62. Il Giudizio.

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Jared.

L'aula giudiziaria è già piena di persone, quando facciamo il nostro ingresso, in fila indiana e con gli occhi di tutti puntati addosso. Le sedie in tessuto blu sono disposte una accanto all'altra fino a formare dei semicerchi che occupano i tre quarti dello stanzone. Al centro c'è una stretta passerella che porta fino a un piccolo spazio vuoto, dove è posizionata una sedia rossa e scarna, diversa per colore e per forma dalle altre. Davanti a essa si stanzia un lungo bancone, dietro al quale spiccano sette poltrone di velluto nere, rivestite da intarsi dorati, che sono gli stessi che ornano il dipinto astratto sulla parete alle loro spalle: una grande bilancia in equilibrio. Tutto il resto della sala è illuminato da lampadari moderni e da quadri storici appesi ai muri.

La porta d'ingresso si chiude alle nostre spalle e ognuno dei presenti si alza in piedi al nostro passaggio. Noi ignoriamo il continuo vociferio di sottofondo e raggiungiamo le due file libere di seggiole nella parte anteriore dell'aula. Pochi secondi dopo anche il Consiglio dei Celesti fa il suo ingresso, passando da un'entrata diversa da quella utilizzata dal resto del pubblico.

Un uomo sulla sessantina dalla testa calva e il naso aquilino prende posto al centro del bancone e si accomoda sulla sedia, senza rivolgerci il minimo sguardo. Ha le sopracciglia grigie corrucciate e una serie di rughe gli contornano gli occhi piccoli e gonfi. Sulla giacca scura ha appuntata una spilla dorata che rappresenta un serpente Uroboros che si azzanna la propria coda, un simbolo chiave nel mondo Alchemico per rappresentare la totalità del tutto. L'inizio e la fine.

«Lui è John Seymour» mi bisbiglia mia madre all'orecchio «Fa parte della corte di Giustizia da quando ho memoria. Presiederà lui il caso.»

Annuisco e mi concentro sulle persone che adesso hanno preso posto accanto a lui: ci sono tre donne e tre uomini, tutti vestiti con gli stessi completi e con le stesse spille a forma di stella a sette punte esposte sul bavero delle giacche.

Sette stelle a sette punte e sette membri del consiglio di Giustizia. Chissà perché la cosa non mi stupisce affatto, visto che il numero sette è alla base dell'Alchimia.

La donna seduta al lato destro di John Seymour fa scivolare verso di lui un foglio e sorride in maniera pacata e amabile: si appunta un paio di occhiali a farfalla sul naso e s'inumidisce le labbra sottili tinte di rosso. Ha l'aria di essere una signora sui cinquant'anni dal fisico esile e minuto, ma con una forza di spirito che farebbe fuggire a gambe levate il più coraggioso dei Guerrieri. Lei infatti è l'unica a fissare con ostentata criticità ognuno di noi, senza risparmiarsi un sorriso scaltro. Ogni tanto si distrae toccandosi i capelli grigi tagliati fin sopra alle spalle, poi torna a sorridere con garbo verso la platea.

«Marion Vanelski» mi suggerisce di nuovo mia madre, con gli occhi fissi sul pavimento «È la prima consigliera di Seymour e direttrice del centro di ricerca Alchemica di Danville. È lei che si occupa delle sperimentazioni sovrannaturali. Attento a quello che dici, in sua presenza. Si picca facilmente.»

Annuisco di nuovo e lancio una breve occhiata al resto della commissione, che per lo più è presa a leggere dei verbali sulle loro cattedre.

«In piedi, signori e signore. In nome dell'Alchimia e grazie al potere conferitomi dai Celesti, dichiaro aperta la seduta che pone sotto giudizio diretto due dei nostri confratelli» Seymour si alza dalla sedia e fissa la platea, adesso caduta in un silenzio tombale «Si faccia avanti il primo imputato... Jared Evans.»

Mia madre soffoca un gemito di nervosismo e si tira indietro per farmi passare. Io le sorrido bonariamente, in un tentativo fasullo di tranquillizzarla. Le sfioro la mano e attraverso la passerella per raggiungere la sedia al centro del semicerchio vuoto di fronte al Consiglio. Mi metto seduto in silenzio e incrocio le braccia al petto. Non devo mostrarmi teso. Devo essere sicuro di me stesso. Inarco un sopracciglio e dopo un primo minuto di attesa inizio a battere il piede per terra, annoiato.

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