1 - una brava persona

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Lei era sempre stata convinta di essere una brava persona.
Quantomeno non si era mai posta la domanda.
Perché, quando ti ritrovi a combattere contro un mostro a diciotto anni, non puoi che essere questo.
Una brava persona.
E magari aveva anche sfoderato la bacchetta puntandola alla gola di qualcuno, e guardandolo negli occhi, vedendolo impotente di fronte alla sua bravura o alla sua fortuna, gli aveva lanciato un incantesimo mortale.
Ma lo aveva fatto per combattere il male.
E adesso lei era viva, mentre i suoi nemici erano morti.
Forse non tutti, ma tanti.
Questo faceva di lei una brava persona?
Faceva di lei una giusta?

Quella domanda così improbabile continuava a rigirarle nel cervello, mentre con gli ultimi brandelli di una sicurezza interpretata a stento per tutto il pomeriggio, si accendeva l'ennesima sigaretta di un pacchetto ormai esausto.
Si ritrovava con il suo tailleur da quattro soldi, comprato in uno slancio di entusiasmo nel reparto offerte di un grande magazzino babbano, a squadrare con l'aria di spavalderia più realistica che era riuscita a trovare, il disordine maniacale di una stanza che si era concessa il lusso di dimenticare.
Fissava il vuoto, rigonfio di oggetti e barattoli dai contenuti viscidi, poi fissava il pavimento, i braccioli della sedia e infine, per qualche breve istante che le sembrava comunque troppo lungo, fissava anche lui.
O almeno ci provava con tutta se stessa, vincendo per quanto più poteva l'impulso di distogliere lo sguardo.
Sì, perché farlo non era mai stato facile per nessuno, né tanto meno lo era per lei, in quell'ambiente saturo di polvere vecchia di millenni e di nicotina recente, di silenzio rimbombante e delle sue stesse parole, tanto sottili da farle venire il dubbio di averle mai pronunciate.
Lui se ne stava fermo, immobile dentro l'immagine di se stesso, a lasciare che un destino perverso gli strisciasse addosso in quel modo tanto meschino e incredibile che neppure un racconta storie dotato di una fantasiosa perversione sarebbe mai stato in grado di inventare.
Come sempre sembrava che il mondo gli girasse intorno senza lambirgli la pelle.
Senza lasciare uno strascico della sua assurdità dentro ai suoi occhi neri.
Ormai erano passati più di venti minuti dal suo ingresso nei sotterranei, e lei cominciava a sentirsi inquieta.
Fuori posto.
E ad ogni minuto che passava malediceva se stessa per essersi battuta come un leone per ottenere quel caso, davanti alla fronte corrucciata del suo capo incredulo.

La notizia era arrivata sulla sua scrivania quasi per caso.
La ragazza bionda che distribuiva i promemoria aveva rovesciato qualche goccia di caffè nella scollatura prorompente, aveva imprecato tra i denti e aveva appoggiato le carte spiegazzate sull'angolo del suo tavolo ingombro di documenti, prima di pulirsi le tette gonfie come due palloncini con un fazzolettino magicamente apparso da una borsetta di dimensioni ridicole.
Era stato in quel momento che lo aveva visto.
Che aveva appreso l'assurdità di una commissione riunitasi in segreto per giudicare l'unica persona in quella guerra che non avrebbe dovuto essere giudicata.
L'unico fedele a se stesso.
E alla sua follia.
L'unico che aveva dimostrato una lealtà incrollabile.
Una lealtà che forse era stata nascosta troppo bene, che forse era stata camuffata sotto tanti strati di finzione da renderla irriconoscibile, ma che c'era.
E questo non poteva venire messo in discussione.
Non per lei, almeno.
La paladina dei maltrattati, delle cause assurde.
Era un tarlo che aveva sempre avuto nella testa, fin da ragazzina, quando tra l'incredulità generale, aveva fondato il C.R.E.P.A., credendoci talmente tanto da risultare addirittura ridicola.
Erano passati anni da allora, eppure in quel momento, nascosta in un sotterraneo umido che non era riuscito a perdere la sua aria sinistra, si sentiva di nuovo la bambina piena di entusiasmo che si era costretta ad abortire dopo la fine della guerra.

Osservò per un momento le sue stesse dita picchiettare incerte sul fresco di lana grigio della gonna, mentre sentiva il fiato risalirle la gola, invaderle la bocca, e poi mischiarsi al fumo del tabacco all'aroma di vaniglia che le faceva sentire meno assurdo il fatto di uccidersi lentamente.

- "Le serve un avvocato, professore...e io...beh, io lo sono!"

Una frase ad effetto le uscì dalla bocca con uno slancio che improvvisamente le parve ridicolo, riuscendo solo a farla sentire più imbecille.
Se ne stava ferma su una sedia, intrappolata in una giacca sancrata del cazzo che le strizzava anche le budella, dopo aver trovato il coraggio di andare a scovarlo nei suoi nascondigli segreti, e quello era quanto di più intelligente le fosse venuto in mente di dire.
Si congratulò con se stessa per la figura di merda, mentre osservava il sopracciglio di lui alzarsi pericolosamente verso l'alto, incorniciando uno sguardo che da torvo si era fatto glaciale.

- "Se sei venuta fino a qui per dirmi questo potevi risparmiarti la fatica, Granger.
Ho avuto la fortuna di leggere di te e dei tuoi successi su tutte le testate magiche d'Inghilterra..."

Ecco, appunto.
Aveva senz'altro usato la frase più infelice davanti al più bastardo e apatico degli eroi mai conosciuti.
Ma, in fondo, c'era davvero una frase giusta per convincere Severus Piton a farsi difendere in un processo in tribunale?
Forse sì, ma se c'era lei non la conosceva.
Perché era convinta che lui non meritasse l'imputazione che gli veniva fatta, ma non era altrettanto sicura che lui non meritasse la paura che tutto il mondo continuava a riservargli.
Lo stavano accusando di crimini contro l'umanità.
Oh certo! Lui di crimini ne aveva commessi, e tanti.
Nessuno sapeva bene cosa avesse fatto nei suoi anni di spia, ma qualcosa nel suo subconscio le suggeriva che non avesse semplicemente riportato bugie e mosso fili invisibili di piani assurdi.
Sicuramente aveva ucciso, e magari anche molti innocenti.
Ma la domanda giusta era: perché lo aveva fatto?
Severus Piton aveva ucciso più uomini di lei?
Di Harry? Di Ron?
Il fatto che non lo avesse fatto in battaglia ma durante una guerra silenziosa durata anni, annegando se stesso per una causa in cui credeva, faceva di lui un assassino?
Un uomo da dover giudicare?
No, non lo faceva.
Perché lei sapeva, sapeva benissimo, che in quel momento poteva starsene rintanata in quei sotterranei, a crogiolarsi davanti al fuoco e a raccontarsi ricordi eroici, solo grazie a chi, un eroe, lo era stato davvero.
Forse l'eroe più scomodo e difficile della storia.
Forse il più scorbutico, bastardo, insolente e detestabile.
Ma comunque un eroe.
E quello, almeno quello, non poteva essergli tolto.

- "Io voglio difenderla, professore!"

Glielo sputò di getto sulla faccia.
Perché con Severus Piton non esisteva il modo giusto o sbagliato di parlare.
Esisteva la lotta. Perenne, perpetua e assurda, per provare a schivare le sue occhiate di ghiaccio.
Per provare a far breccia nella sua armatura d'acciaio.

- "E io voglio che tu esca dal mio ufficio, Granger..."

La riga tra le due sopracciglia si scavò come un solco tracciato da un aratro, mentre una vena, sulla tempia, cominciò a pulsare di una rabbia che Hermione capì essere trattenuta a stento.
E fu in quell'attimo che capì la differenza tra il bene e il male.
Che capì cos'è a fare di una persona, una brava persona.
È il battersi per qualcuno, che non sia se stessi.
Oh, lei odiava quell'uomo.
Lo odiava di un odio vecchio di anni, mischiato alle paure di una bambina, all'ingiustizia subita da una studentessa, alla voglia di prenderlo a sberle di una donna.
Eppure era pronta a giocarsi la carriera per difenderlo da quelle accuse ingiuste.
Perché lei, Hermione Granger, l'avvocato emergente del più grande studio magico di Londra, era una brava persona.
Così come lo era Severus Piton, il più arcigno e ingiusto tra i professori di Hogwarts, il preside più severo, il pozionista più assurdamente infallibile e gelido, la spia più spietata.
E lei avrebbe sfidato il mondo per garantirgli giustizia.

NOTA DELL'AUTRICE: che bello questo momento, e che brivido di paura a serpeggiarmi lungo la schiena!
Perché si sa, il primo passo è sempre il più difficile.
Eccovi la mia storia, sperando che vi piaccia, che vi tenga compagnia, che vi accompagni con la mente fuori dalle mura che, in questi giorni, si sono trasformate nella nostra prigione di lusso.
Un caro abbraccio a tutti, e grazie infinite!

Di vento, di sabbia e di silenzioWhere stories live. Discover now