4 - la spia

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- "Perché diavolo si ostina a non rispondere alle domande?
Non posso aiutarla se lei non collabora!"

Aveva sentito ribollire la rabbia nelle vene del collo.
Lei si stava giocando tutto.
La carriera, la vita privata, le amicizie e le notti di sonno, per quell'uomo che non si degnava neppure di rivolgerle la parola.
E questo la aveva fatta infuriare.

- "Non ti ho mai chiesto di aiutarmi...a dirla tutta mi ti sono ritrovata tra i piedi a tradimento, Granger.
Quindi non confondere il mio fastidio con una sorta di riconoscenza!"

Hermione aveva sbuffato sonoramente, abbandonandosi su una delle infinite sedie della sala di attesa nelle quale erano stati costretti nelle ultime tre ore.

- "Vuole andare ad Azkaban? Vuole finire in una cella per il resto della sua vita?
Perché e questo quello che succederà!"

- "Facendo rotolare la tua brillante carriera tra le ortiche..."

Era davvero troppo.
Troppo persino per lui.
E lei non aveva più intenzione di sottostare a quella tirannia fatta di silenzi e di occhiate cariche di odio.
Non veniva pagata abbastanza per fargli da zerbino ogni volta che la sua spocchia lo avesse ritenuto opportuno.
Perché lui la detestava, di questo ne era certa.
Eppure da quel momento, davanti all'ingresso di un'aula pronta a giudicarlo, non aveva più provato a cacciarla via.
Non esplicitamente almeno.
Erano usciti da poco più di un'ora, e già la sua determinazione cominciava a vacillare.
Avrebbero ripreso la seconda parte del processo l'indomani, dopo una pausa utile più agli accusatori che all'imputato.Perché nessuno era pronto alla storia di Severus Piton, forse neppure Severus Piton stesso.
E aveva bisogno di aiuto.
Anche se faceva di tutto per farsi abbandonare in mezzo alla merda nel quale era immerso fino al collo.
Oh no, non rispondeva alle domande, non perdeva tempo ad informarla di quello che voleva o non voleva fare o di cosa gli passasse per la mente mentre incastrava fiamme taglienti nelle sue iridi nere.
Però non la cacciava più.
Ogni tanto alzava gli occhi al cielo di fronte ad una delle infinite linee di difesa che lei si ostinava a proporgli, non dava nessun parere, né favorevole né contrario, e sbuffando tornava ad affogarsi nel primo libro che gli capitava a tiro.
Quando Minerva era sbucata da un angolo con aria furtiva, li aveva raggiunti e aveva proposto quell'assurdo piano per convincerlo a farsi salvare, lui si era limitato ad una scrollata di spalle e ad un vortice di mantello nero che lo aveva condotto con passo sicuro verso il primo nascondiglio che era riuscito a raggiungere.
Erano passate tre ore in cui non aveva ricevuto sue notizie, poi se lo era visto apparire sulla porta di casa, nella quale si era rifugiata ormai senza più speranze, nascosto in mezzo alla notte come era solito fare.

- "Fammi entrare!"

Le aveva sibilato solamente.
Lei aveva aperto la porta, gli aveva rivolto un cenno del capo e si era ritrovata in piedi nel suo salotto, con lui in piedi davanti che le sputava addosso con poca grazia le condizioni per la sua collaborazione.
Non doveva fare altro che assecondarlo, perché in fondo non poteva fare altrimenti.
All'inizio aveva provato a dissuaderlo in tutti i modi che credeva possibili, ad un tratto lo aveva addirittura implorato di lasciar perdere, di provare a difendersi, tentando per vie legali di chiudersi a vivere quel che rimaneva della sua vita nei suoi amati sotterranei gelati, senza condizioni.
Ma niente.
In fondo Severus Piton non era mai stato un uomo con cui si poteva parlare, e non sarebbe sicuramente cambiato in quel momento.
Minerva era stata brava.
O quanto meno furba.
Aveva fatto leva su quel senso di colpa perenne che doveva contorcergli le viscere da ormai diciannove anni.
Se fosse riuscito a far catturare gli ultimi mangiamorte allora ne sarebbe uscito da uomo libero, pulito...e innocente.
Non avrebbe mai dovuto affrontare un altro interrogatorio, non avrebbe dovuto costringersi al silenzio per non lasciare uscire i suoi fantasmi.
Ma per fare questo avrebbe dovuto firmare un patto con quei burocrati irriconoscenti, che continuavano a starsene raggomitolati sulle loro sedie, incuranti del fatto che fosse stato lui a garantirgliele.
Uscire al minimo segnale dall'unico posto al mondo che a denti stretti chiamava casa, e avventurarsi in una ricerca pericolosa, nascosto negli angoli più sperduti di Inghilterra, per provare a rintracciare uno dopo l'altro tutti coloro che erano sfuggiti alla giustizia.
E un eroe, che è stato eroe due volte, non si può condannare.
Nessun tribunale avrebbe più messo in discussione la sua buona fede, né tanto meno lo avrebbe mai costretto ad una vita di reclusione.
Hermione era incredula, spaventata e infuriata.
Perché non voleva essere complice di qualcosa che stava in bilico a stento tra la legalità e il sotterfugio, ma nello stesso tempo non voleva che quell'uomo così assurdamente insopportabile pagasse ancora una volta per aver fatto qualcosa che le aveva salvato la vita.
La sua, e anche quella di tutti gli altri.
Minerva arrivò poco dopo.
Forse lui l'aveva chiamata, o forse un intuito innato per sapersi far trovare nel posto giusto al momento giusto ne era stata la causa.
Hermione non lo sapeva, e non aveva tempo di chiederselo.
Perché in un attimo se la ritrovo in piedi nel salotto della sua casa, anche lei, avvolta nei suoi abiti scampati per un soffio al potere impietoso della naftalina.
Un salotto che non era mai più stato tanto affollato, da quando le cene con Ginny, Harry e Ron si erano interrotte per far decollare la sua brillante carriera.

- "Allora lo farai, Severus?"

Minerva incrociò le braccia al petto, mentre con spavalderia gli rivolgeva quella domanda, spostando l'effimero peso del suo corpo da un piede all'altro per quelli che ad Hermione sembrarono una quantità di minuti infinita.
Vide gli occhi di lui chiudersi pericolosamente in due fessure profonde come la notte.
Quei suoi occhi così abituati a sfidare il mondo e a farlo scappare.
Quei suoi occhi così incapaci di scrollarsi di dosso il gelo eterno che da sempre lì attraversava.
Lo vide girarsi verso la porta, provare a scappare da una risposta che non avrebbe voluto concedere.

- "Severus, maledizione...!"

La voce di Minerva vibrò nell'aria infrangendosi sui vetri delle sue finestre impeccabili, protette dagli scuri di un tempo lontano, perfettamente restaurati.
Hermione trattenne il fiato.
Perché era stata catapultata nel mondo dei grandi.
Di quelli che lei aveva sempre considerato i grandi, senza rendersi conto di essere ormai parte di un sistema che la vedeva lontana dall'irresponsabilità di un tempo quasi dimenticato.

- "Lo farò...ma tu tornerai ad Hogwarts, e ti riprenderai il tuo stramaledetto posto.
Albus lo aveva lasciato a te, e io come sempre mi ci sono ritrovato in mezzo."

Minerva trattenne il fiato.
Severus Piton si girò a guardarla, lanciandole negli occhi uno sguardo carico di fiamme pericolose.

- "Non mi viene dato modo di sfuggire dalle responsabilità, così come io non sono più incline a concederlo a te, Minerva!"

Il professore fece una pausa, si avvicinò pericolosamente alla vecchia signora che sembrava non soccombere di fronte alla sua tenebra.

- "Tornerai ad essere la preside di Hogwarts...mentre io tornerò ad essere la spia!"

Glielo ringhiò sulla faccia.
Ed Hermione se ne stava immobile nel mezzo, ad attendere la sua condanna.
Perché sapeva benissimo a cosa sarebbe dovuta andare in contro.
Sapeva come funzionava nei tribunali magici.
Ad un imputato poteva venire concesso un accordo, purché il suo avvocato difensore si fosse addossato la responsabilità delle sue azioni.
Oh, lei sapeva benissimo che Severus Piton non sarebbe scappato, ma tendeva a non fidarsi troppo dei suoi metodi.
Cosa avrebbe fatto per ottenere informazioni?
In quale melma putrescente avrebbe dovuto immergersi per trovare i suoi vecchi compagni?
Lei non lo sapeva.
Ma sapeva bene che si stava giocando una carriera raggiunta a gomitate per un uomo che sopportava a stento l'idea di averla accanto.
E come una cretina non riusciva a tirarsi indietro.
Perché la giustizia era sempre stato un concetto difficile da accantonare.
È quella causa era giusta.
Quell'uomo era giusto.
Anche se nel modo più insopportabile, snervante e paradossale di esserlo.

Di vento, di sabbia e di silenzioWhere stories live. Discover now