18 - perchè?

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Maledizione quanto era bella, ferma su quella porta, con gli occhi pieni di speranza e di voglia di afferrare una felicità che, assurdamente, sembrava essere proprio lui a rendere possibile.
E quando si sentiva inetto, Severus Piton, di fronte ad un sentimento che non era in grado di chiamare per nome.
La osservava immobile, mentre si contorceva le dita e cercava invano di arginare i ricci ribelli dietro ad un orecchio che si rifiutava di collaborare.
E il silenzio, per la prima volta in vita sua, gli parve pesante.
E l'oscurità, per la prima volta in vita sua, gli parve opprimente.
E il freddo, per la prima volta in vita sua, gli parve insostenibile.
E non sapeva cosa fare.
Se non scacciare il silenzio, l'oscurità e il freddo, con un sarcasmo che gli aveva sempre fatto da scudo.

-    "È inutile che ti ostini a cercare di incastrare i capelli dietro a quell'orecchio, Granger.
Non c'è alcun modo di provare a domarli."

Silenzio.
E si sentì un imbecille, ancora una volta.
Con tutto quello che avrebbe voluto dirle, con tutto il tumulto che gli infuriava nel petto, era riuscito a sputarle addosso solo quello.

-    "È inutile che si ostini a cercare di indossare la maschera da uomo di ghiaccio, professore.
Non c'è alcun modo per non farmi vedere che sotto c'è qualcosa di più."

Se avesse preso un pugno in faccia, probabilmente avrebbe sentito meno male.
Quella ragazzina, quella maledetta, incredibile ragazzina, gli aveva strappato di dosso il costume da mangiamorte, con una frase ad effetto e una facilità che Severus non avrebbe creduto possibile.
E adesso si ritrovava nudo, davanti a lei che lo guardava senza paura di guardarlo.
E non aveva più appigli per difendersi dietro al personaggio che aveva passato la vita ad indossare.
E allora fece un passo, Severus Piton.
Perché se improvvisazione doveva essere, allora che lo fosse davvero.
E fino in fondo.
Ne fece un altro.
Perché se verità doveva essere, allora che lo fosse davvero, e fino in fondo.
Mentre lei restava immobile ad aspettare la sua prossima mossa, su una scacchiera che improvvisamente aveva perso strategie logore e silenzi inutili.
La raggiunse di fretta.
Le afferrò il viso con una mano, schiacciandola sullo stipite di una porta aperta sul buio del corridoio.
Si fermò ad un centimetro dalle sue labbra.
Il fiato caldo di lei gli entrava nelle narici con l'effetto di una pozione allucinogena.
Gli strattonava lo stomaco, gli riempiva i polmoni, la mente ed il cuore.
Quello che sentiva battere intrappolato tra le costole, tanto forte da fargli quasi male.

-    "Io non ho niente da darti!"

Glielo disse piano, proprio lì, ad un centimetro dalla bocca.
Glielo disse e, improvvisamente, si sentì meno sudicio.
Lei lo guardava.
Con quel suo modo di guardarlo che riusciva a farlo sentire un uomo migliore.
Ancora capace di regalare qualcosa di più di un terrore costruito negli anni a suon di abnegazione e sofferenza.
Se lo lasciò scivolare su dalla gola, sentendo che le parole gli invadevano la bocca, rivendicando la loro necessità di uscire e di provare a dargliela, quell'unica cosa che lo avrebbe fatto sentire meno inetto, per essersi lasciato amare.
Proprio lui, che aveva fatto di tutto per tenere lontano il mondo, e che adesso trovava il suo intero mondo negli occhi di una ragazzina a cui mai avrebbe voluto fare male.
Perché lui sapeva farne, male.
Lo aveva sempre fatto.
E adesso no, non voleva farne a lei.

-    "E se io non volessi niente?"

La sua voce era sottile, ma limpida.
Leggera, ma forte come avrebbe potuto essere uno schiaffo.
E Severus Piton si ritrovò ad avere paura, di nuovo.
E si senti fuori posto, lì, davanti alla sue labbra, senza più la forza di muovere un muscolo e di prendere una decisione.
Hermione sorrise.
Sentì la piccola mano fredda di lei afferrare la sua, quella ancora seminascosta tra le pieghe del mantello.

-    "Se io volessi solo te...e nient'altro?"

Lo disse con il sorriso ancora sulle labbra.
Quel sorriso impertinente.
Quel sorriso disarmante.
Quel sorriso che gli fece perdere quel briciolo di ragione che continuava a tentare invano di risalirgli la gola.
La baciò, Severus Piton.
La baciò lì, sullo stipite di una porta che lo aveva difeso dal mondo intero, per una vita intera.
E quando si rese conto di aver appoggiato le labbra sulle sue, lasciando che l'odore che si era scoperto a desiderare ogni notte gli entrasse fin nelle vene, Severus Piton tremò di terrore.
Sentì le mani di lei raggiungergli le spalle, e la sua bocca aprirsi, cercando un bacio che da timido si stava trasformando in dirompente, senza la possibilità che nessuna ragione riuscisse a fermarlo.
La baciò, Severus, nel modo in cui non aveva mai baciato nessuno.
Affondò la lingua nella sua bocca, intuendo il sapore dei suoi sogni.
Le mani di lei si intrecciavano nei suoi capelli. Il suo seno gli premeva sul petto.
E il suo respiro gli riempiva i polmoni.
E continuò a baciarla.
Perché non era più in grado di smettere.
E perché, guardandola negli occhi, non avrebbe saputo cosa dirle.
Cosa fare.
E, soprattutto, come scappare.

Quando sentì le sue labbra allontanarsi fu preso dal terrore.
Improvvisamente si sentì addosso il peso di tutte le scelte sbagliate, di tutta la sua vita sporca, senza le parole per giustificarla a chi, da lui, si aspettava qualcosa di più.

-    "Tu non sai niente di me, Granger!"

La maschera di nuovo sul volto.
Perché così nudo, Severus Piton, non ci sapeva stare.
Perché così nudo, Severus Piton, non ci si era mai sentito.
Perché quel costume, indossato a fatica dal giorno in cui lei aveva messo piede nella sua vita, era ancora l'unico posto al mondo in cui si sentiva al sicuro.
Da lei, che era in grado di fargli più paura di qualsiasi pazzo omicida, di qualsiasi giuramento, di qualsiasi promessa impossibile.

-    "Io so quello che c'è da saper..."

-    "Taci!"

Gli occhi pieni di tutte le fiamme gelide che riuscì a trovare, puntati in quelli di lei, sempre più increduli di fronte alla sua freddezza.

-    "Vattene ragazzina!
Questo gioco è troppo pericoloso per te..."

La vide allontanarsi.
Incrociare le braccia al petto.
Lanciargli negli occhi uno sguardo di sfida.

-    "Vuoi che me ne vada?
Che ti tolga McLannet dai piedi e che torni ad aspettare i resoconti delle tue catture fino alla fine del processo?"

Aveva la voce incrinata da incredulità e rabbia, mentre si imponeva di stargli in piedi davanti.
Quella voce che aveva faticato a tirare fuori.

-    "Sì..."

La vide abbassare gli occhi sul pavimento, prima di rialzarli e di pugnalarlo ancora, con una forza che quasi non si sentiva più in grado di sostenere.

-    "Perché?"

Maledetta ragazzina!
E maledetto lui, per non essere stato in grado di nascondere per un secondo in più quel sentimento assurdo.
Per averglielo lasciato leggere nei suoi occhi.
E assaporare sulle sue labbra.
E allora si voltò, Severus Piton.
Si allontanò, cercando un nascondiglio in mezzo al suo mondo umido e freddo.
Raggiunse la libreria.
Afferrò un libro di cui non riconobbe la copertina, lo aprì senza riuscire a leggere neppure una parola, prima di lasciarsi cadere sulla sedia dietro alla sua scrivania, senza più il coraggio di alzare gli occhi e di guardarla ancora.
Quando sentì la porta chiudersi con un tonfo avvertì il peso di tutta la solitudine che, ancora una volta, era stato in grado di costruire intorno a se stesso.
Avvertì il dolore, quello che gli lacerò il petto, lasciandolo senza fiato.
E avvertì anche le lacrime che, per la prima volta dopo vent'anni, tornarono a rigargli il volto.

Di vento, di sabbia e di silenzioWhere stories live. Discover now