertelo.
Io non gli scriverò niente!"

Sentiva le lacrime premerle agli angoli degli occhi, Hermione.
Era la paura.
E la consapevolezza che lei, Severus, non lo avrebbe mai tradito.
Si chiamava amore.
E lei lo sapeva.
Anche se non lo aveva mai detto a voce alta.

- "Molto bene, avvocato.
Hai deciso di rendere tutto difficile.
Non capisco perché con voi giusti debba essere sempre tutto estremamente più difficile!
Vorrà dire che dovrò passare al piano B..."

E fu l'ultima frase che Hermione sentì, prima dei muscoli che si contornavano in preda agli spasmi, di un dolore lancinante che le si impadroniva del corpo e dei pensieri, e degli effetti di una cruciatus che si abbatteva sul suo corpo coperto dai vestiti fradici.

Di vento, di sabbia e di silenzioWhere stories live. Discover now