XXXVII

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Burbank High School, 01/12/2017 20:42

Ad un certo punto della serata, Austin ha deciso di inventarsi la scusa che doveva andare in bagno ed è uscito dalla palestra.
Come so che si tratta di una scusa? Semplice: mentre si stava alzando per andarsene, ha fatto un cenno verso Alex e mi ha fatto un occhiolino.

Già. Austin è ancora fermamente convinto della sua idea che io debba provarci con Alex per riuscire a dimenticarmi di Justin.

Così, da circa due minuti, io e Alex siamo rimasti da soli senza Austin. E io non ho intenzione di fare nessuna mossa verso di lui. Tra pochi minuti la partita finirà, quindi avrò l'opportunità per alzarmi e andarmene a casa.

Mentre fingo di essere interessata alla partita (sognando in realtà con tutto il cuore di sentire il fischio che decreta la sua fine) per trattenermi dal parlargli in merito a quanto penso di aver scoperto, Alex mi tocca la spalla con una mano. «Che cosa sai?» domanda di punto in bianco con un'espressione preoccupata dipinta in volto.

«Come scusa?» chiedo io piuttosto confusa.

Una volta tanto che volevo farmi gli affari miei.

«Di tutta questa storia» risponde. «Che cosa sai?» ripete.

In un primo momento rimango in silenzio, solamente per riuscire a raccogliere le mie idee e formulare una frase che abbia senso. Quando avevo parlato a Chris di ciò che sospettavo (e che poi si era rivelato vero), ricordo che all'inizio mi ero sentita stupida nell'esporre la mia teoria, come se quest'ultima non avesse avuto senso e fosse stata sbagliata.
Una volta che ho preparato il mio discorso e che sono convinta di ciò che sto per dire, Alex prende di nuovo la parola.

«No, non qui» mi ferma prima che possa aprire bocca. «Andiamo in un posto più appartato» ordina, alzandosi in piedi e facendosi seguire fuori dalla palestra.

Adesso che camminiamo uno di fianco all'altra lungo il corridoio, mi rendo conto per la prima volta di quanto sia alto Alex. Certo, io sono bassa, ma lui è davvero altissimo, tanto che se ci vedesse qualcuno, potrebbe pensare che siamo padre e figlia.
Mentre mi abbandono a queste ridicole riflessioni, non mi accorgo che lui sta procedendo avanti senza di me.

Ad un certo punto, si ferma e si volta verso di me, riservandomi una delle sue tipiche occhiate ciniche. «Allora? Hai le gambe così corte da non riuscire a stare al passo?» domanda con una risatina tagliente.

Boccheggio per qualche secondo, non riuscendo a trovare le parole giuste per difendermi.

«Abigail» richiama la mia attenzione spazientito, fissandomi con le sopracciglia inarcate.

Questo non lo doveva dire. Abigail no. Può anche darmi della nana da giardino, cosa a cui riconosco di avere una buona probabilità di somigliare, ma Abigail no.

Serro la bocca e, a denti stretti, accelero il passo fino a raggiungerlo.

«Grazie al Cielo. Temevo che mi sarebbe servita la carrozzella di mia nonna per riuscire a farti fare quei cinque passi.»

Cinque passi? Ne ho fatti almeno quindici per arrivare da lui.

Grazie ad un'insana pazienza che non pensavo di possedere, mi limito a rivolgergli un flebile sorriso, facendogli credere di essere un grande comico. Due minuti dopo, giungiamo nel cortile della scuola, e non posso fare a meno di pensare che questo è stato il luogo del loro primo incontro.
A giudicare dal suo sguardo un po' perso nel vuoto, sembra che anche Alex se lo sia appena ricordato.

«Quindi? Non ho tutta la notte» mi incalza.

«Chris mi ha raccontato, di voi...» inizio un po' incerta. Il discorso mentale che mi ero preparata pochi minuti fa è già finito nel dimenticatoio.

Not another american cliché //SOSPESA//Where stories live. Discover now