10 - la finestra della torre

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Non se ne era nemmeno resa conto, eppure era da quando avevano lasciato il castello che se ne stava appollaiata alla finestra dello studio, nella speranza di vederli riemergere dalla pancia della foresta.
Aveva consumato quasi una scatola intera di bustine di tè, e il tremore delle mani cominciava a diventare imbarazzante.
Alla sua età avrebbe dovuto restarsene rintanata nella sua casa nascosta sulle colline della Scozia.
Avrebbe dovuto lasciar scorrere quel poco che le rimaneva da vivere lontano dalle angosce e dai dolori.
E forse, per un attimo, ci aveva persino provato.
Ma poi, quella stramaledetta voglia di essere dalla parte del burattinaio si era riaffacciata senza troppe riserve alla bocca dello stomaco e adesso si ritrovava lì, a pregare nuovamente per non essere costretta a celebrare il funerale di un altro amico.
Sì, perché alla fine dei conti aveva capito che forse proprio di questo si trattava.
Quel mago insopportabile, dotato della pazienza di un orso, era l'ultimo amico che le rimaneva.
Tutti gli altri li aveva visti morire.
Uno dopo l'altro.
Fino a ritrovarsi sola, vecchia e incapace di costringersi a soffrire ancora, con la testa alta e lo sguardo di chi è pronto a superare un nuovo tormento.
E quella ragazzina saccente, quell'avvocato indottrinato a sfidare il mondo...beh, lei era quella che riusciva a riportarla alla meravigliosa sensazione di avere ancora qualcosa da regalare alla vita.
C'era stato un tacito accordo tra loro, fin da subito.
Fin da quando si erano messe in testa di redimere l'immagine di un uomo che aveva già subito abbastanza.

Era affogata in quei pensieri, Minerva McGranitt, quando li vide spuntare tra i rami.
E un sussulto strozzato le mandò di traverso le ultime foglie mollicce dell'ennesimo tè al profumo di menta.
Li osservava da lontano.
Lui camminava davanti.
Il suo passo sicuro, il mantello che svolazzava negli ultimi sprazzi di vento concessi dalla notte.
Lei dietro.
Zitta.
A guardarlo confondere quel mantello, con quelle ombre, di quella notte.
A tenere stretta tra i denti una domanda alla quale sembrava non aver ricevuto risposta.
Lui davanti a scappare, lei dietro a rincorrerlo.
O forse no.
E fu così che lo capì.
Da lontano.
Tanto chiaro che le sembrò impossibile non averlo capito prima.
Quelle due anime sole si erano fuse in qualcosa di difficile da chiamare per nome.
Qualcosa di difficile da comprendere agli occhi di un mondo abituato ad etichettare ogni sentimento.
Eppure lui stava davanti e, senza voltarsi, rallentava il passo quando lei si attardava.
E lei stava dietro, e camminava più veloce, quando la distanza tra loro diventava troppo pesante.
E non parlavano.
O forse parlavano troppo, senza emettere un solo suono.
E nessuno dei due era abituato a farsi guardare così tanto, a farsi vedere per quello che era.
Senza la maschera da avvocato tutto d'un pezzo o da uomo senza anima.
E lui stava davanti.
E lei dietro.
Eppure qualcosa di invisibile li legava l'uno all'altra.
In una danza che poteva tranquillamente definirsi incantevole.
Vista da lassù.
Dalla sua cima del mondo.
Gonfia di solitudine e di un passato da provare a ricordare.
E fu così che Minerva McGranitt capì di aver fatto la cosa giusta.
E non per la giustizia in se.
Non per dimostrare l'innocenza di un uomo che non aveva più nulla da dover dimostrare.
Non per soddisfare la sete di giustizia di una tra gli ultimi dei giusti.
Ma per aver concesso ad entrambi quel silenzio carico di parole che si ostinavano a negarsi.
Ma che lei sapeva, presto, avrebbe invaso le tenebre di entrambi.
Senza lasciare scampo.

Quando la porta dello studio si aprì, l'odore acre dei peggiori vicoli di Londra le colpì la faccia con la potenza di uno schiaffo.
Severus stava immobile sulla soglia, la guardava dritta negli occhi con l'irruenza di cui solo lui era capace.
Hermione gli sbucava da dietro alla spalla, con le palpebre immobili, per impedire a lacrime che riteneva fuori posto di rotolarle sulle guance.
E Minerva si ritrovò catapultata in un'aula di tribunale, di fronte ad una scena che non avrebbe ritenuto possibile.
Ma questa volta, gli occhi che anelavano un perdono impossibile e una vergogna mascherata tenacemente, erano quelli di entrambi.
Non ci mise molto a capire cosa era successo in quei vicoli bui, la preside di Hogwarts.
E non ci mise molto a capire neppure che l'anima di quell'uomo era stata costretta ad essere messa alla prova, ancora una volta.

