16 - in ritardo

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- "Avanti."

La giornata era stata un inferno, così come quella precedente, e quella prima ancora.
Quell'idiota petulante si nascondeva dietro alle colonne, negli angoli più bui di un corridoio già buio, dietro alle finestre che aveva paura di aprire, spiandolo dal castello protetto da un vetro appannato che secondo lui avrebbe potuto difenderlo, mentre Severus si avventurava nel giardino deserto, cercando un'evasione da quei sotterranei che avevano cominciato a scaricargli addosso troppi ricordi.
McLannet era un cretino.
Un pavido, stupido e viscido cretino.
E lui lo odiava, odiando se stesso ancora di più, per avergli permesso di prendere il posto di chi, faticava ad ammetterlo, gli mancava come l'aria.
Quando avvertì il suono delle nocche sulla porta si preparò, ancora una volta, per tirare fuori la parte peggiore della sua eterna maschera.
Quella che, almeno, riusciva a farlo tremare di terrore e a tenerlo lontano.
Con una penna e un taccuino in mano, pronto a catalogare ogni sua espressione del viso o movimento delle mani, ma pur sempre lontano.
E questo era quanto di meglio Severus Piton potesse sperare.
Mentre la sua voce accarezzava viscidamente le pietre dei sotterranei, rifugiò lo sguardo su una delle infinite pergamene ormai quasi inutili, sparpagliate in malo modo sulla sua scrivania.
All'inizio si era imposto di non scriverle, di lasciarla scivolare via dalla sua vita con la stessa noncuranza con cui ci era entrata.
Aveva lottato con se stesso fino allo stremo delle forze per cacciare dalle dita il desiderio di imprimere sulla carta quella maledetta necessità di averla accanto.
E poi, una sera, complice un bicchiere di whisky di troppo, utile a tenere lontano il ricordo fastidioso di quell'insopportabile cretino che si era ritrovato tra i piedi, aveva preso una penna dal tavolo, l'aveva intinta nel calamaio e, senza rendersene conto, aveva scritto quattro parole su una pergamena ingiallita.

Vieni ad Hogwarts, adesso!

E maledizione quando si era sentito stupido!
Perché in realtà non aveva niente da dirle.
O meglio, forse da dirle aveva anche troppo, ma non era in grado di farlo.
E, soprattutto, per cosa avrebbe dovuto dirglielo?
Per farla tornare a consumare la sua vita in un sotterraneo gelato, con un uomo gelato, saturo di parole gelate e di un cuore che, se ancora fosse stato in grado di battere, sarebbe stato gelato?
Cosa aveva da offrirle, lui?
Il più marcio degli eroi.
Il più distrutto tra gli uomini.
Niente.
E in quel poco di lucidità che ancora l'alcol gli concedeva, per un attimo, si era trovato a congratularsi per essere stato in grado di salvarla, da lui e da se stessa, e di lasciarla scappare.
Forse l'avrebbe rivista in un'aula di tribunale, mentre un gruppo di burocrati troppo impegnati a complimentarsi tra loro per quanto astuto fosse stato il piano di lasciargli catturare gli ultimi mangiamorte, sanciva finalmente la libertà dal suo passato di sotterfugi e ambiguità.
Forse l'avrebbe vista sorridere, ancora una volta, come su quella scogliera deserta e piena di sale, in una mattina che si riprometteva senza successo di provare a dimenticare.
E forse quel nuovo sorriso gli sarebbe bastato per rinchiudersi a passare quello che gli rimaneva da vivere in un sotterraneo che non aveva mai sentito tanto freddo.
O forse no.
E quello avrebbe dovuto bastargli comunque.
Perché lui era Severus Piton, l'uomo che non aveva mai veramente vissuto e che non aveva più nulla da dover vivere.
E lei era Hermione Granger, quella che aveva vissuto tanto da poter vantare storie da raccontare, e che aveva tanta di quella vita da poter vivere da indurlo a classificare se stesso come un'inutile condanna alla sua promettente felicità.
Perché Severus non era mai stato felice, prima di quell'attimo durato troppo poco, su una scogliera affogata nell'alba.
Perché Severus non era in grado di generarla, la felicità.
E forse il suo silenzio per un momento le era bastato.
Forse lo aveva addirittura ritenuto piacevole, così abituata a lasciarsi trasportare da parole infinite e irrefrenabili.
E poi, quando si fosse svegliata dal torpore e avesse capito che il silenzio, in fin dei conti, è solo silenzio?
Che non è intriso di alcuna magia, di alcun potere salvifico? Che non porta a niente, se non ad altro silenzio?
Quando gli avesse chiesto di raccontarle la sua vita, lui cosa avrebbe fatto?
Perché le persone parlano, si scambiano emozioni, gioie e ricordi.
Lui cosa avrebbe potuto scambiare?
Omicidi, sotterfugi, torture inflitte e subite, attimi mancati e rimpianti così spessi da impedirgli di respirare.
E poi era arrivato un nuovo giorno, e con lui quel dolore sul petto tanto forte da sembrare incurabile e, come un idiota, quasi senza rendersene conto, in una mattina in cui il sole tentava invano di superare la coltre di nebbia dell'alba, aveva legato quella maledetta lettera alla zampa di un gufo e lo aveva lasciato volare verso l'orizzonte.
Pensava questo Severus Piton, mentre sentiva la porta cigolare sui cardini.
Mentre si pentiva, ancora una volta, di aver lasciato che quel suo stupido sentimento partisse per un ufficio del centro di Londra che si ritrovava a sognare ogni notte .
Pensava questo mentre si preparava a sibilare parole velenose a McLannet.
E pensava questo anche mentre sentì incastrarglisi il respiro nella gola.

- "Che cosa le serve, professore?"

Lui non si era mai fatto prendere di sorpresa.
Non aveva mai permesso a nessuno di farlo sentire impreparato.
Ma in quel momento si ritrovò come un imbecille, a boccheggiare con gli occhi sgranati che si riversavano in quelli di lei, tanto luminosi da fargli strizzare le palpebre.
Non aveva mai risposto a quella lettera.
Erano passate settimane da quando l'aveva spedita e, per un attimo, si era concesso il lusso di pensare che un impiegato poco solerte l'avesse semplicemente persa tra le migliaia di carte di un ufficio sovraffollato.
Ci mise un attimo, Severus Piton, a ripescare dal petto il suo personaggio scomodo.
Ci mise un attimo a travestirsi da ex mangiamorte senza sentimenti.
Ci mise un attimo a nascondere l'uomo che lottava ormai da settimane, cercando di uscire allo scoperto.
Ci mise un attimo.
Forse un attimo di troppo.

- "Sei in ritardo, Granger!"

Fu tutto quello che gli uscì dalle labbra, prima di vederla inforcare una sedia, strappargli dalle mani il bicchiere di whisky, riempirlo con la bottiglia che ormai campeggiava sulla sua scrivania da giorni e sederglisi davanti.
Pronta, ancora una volta, a distruggere con uno sguardo la corazza che ci aveva messo una vita intera a costruire.

Di vento, di sabbia e di silenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora