3 - un insopportabile bastardo

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Lei era una donna forte.
Maledizione se lo era!
Ma ormai era anche vecchia, stanca e imputridita da una guerra che non aveva lasciato scampo all'anima di nessuno.
Si era ritrovata addosso un peso che non aveva chiesto, una carica che non aveva chiesto e un ruolo che non si sarebbe mai sognata di chiedere.
Prima di fuggire anche da quello, come negli ultimi anni aveva fatto quasi da tutto.
Era fuggita.
Perché in fin dei conti aveva capito di essere rimasta all'oscuro di ogni cosa.
Da sempre.
Quello che aveva ritenuto il suo più grande amico per quasi tutta la vita le aveva taciuto uno dei piani più folli, assurdi e meschini che si potessero mai concepire.
E lo aveva attuato alle sue spalle.
Trasformandola in una persona carica di odio fin nella punta dei capelli per un uomo che, invece, si era rivelato essere l'eroe incomprensibile di una storia assurda.
No, non avrebbe mai perdonato Albus per questo.
E non per la segretezza del piano.
Ma per averla indotta a piangerlo come una vittima, mentre in realtà era il carnefice.
Per averle fatto urlare quel "vigliacco", mentre se ne stava con una bacchetta sguainata nelle mani, in una sala grande gremita di gente, a dichiarare guerra all'uomo che aveva sepolto la sua stessa vita per salvare quella di tutti gli altri.
Oh no, Severus Piton non era un uomo semplice.
Probabilmente non era un uomo tollerante, non era un uomo paziente, né tanto meno qualcuno con cui fosse stato facile parlare.
Ma non si meritava quell'etichetta.
E soprattutto non se la meritava da lei, che nonostante il suo carattere di merda gli aveva sempre creduto, lo aveva sempre reputato un giusto.
Spregevole, saccente, sarcastico, incline alla collera e alle battute taglienti, ma un giusto.
Era bastato un piano fatto sotto il suo naso per farla vacillare.
Era bastato un suicidio architettato ad arte, compromettendo per sempre il poco che era rimasto dell'anima di un uomo, del quale lei si era resa complice.
Perché avrebbe potuto aprire gli occhi.
Le sarebbe bastato mettere Albus con le spalle al muro, prenderlo a sberle se fosse stato necessario, costringerlo a confessare i suoi intenti.
Ed invece era rimasta ferma, si era fidata di lui, perché in fondo lo aveva sempre fatto.
O forse semplicemente per codardia, per lasciare che fosse un altro a prendersi il peso di una battaglia che sembrava invincibile.
E così si era ritrovata sola.
Albus era morto.
Severus era morto ancora di più, in un modo più profondo, più subdolo.
E senza una guerra da combattere di lei restava solo una vecchia signora con la passione per i biscotti al burro e una collezione ineguagliabile di bustine da te.
Quando la porta si era aperta e se lo era ritrovato davanti, un brivido le aveva percorso la schiena.
Da quando aveva lasciato la presidenza di Hogwarts si era rintanata come un'eremita nella sua casa di campagna sulle colline del sud della Scozia, si era comprata un gatto per non sentirsi sola e aveva smesso di trasformarsi per non friggere il cervello della povera bestiola che le faceva le fusa attorno alle gambe.
Il Winzengamot l'aveva chiamata perché non era tanto facile trovare eroi di guerra della sua età.
Ed un eroe con potere di voto, in un tribunale che decide della sorte degli uomini, può sempre fare comodo.
Le avevano mandato una lettera, farcita e tirata a lucido con tutte le lusinghe che erano venute loro in mente, e l'avevano convinta con questo stratagemma nemmeno troppo fantasioso, ad abbandonare per una volta a settimana la monotonia delle sue orchidee e dei suoi romanzi da quattro soldi.
E così, dopo tre anni di assoluto silenzio, nei quali gli aveva appioppato sulle spalle un compito che avrebbe dovuto essere suo, adesso se lo ritrovava davanti, avvolto nella sua tenebra eterna e carico di tutti i suoi migliori sguardi di fuoco gelato.
Non aveva mai trovato il coraggio di chiedergli scusa.
Quando gli aveva passato le redini della scuola era riuscita a malapena a guardarlo negli occhi.
A tratti faceva saettare le sue iridi stanche sulle tracce di un morso che avrebbe dovuto ucciderlo, poi distoglieva lo sguardo.
Lui non aveva proferito parola, come d'altronde faceva da tutta la vita, aveva preso le carte in mano, aveva sbuffato, e si era abbandonato con l'aria più annoiata che era riuscito a trovare sul trono intarsiato d'oro appartenuto ad Albus.
Quella era stata l'ultima occasione in cui lo aveva visto.
Più di una volta si era ripromessa di scrivergli una lettera, di provare a chiedergli perdono sulla carta, ma poi, arrivava allo scrittoio, prendeva la piuma in mano e di colpo si sentiva ridicola.
C'era davvero un modo di chiedere scusa ad un uomo che era stato costretto ad annientare se stesso, ad abortire fino all'ultimo centimetro del suo sentirsi un essere umano?
C'era davvero il modo di non farsi cogliere dalla vergogna all'idea di averlo definito un vigliacco?
No, non c'era.
O almeno lei non sapeva trovarlo.
E così era rimasta rinchiusa nel suo silenzio.
Con il suo gatto, le sue bustine di tè e la sua solitudine che si era fatta insopportabile.
Per quello aveva accettato la proposta del Winzengamot.
Per non sentirsi più sola.
Per non farsi più logorare dai sensi di colpa.
Quando vide Hermione Granger sbucargli da dietro alla spalla con il suo completo grigio decisamente troppo piccolo, con la sua valigetta e con il suo eterno entusiasmo ben radicato negli occhi, quasi non riuscì a crederci.
Severus Piton si era fatto avvicinare da qualcuno, aveva concesso la sua solitudine e il suo pessimo carattere ad un altro essere umano.
E questo era...beh, era quanto meno strano!
Quell'uomo aveva subito ingiustizie da tutta la vita, era stato maltrattato, emarginato e additato, aveva perso tutto, e quando aveva trovato l'unico uomo al mondo che sembrava non volesse usare lui, la sua cultura sconfinata e il suo talento innato, si era ritrovato a doverlo uccidere.
Perché era stato usato ancora una volta.
Magari con modi meno rudi, con una maschera più accondiscendente, ma pur sempre usato.
Di nuovo.
E adesso vederlo lì, rigido, nella migliore interpretazione di se stesso, con quegli occhi appena velati di fastidio, mentre la sua ex studentessa gli stava in piedi accanto, pronta a sfidare il mondo per difenderlo, le faceva nascere qualcosa di strano alla bocca dello stomaco.
Forse Hermione Granger si sentiva in colpa, anche lei.
Forse si sentiva in colpa per aver dubitato dell'uomo che aveva salvato, una dopo l'altra, tutte le vite che poteva salvare.
O forse, semplicemente, voleva prendere le redini di un processo che di lì a poco avrebbe acceso le prime pagine dei giornali magici di tutto il mondo.
Da quando Potter aveva reso noto il ricordo contenuto in quelle che Severus Piton credeva fossero le sue ultime lacrime, il mondo non aveva fatto altro che parlare di lui.
La parola eroe si era sprecata sui primi quotidiani, invadendo gran parte della carta stampata.
Poi, come sempre, aveva cominciato a diventare scomodo.
Perché una persona pulita è una persona con cui si fanno poche vendite.
E Severus Piton, nel suo modo assurdo di esserlo, era davvero una persona pulita.
E allora, quasi in sordina, erano cominciate le prime allusioni al suo passato.
Pian piano erano diventate sempre più insistenti.
Quando ormai lui era diventato preside di Hogwarts un articolo vergognoso si chiedeva se non fosse stato semplicemente troppo impaurito per schierarsi da una parte o dall'altra, tenendo così il piede in due scarpe per tutta la guerra.
Il ragazzino prescelto si era battuto per lui, all'inizio.
Poi, come tutti gli altri, si era arreso sotto il carattere impossibile dell'eroe nero, che aveva liquidato il suo aiuto con il solito fastidio nella voce e la solita sequela di frasi poco gentili.
Il mondo non era pronto per un uomo come Severus Piton, e Severus Piton non era pronto per il mondo.
Probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Quando la domanda del cancelliere importunò il silenzio, carica di tutta la freddezza che si portava dietro, Minerva McGranitt si sentì tremare.
Perché quell'insopportabile bastardo rappresentava forse il suo peggiore incubo, ma non meritava tutto quello.
Non più.
Aveva già pagato, e lo aveva fatto abbastanza.

Di vento, di sabbia e di silenzioWhere stories live. Discover now