- "Thorfinn Rowle non ha voluto collaborare?"

Si lasciò scappare tra le labbra, mentre osservava il respiro della Granger incastrarlesi nella gola e l'imperturbabilità di Severus dare nuovamente prova di se stessa.

- "Ovviamente..."

Fu l'unica cosa che si senti rispondere, prima di vedere il professore di pozioni conquistare il centro della stanza, afferrare una sedia e trascinarla sul pavimento, mentre con una nuvola di mantello nero, catturava l'attenzione della sua scarna platea, nel tentativo di dissimulare il suo nuovo tormento.
Era abile a nascondersi, Severus Piton.
Lo sapeva fare meglio di chiunque.
Ma lei era troppo vecchia, ed erano troppi anni che aveva lasciato credere di potersi far gettare fumo negli occhi, e questa volta non si sarebbe lasciata circuire dalla sua finzione.
Temporeggiò un altro istante, con il bacino appoggiato alla scrivania e gli occhi che saettavano in quelli di Hermione che, come quelli di lui ma con molte ore di volo in meno, provavano a cercare rifugio su un pavimento di marmo intarsiato.
Poi si alzò, raggiunse il suo trono che, ancora una volta, le parve troppo grosso per il suo corpo che diventava ogni giorno più minuto, e ci si abbandonò sopra, piena della determinazione che le era mancata per troppi anni.

- "Hai dovuto ucciderlo, Severus?"

Silenzio.
Per un attimo avvertì lo sguardo terrorizzato della Granger prenderle a pugni la faccia.
Forse aveva già azzardato anche lei quella domanda audace, forse aveva tremato anche lei in attesa di una risposta che dava per scontata, forse si era sentita uno schifo anche lei nel rigirare il pugnale nella carne di chi era già stato martoriato abbastanza.
Severus Piton non accennava a liberarle gli occhi dal suo sguardo glaciale.
Era immobile, quasi senza vita.
Come lo era stato da sempre.
Ma quella mattina Minerva McGranitt ebbe la sensazione che mascherasse qualcosa di più.

- "Ha provato ad uccidermi, era ubriaco, incapace di ragionare...sapevo perfettamente che non aveva informazioni da darci..."

Silenzio, ancora.
Severus aveva lasciato uscire quelle parole con la meccanicità di un bambino che recita alla maestra la poesia che si è rotto i coglioni di ripetere.

- "Non ti sto chiedendo una giustificazione, Severus..."

- "E io non sono qui per dartela!"

Veleno.
Ancora veleno, quello con cui era abituato ad erigere il suo personalissimo muro di difesa dal mondo.

- "Thorfinn Rowle è morto! Potete toglierne uno dalla lista e sentirvi un po' più vicini a vincere la vostra assurda guerra!"

Glielo sputò in faccia prima di alzarsi, concedendo alla poltroncina un nuovo rumore sinistro a contatto con il pavimento.
Sì voltò di scatto e raggiunse una porta che non si era dato la pena di chiudere, lasciandosi una consueta via di fuga dalle domande che evitava da un'esistenza intera.
Vide gli occhi di Hermione indugiare nei suoi.
Erano traboccanti di lacrime asciutte, a cui mai avrebbe permesso di uscire.
Le concesse un solo movimento del capo, la preside di Hogwarts, ed insieme a lui il diritto di alzarsi senza parlare, e raggiungerlo.
Perché era evidente che fosse quello ciò che quel giovane avvocato bramava di fare.
E Minerva alzò gli occhi.
E lo vide.
Fermo sulla porta.
Pronto a scappare da tutto, ma non da lei.
Ad aspettarla senza farsi scoprire, o almeno tentando di non farlo.
E Minerva sorrise.
A se stessa.
E a Severus Piton che temporeggiava sulla soglia.
Perché forse, alla fine, qualcosa di buono quello schifo di guerra lo aveva portato.
E Minerva capì che ormai era inutile scrivergli quella dannata lettera, nel tentativo di chiedergli scusa.
Perché finalmente, l'eroe nero, aveva trovato qualcosa per cui valeva la pena di continuare a combattere.

Di vento, di sabbia e di silenzioWhere stories live. Discover now