54. Prepararsi a combattere.

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Jared.

Una missione in abito da sera.

Avrei dovuto immaginarlo che, prima o poi, la Caserma ci avrebbe fatto prender parte a qualcosa di così rischioso e imbarazzante.

Quando ho ricevuto la chiamata da parte di David, ho subito pensato che stesse scherzando, o che avesse esagerato troppo con il Whisky. Gli ho riso in faccia, mentre stavo ancora passeggiando per le vie desolate di Henver, e gli ho chiesto di spiegarsi meglio. Ma poi ho capito, e il sorriso beffardo mi si è spento sulla faccia non appena ho ascoltato tutte le novità al riguardo.

David era in fermento mentre mi raccontava dell'invito alla festa. Non faceva altro che ripetere le stesse frasi sprizzanti di entusiasmo, quando invece il mio unico pensiero era "Questa è una follia". Ho provato a farlo ragionare su alcuni dettagli non trascurabili, come il fatto di dover abbandonare la nostra solita divisa da combattimento a favore di uno smoking scomodo e che avrebbe ridotto al minimo la nostra agilità, ma non c'è stato nulla da fare al riguardo: saremmo andati al party all'Empire Nexus Hotel e lo avremmo fatto in abiti da sera. Ovviamente le nostre armi non sarebbero mancate. Era chiaro che il nostro scopo fosse quello di controllare una situazione pubblica delicata ed era anche palese che ci saremmo potuti trovare davanti Sottomessi in cerca di guai. Avere delle armi era indispensabile; soltanto che, anziché tenerle attaccate alle varie fibbie intorno alla vita e alle gambe, le avremmo dovute nascondere sotto al vestito, in vari punti tattici.

Che follia.

Sospiro e picchio volontariamente la testa contro l'anta dell'armadio. Sto fissando da mezzora gli abiti appesi alle stampelle e ancora non ho trovato il coraggio di prenderne uno e indossarlo. Non riesco davvero a concepire l'idea di dover combattere conciato in questo modo. Lo trovo soltanto un modo per rendersi ridicoli e inconsapevolmente esposti a un rischio letale.

Alla fine impreco sottovoce e ne afferro uno a caso, indossato una sola volta per una cena di gala in Caserma, durante la quale avevamo ospitato tre membri del Consiglio Supremo. Sfilo dalla stampella la giacca e i pantaloni neri e tiro fuori dal cassetto una camicia di cotone bianco. Riguardo allo specchio l'accostamento e mi sforzo a trovare un senso logico a tutta questa situazione.

Dieci minuti dopo sento qualcuno bussare alla porta con impazienza. Il tocco è delicato ma deciso e viene ripetuto per tre volte, in un modo che mi risulta impossibile da non riconoscere.

«Entra, Janise» dico distrattamente, mentre continuo ad abbottonarmi la camicia.

La porta si apre e lei entra nella mia camera con fare leggiadro, saltellando su un paio di tacchi vorticosi che, solo a vederli, mi danno un senso di vertigine e instabilità. Alzo gli occhi per studiare il suo abbigliamento nella completezza, poi inarco un sopracciglio. «Vuoi davvero morire, stasera?»

Lei si finge offesa ma sorride, increspando le labbra tinte di un rosso fuoco aggressivo. Viene avanti verso lo specchio con una disinvoltura che non avrei mai immaginato potesse avere e alza le spalle. «Che c'è? David ha detto di calarci nelle parti e io gli ho dato ascolto» si appoggia le mani sui fianchi e fissa la sua immagine riflessa nello specchio «Credi che non stia bene, vestita così?»

Roteo gli occhi. «Lo sai che staresti bene anche con il pigiama di Bertha, tu. Non è quello il punto» fisso il suo vestito con disapprovazione. È nero, con il bustino aderente fino alla vita e una gonna che scende morbida fino alle caviglie, fasciate dalle scarpe lucide.

Janise fa una piroetta su se stessa e si volta, mostrandomi il retro dell'abito, che le lascia la schiena completamente nuda grazie a due sottili spalline intrecciate. I suoi capelli sono sciolti, senza particolari acconciature, e lasciano scoperto il collo, dove sfoggia un collier di pietre brillanti.

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora