6. Il Signor Clint.

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Abby.


La porta che si trova davanti a noi è diversa dalle altre che abbiamo incontrato finora. Questa è scarna, ma al contempo imponente. È larga e con i pilastri in legno bianco laccato. Al centro, è apposta una targa dorata con su inciso "Ufficio di David Clint". E sotto, in piccolo, "Bussare e attendere".

«Immagino che sia il famoso capo» azzardo. Di fronte a questa porta, mi sento come una formica: piccola e insignificante.

«È colui che ci dà ogni direttiva e gestisce questo posto. Perciò, ti consiglio di ponderare bene le parole e di portare rispetto, se non vuoi esalare il tuo ultimo respiro entro cinque minuti» mi avverte Janise. Il suo tono di voce si è abbassato e adesso sembra nervosa anche lei. Questo David deve essere davvero terribile, per mettere in tensione i fratelli gradassi.

«Spero soltanto che abbia un po' più di senno di voi» mormoro, quasi impercettibilmente.

Janise fa finta di non sentire e si limita a fulminarmi con lo sguardo. Poi si schiarisce la voce e bussa con vigore alla porta.

Al di là della parete si sente un brusio di sottofondo che non si ferma, nonostante la nostra interruzione. Nemmeno il secondo tentativo è fortunato. Chiunque ci sia dentro quella stanza, sembra essere molto occupato a parlare.

Janise sbuffa spazientita, ma non si dà per vinta. «David, so che sei lì dentro» scandisce bene ogni parola, in modo che il messaggio arrivi forte e chiaro all'interno dell'ufficio. Probabilmente è così, perché il chiacchiericcio di sottofondo si blocca.

«Non adesso, Janise» tuona una voce maschile, tesa e molto aspra «Sono occupato in affari più importanti. Torna più tardi.»

«Sono convinta che non ci sia affare più importante di questo» ribatte la ragazza, alzando gli occhi al cielo «Apri la porta. Te ne darò la dimostrazione.»

Dall'altra parte della parete torna il silenzio, come se l'uomo stesse valutando la proposta.

«Spera che lo sia davvero, Evans, o ne subirai le conseguenze» subito dopo si sentono dei passi dirigersi verso l'ingresso della stanza, poi la maniglia dorata si abbassa in unico e rapido scatto.

Trattengo il respiro inconsciamente, come se stessi guardando un film in tv e fosse arrivata la fatidica scena stracolma di suspense.

La porta si spalanca in modo fluido e senza emettere cigolii e una figura massiccia si stanzia tra gli stipiti, con le braccia incrociate e lo sguardo arcigno. 

  Quando riesco a metterlo a fuoco, noto per prima cosa la sua stazza: è enorme, nel vero senso della parola. Occupa quasi tutta la larghezza della porta. Indossa una maglietta aderente a maniche corte, che lascia intravedere delle braccia possenti e muscolose, e dei pantaloni della stessa tonalità, con attaccata una cintura carica di coltelli vari. Il volto è tirato e con delle profonde rughe di espressione sulla fronte. Probabilmente ha una cinquantina di anni, nonostante il fisico ben allenato sembri quello di un venticinquenne. I capelli sono folti e neri, con delle ciocche grigiastre più evidenti. Nel complesso, sembra un uomo nella norma, a parte la statura da lottatore di wrestling. Ma quello che più mi incute timore sono gli occhi: sono quasi trasparenti, color ghiaccio, per la precisione. Un solo sguardo, freddo e duro, è in grado di congelarti seduta stante.

David lancia dapprima una breve occhiata a Janise, che se ne sta appoggiata alla parete con un braccio, poi sposta le sue attenzioni su di me. La ruga tra le sopracciglia diventa più marcata, fino a formare un solco tra la fronte. «Bene, bene» esordisce, con tono di voce sorpreso «Guarda un po' chi abbiamo qui. Una fuggitiva dall'infermeria... Abby Lorelaine, giusto?»

Hybrid - L'EsperimentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora