L'odore acre arriva come una pugnalata allo stomaco, mi fermo nel bel mezzo della corsa, ormai gli istinti primordiali, predatori in allerta. È invitante, è un'altra dose di una droga appena sintetizzata apposta per me, è una dipendenza che come una perla grezza si forma all'interno dell'ostrica, è un qualcosa di buono, che sboccia dentro di me, ma distruttivo. Del quale ho bisogno di liberarmi, ma non ho controllo.

Una parte di me grida che ha sete, l'altra che ha bisogno di aiuto, disperatamente.

E vedo la mia vittima, la osservo camminare incurante di cosa si nasconda nella fitta boscaglia, di me. Il mio corpo è sinuoso, si muove leggero, non si accorge di me neanche quando lo afferro per i fianchi, e lo mordo sulla pelle ruvida della giugulare, così viva, pulsante di vita, mi confonde i sensi. Lo lecco, lo seduco quasi, e poi affondo di nuovo nel peccato, mi ci tuffo dentro. Un lampo di consapevolezza mi spinge ad abbandonarlo, ad urlargli di scappare, eppure rimango aggrappata a quel corpo che seppur muscoloso non può combattere contro l'oscurità profonda che si annida dentro di me, che coltivo fin dalla tenera età. Ed è un attimo, mi accorgo nell'immediato quando smette di vivere, di gemere di dolore, di piacere sotto di me. È strana la morte. Il dolore ad un certo punto diviene quasi sopportabile, e quando impari ad accettarlo, ad accoglierlo, ad arrenderti, diviene consolante. Eppure lui smette di provare qualsiasi cosa, per sempre, e la sua testa cade a terra, ai miei piedi, il volto deformato. E io mi ritrovo a dovermi rispecchiare in quegli occhi vacui. E vorrei trovarmi al suo posto, non sentire più nulla, perché le sensazioni che mi stanno travolgendo sono decisamente più difficili da affrontare.

Cado a terra, il corpo privo di luce accanto a me. Urlo fino a quando non mi si raschia la gola.

"Oh... cosa ti è successo?"

Alzo lo sguardo, davanti a due occhi blu come la notte, compassionevoli come il buio: Trevor.

"Allontanati!"

Non particolarmente convinto si avvicina a me di qualche passo, viene fermato prontamente dalla mia voce, ormai sull'orlo dell'isteria nervosa.

"Non so più qual è il mio ruolo, Trevor. Tutto sta crollando, tutto. Come posso aggirarmi per il mondo e proclamarmi cacciatrice quando l'unico mostro da cacciare sono io stessa. Come? Quando uccido per vendetta, quando uccido sotto commissione, in un certo senso so che ha tutto una giustificazione, per quando deprecabili so le mie motivazioni. Ma ora... quest'uomo, non so neanche il suo nome. Non so perché fosse qui, se ha qualcuno dal quale tornare. Non so perché ho agito in questa maniera."

Presa dalle mie parole non mi rendo conto delle gocce di pioggia fangosa che mi impegnano il volto, i lineamenti, annacquando il sangue non mio sul mio corpo. Io non sono così, io non ero così. Mi ripeto. E mi vorrei strappare la pelle, e vorrei lacerare me stessa.

Eppure qualcosa risale in me, mi afferra con le unghie e coi denti, se li spezza. La speranza. Il mio nome. Devo risollevarmi, lo devo a me stessa, lo devo a quella bambina che è stata abbandonata, creduta morta. Trevor è ancora dinanzi a me quando decido di ignorare la sua presenza e mutare forma, dirigendomi senza convenevoli verso la zona del branco.

Sono ancora ben lontana dalla lucidità, la mia visuale è sfocata, sono piena di tutto.

Il mio respiro è spezzato, irregolare, la tempesta rimbomba in tutta la zona, compreso dentro di me.

In stato confusionale riprendo la mia forma umana, e mi ritrovo nuda, uno sputo rosso nel terreno, sporco dentro, sporco fuori. Mi rannicchio su me stessa, una lumaca nella sua conchiglia, viscida e impaurita da me stessa, e sono al confine del villaggio.

Più quelli della mia razza si nutrono, più la loro sete aumenta, non siamo mai pienamente soddisfatti.

Il vuoto mi trapassa il petto, la paura mi trafigge.

"Hope?!"

Non mi preoccupo di girarmi, di controllare i pericoli, non è nei miei interessi.

E lasciatemi qui, posata come un giocattolo smarrito, o rompetemi, che tanto più di così non è possibile. Lasciatemi rigurgitare dal terreno, lasciatemi deperire qui, che ormai mi sento schiacciata, e allora schiacciatemi. Per favore. Per favore.

Avverto in lontananza le braccia di qualcuno sollevarmi, portarmi al petto e trasportarmi. Ormai sospesa, vulnerabile, denudata dalla mia identità, dai miei valori.

Non sono di Storm le braccia che mi stringono, non avverto quei brividi lungo la spina dorsale, quegli spilli molesti allo stomaco. Eppure è rassicurante, a modo suo. Non riesco ad identificare chi sia, la mia vista è del tutto fuori fuoco.

Mi lascio cullare dai passi lenti del ragazzo, delle goccioline più amare della pioggia mi scivolano sulle guance. Piange su di me.

"Mi dispiace tanto, Hope. Non sai quanto mi dispiaccia."

La voce spezzata, tenera, così triste che mi scombussola. E avverto una carezza sulla guancia, finalmente qualcosa di simile al calore mi riempie per un istante.

"Cos'è successo?"

Ed eccomi in altre braccia, in un altro petto, questa volta è lui.

Storm, Storm, Storm.

Il mio cuore ripete e ripete questo suono, la mie testa lo segue. È totalizzante questa sensazione, s'insinua in ogni spazio, in ogni angolo, ingombrante senza permesso, eppure non me la sento di rimproverarlo, lasci pure le sue traccia, le sue impronta su di me, che sono già piena di solchi, ed uno in più non mi fa male, se fosse il suo lo accoglierei volentieri. Mi poggio al suo petto, strofinando il naso sulla pelle calda.

Percepisco il suo battito accelerato, la sua preoccupazione.
Una lacrima solitaria solca il mio viso pallido in una corsa amara, rendendomi ancora più rossa di quanto non fossi già. Lo sento sussultare.

È un segreto personale, raramente ho trovato persone a conoscenza del sapore, dell'aspetto delle lacrime dei vampiri. Sono rosse, sono sangue, sono essenza, e sono ancora più intime di una notte d'amore. Sono barriere abbassate, sono gioia, sono tristezza, spossatezza, nervosismo, sono noi, sono le nostre emozioni che si palesano quando non possono essere più contenute, quando il recipiente è ormai pieno. Sono sfogo. E gli sto regalando una mia lacrima, e non me ne pento, almeno per il momento.

Storm mi appoggia delicatamente sopra un materasso, il mio corpo è ancora interamente sporco di sangue e terra, a lui non sembra importare e quindi neanche a me.

Ho gli occhi serrati, non so se domani mattina sarò abbastanza forte da riaprirli.

Sento il materasso abbassarsi sotto la massa del mio compagno, sotto al suo peso rassicurante.

Qualcosa di bagnato e caldo mi scivola sugli zigomi, sul mento, sugli occhi, sulle labbra, un asciugamano imbevuto in acqua bollente. Mi sta pulendo, lava via le mie colpe, le riassorbe. E così fa con il resto del mio corpo, dei miei capelli. Ed una volta terminato sembra sfinito anche lui, impegnato d'emozioni come quell'asciugamano lo è di sangue.

Rispettosamente mi infila una maglietta, con una delicatezza tale che sono tentata di ricominciare a piangere. Mi trattengo sapendo che quando scoprirà cosa ho fatto non mi riserverà più tale gentilezza.

Si sdraia al mio fianco, si concede la libertà di tenermi stretta per i fianchi, di circondarmi come se potessi svanire.

"Buonanotte, Hope, il mio sangue scorre e pulsa per te."

Mi posa le labbra in un casto bacio sul collo.
Solo quando sento il suo respiro farsi pesante mi abbandono al sonno.


Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e alla prossima!

~La Cacciatrice Mezzo Sangue~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora