Risveglio.

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Tutti si risvegliarono nelle proprie calde coperte.
Tutti ricordavano ogni minuto passato in quello spaventoso...incubo.
Erano stati vittime dei suoi giochi ancora per una volta.
Scott si alzò di scatto dal suo letto, rimanendo in piedi con un affanno costante e caldo, che gli bloccava qualunque altro suono tra le labbra, mentre le mani dalle dita fredde gli tremavano incontrollate. Girò velocemente lo sguardo verso una finestra, e trovandosi al buio, si fiondò su di essa, aprendola, lasciando che il sole caldo di quella giornata lo riscaldasse da tutto il gelo imponente del sogno.
Portò successivamente lo sguardo sulle proprie dita, analizzandole in ogni loro eventuale stranezza, non credendo a cosa teoricamente avesse appena compiuto.
Ma era sembrato...così reale.
Il sole stava lentamente cominciando ad accarezzare le punte delle montagne, segno che la notte sarebbe cominciata ad innalzarsi tra le nuvole in poche ore.
Il telefono gli squillò alla sua sinistra, poggiato per metà fuori dal comodino, in bilico sul vuoto del pavimento. Si avvicinò con velocità, ancora ansimante.
"Scott, cosa sta succedendo?!"
Tuonò in balia al terrore Isaac dall'altra parte della cornetta, mentre Scott ad occhi sbarrati cercava di arrivare ad una conclusione. Ebbe la conferma che il risveglio non fosse accaduto soltanto a lui.
Ma non sapevano, che non tutto era stato davvero un sogno.
Ci fu qualche secondo nel quale il silenzio fu sovrano, ma poi con tono cauto e calmo, Scott mormorò, regolarizzando man mano il respiro.
"Isaac, ho bisogno che ti calmi."
Cominciò, deglutendo silenziosamente, mentre si riavvicinava alla finestra. I raggi del sole che poco prima irradiavano dolcemente il pavimento della camera toccarono la maglia scomposta sul torace del ragazzo, che lasciava intravedere dal lato un piccolo lembo di pelle. Sentì il sole riscaldarlo, e il cuore tornò al suo regolare battito, facendo pulsare il sangue lungo tutto il corpo nella sua normale velocità, come se niente e nulla ora potesse deconcentrarlo. Isaac non rispose, limitandosi a fare come gli è stato chiesto, cercando di rallentare il respiro.
"Dobbiamo chiamare gli altri."
Mormorò il capobranco, guardando fuori dal vetro leggermente impolverato della finestra.
"E radunarci il prima possibile."
Aggiunse, girandosi poi verso la sedia accanto alla scrivania, dove si trovava il suo fidato giubbotto di pelle marroncino, con toppe di vario genere cucite sopra di esso, rendendolo unico.
Qualcosa dentro Scott era cambiato, era come se qualcosa di pesante lo avesse marchiato sotto le arterie, qualcosa che riusciva a sentire ma che non riusciva a comprendere.
Qualcosa di incomprensibilmente macabro.
"Chiama Allison e Jackson, io chiamo Kira e Lydia. Troviamoci nel parcheggio del Centro Veterinario di Deaton."
Ordinò Scott, avvicinandosi successivamente a passo deciso verso la sedia.
L'ordine era chiaro.
Dovevano adunarsi per parlare di ciò che fosse accaduto. Lydia poteva saperne qualcosa di più, e Scott, pur se impaurito, lo sapeva.
"Vabene."
Rispose secco il ragazzo dall'altra parte avendo subito ricevuto l'ordine, e girandosi verso la sua destra uscì dalla sua camera, afferrando prima una felpa aperta senza cerniera beige poggiata a penzoloni su un armadio prima di chiudersi la porta alle spalle.
"Ci vediamo lì."
Concluse Isaac, scendendo le scale del piano superiore e dirigendosi verso l'uscita principale della casa, avendo come meta il bosco.
Avrebbe raggiunto con più facilità il luogo chiesto se avesse attraversato il bosco a velocità licantropa.
La chiamata si concluse, e Isaac compose subito il numero di Allison, poggiando il telefono su una spalla e con la testa su di esso, indossando così con meno difficoltà la maglia felpata sopra la sua maglia nera che già indossava.
Scott andò nella rubrica e chiamò Lydia al cellulare, sospirando. Posò il cellulare sulla scrivania, per indossare il giubbotto di pelle ed imbracciare successivamente il casco il quale era poggiato ai piedi del letto.
In tutto ciò, Lydia rispose.
"È cambiato qualcosa."
Sussurrò la ragazza.
Un sussurro delicato, talmente da sembrare tremante, debole, perso.
Scott riprese subito il cellulare e lo portò all'orecchio ignaro di cosa la ragazza avesse appena sussurrato, mentre usciva dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle con un piede, svoltando verso sinistra per raggiungere il motocross fuori dall'abitazione.
"Lydia, ascoltam-"
Non finì di parlare, che la ragazza ripeté ciò che avesse detto poco prima, con tono ancora più indebolito, più nascosto.
Nascosto chissà da quali pensieri, chissà quali paranoie, urla e grida, contrastando così con una disarmante semplicità la voce potente del ragazzo.
"Qualcosa è cambiato...e sono stata io a provocarlo."
Il battito cardiaco di Scott sembrò rallenatargli.
Talmente da percorrere un processo inverso, e per poco i suoi occhi non cominciarono a brillare.
"Lydia, ho bisogno di te."
Ripeté con tono fermo Scott, mentre il suo cuore sembrava riacquistare velocità, come se, qualcosa dentro di lui, avesse davvero perso la sua parte più importante.
"Ed ho bisogno che vieni al parcheggio della clinica."
Concluse, mentre usciva dalla porta principale della casa di fretta, chiudendo la porta con ordinaria prepotenza. Intanto che saliva in sella alla sua moto ed aspettava una risposta dall'altra parte della chiamata, Lydia deglutì, annuendo.
Annuì come a rinforzare sé stessa.
Annuì, come a convincersi di una forza di volontà che ormai aveva perso da tempo.
Le mancava.
Le mancava qualcosa di troppo grande, che ormai aveva perso in balia di una violenta follia, di una sproporzionata pazzia.
Pensare che tutto ciò lo avesse causato lei, come un ululato cupo si propaga in una foresta di notte, silenziosa e quiete.
Pensare che avesse perso la persona che più amava per via di qualche gioco e pensiero contorto di una creatura nata dal nucleo dell'orrore e della violenza.
Una creatura nata per illudere.
Una creatura nata per sorridere alla violenza e al dolore.
Pensare che avesse perso Stiles per via della sua fragilità mentale, la annientava.
"Vabene."
Rispose concludendo Lydia, staccando la chiamata pochi istanti dopo con le mani che le tremavano, portando subito il cellulare fra i palmi e chiudendolo tra di essi in una morsa stretta e spaventata, mentre con gli occhi fissava un punto non definito della stanza.
Scott accese il mezzo, mentre posando il cellulare per qualche secondo sul cruscotto, indossava con fluidità e velocità il casco. Una volta allacciato, riprese il telefono, digitando il numero di Kira. Un pensiero malinconico risuonò nella sua mente, dubitando per qualche istante sul tasto per indurre la chiamata.
Sospirò, espirando via quel pensiero, e portò il cellulare all'orecchio una volta chiamato il numero, mentre indietreggiava col mezzo verso la strada.
La chiamata non ebbe conclusione, perché sulla strada sfrecciava un suv rossastro, il quale si fermò poco prima dal cross di Scott. Dall'auto scese la giovane Kitsune, accompagnata dal viso fugace della madre che la osservava dietro il vetro frontale oscurato della macchina.
Avendo girato lo sguardo pochi secondi prima che il suv si fermasse, Scott riconobbe l'odore e l'andamento della macchina in qualche secondo, e notando poi la ragazza scendere e correre verso di lui, confermò le sue intuizioni.
"Mia madre ha ricevuto un messaggio da mio padre."
Disse allarmata Kira da qualche metro, non smettendo di correre verso il ragazzo in sella al suo mezzo.
"I libri di storia, nella scuola, erano tutti caduti.
Non soltanto di storia, ma anche sulle mitologie, sulle storie e sulle leggende."
Continuò, fermandosi a qualche decina di centimetri dal mezzo, guardando il ragazzo negli occhi attraverso la visiera del casco, mentre lei cercava di riprendere fiato, in preda ad una sorta di panico e paura.
"La cosa strana è che mio padre si trovava prima nell'aula di storia, poi nella biblioteca, e tutti i libri erano al loro posto."
Le orecchie del ragazzo ora erano puntate sulla voce e sulle parole della ragazza, che erano bagnate da un'umido terrore.
"E le pagine che trattavano del Giappone erano bruciate, strappate o maltrattate.
Ha avuto supposizioni di ogni genere, ma è accaduto tutto in troppo poco tempo, e a considerare dalla situazione..."
Continuò ancora Kira, ma Scott nel frattempo scese dal mezzo scoprendosi la visiera del casco, avvicinandosi a lei. Al finire della sua ultima frase, le avvolse con le dita il suo braccio sinistro, esile e gracile, finendo poi per impalmarlo completamente con tutta la mano, con estrema delicatezza.
"Calmati."
Mormorò il ragazzo, guardando la ragazza negli occhi. Il suo battito era aumentato a dismisura negli ultimi secondi, tanto che la sua aura volpina si mostrò anche agli occhi di Scott, che non era trasformato.
La madre dal suv abbassò il finestrino, affacciandosi allarmata per qualche momento.
Decise pochi secondi dopo di scendere, avvicinandosi ai due con passo lento e inciso, come se fosse stato già programmato, talmente da sembrare nobile, nonostante gli anni secolari della donna.
"Il Nogitsune ha deciso di non restare più alle leggende.
Ha raggiunto una potenza tale da attaccare ogni legamento delle storie alla realtà.
Ora è lui a decidere le sue sorti."
Le parole della donna riuscirono ad attirare le attenzioni dei due giovani, scaturendo cosi un contatto visivo coi due.
"Il vostro amico ha perso il suo gioco.
Il Nogitsune si è cibato della sua perdita."
Le parole annientarono completamente Scott, che per qualche istante credette di star sognando.
Quelle parole non potevano stare alla realtà.
Scott retrocedette di qualche passo, con le labbra che cominciarono a tremargli, ed il viso che si spostò verso una spalla affranto, non spostando lo sguardo dagli occhi della donna.
"Scott, le mie parole possono non essere vere.
Ora è il Nogitsune a dirigere i codici della sua leggenda."
Disse la donna con tono pacato, avvicinandosi di un passo verso loro.
Kira deglutì, girando lo sguardo verso Scott, il quale tuonò, disperato.
"Come credi che possa battere quell'essere?!
È stato capace di portarmi ad uccidere un uomo.
È stato capace di illudermi per tutto questo tempo, senza che io me è accorgessi.
Lu-"
La donna lo fermò.
"Genjitsu, giusto?"
Le parole del ragazzo si congelarono nella trachea, non trovando sfogo.
Lei ebbe la conferma della sua teoria.
"Ha raggiunto l'apice della sua forza.
È stato capace di farvi vivere una realtà illusoria.
Tutto ciò che avete vissuto fino ad ora, è stata un'illusione. Un'illusione che lui ha sfruttato per cibarsi della vostra paura, del vostro dolore, dei vostri conflitti.
Con questo lui è diventato sempre più forte, fino a diventare ciò che è ora.
Vi ha fatto tornare alla realtà semplicemente utilizzando quella parola.
Aveva ottenuto ciò che voleva. Che senso aveva continuare ad illudervi?"
Le parole della donna colpirono ripetutamente il ragazzo, fino a scaraventargli il colpo di grazia.
"Come sai tutte queste cose?"
Mormorò Scott con tono affranto, quasi tremante, con un'insolita curiosità, accigliando.
"Posso ancora sentire gli Oni. Non ho completamente perso il loro contatto.
Potevo sentire gli ordini ed alcuni pensieri del Void quando era collegato ad essi. È stato facile collegare le cose e risalire alla realtà delle sue vere intenzioni."
Rispose la donna, avanzando a passo lento verso i due, stabilendo un contatto sempre più solido e concreto.
"Di questo ne sono sicura.
Io ho evocato dopo centinaia di anni il Nogitsune, so cosa ho scatentato.
Le mie abilità vanno oltre ciò che pensate, e avete ancora molto da imparare del nostro mondo.
Siamo ingannatrici, non seguiamo le regole della realtà ordinaria."
Scott aveva capito come sono state realmente le cose.
Aveva ricomposto il puzzle.
"Kira, andiamo alla clinica.
Dobbiamo dirlo al resto."
Kira fece come detto, e Scott si sfilò il casco, porgendoglielo subito dopo. Ella lo prese al volo, ed una volta messo lo allacciò sotto al mento.
"State attenti contro il Nogitsune.
Affrontarlo questa volta non sarà così semplice.
Lui vorrà soltanto togliersi eventuali problemi dai piedi, per raggiungere la fine del suo scopo. Il completo controllo di tutta Beacon Hills; di tutte le creature sovrannaturali collegate al Nemeton."
Scott annuì, sgasando sul mezzo, producendo così un frastuono del motore che rimbombò nel vicinato, facendolo sfrecciare verso la destinzione scelta, percorrendo le strade che conosceva a memoria.
La donna li osservò andare via, e con sguardo inespressivo e ferreo, mormorò.
"E forse sarà impossibile."
Concluse con un pizzico di rammarico, che la fece stringere nelle spalle. Scaricò quella tensione in un sospiro, e girandosi indietro si incamminò nuovamente verso l'auto, cercando di trovare la calma.
Mentre i due ragazzi sul motocross si dirigevano verso la destinazione, nel grande ed intricato bosco della città un ruggito spezzò il suo maestoso e pesante silenzio. Scott girò di netto lo sguardo, riconoscendo in poco da chi provenisse.
Cambiò marcia, aumentando la velocità del mezzo.
"Isaac ha chiamato Jackson, stanno arrivando."
Disse Scott ad alta voce rivolgendosi a Kira mentre accellerava, guardandola con la coda dell'occhio dallo specchietto, notando il suo sguardo consenziente e sicuro.

"Sei serio?"
Domandò con rammarico, quasi con un accigliato disgusto, Jackson a Scott, analizzando ogni centimetro la sua espressione, sentendo col suo udito il suo battito cardiaco, cercando di capire se stesse mentendo.
"È l'unica conferma che abbiamo ricevuto fino ad ora.
Abbiamo perso tutto, e non sappiamo più cosa fare."
Rispose Scott, notando i sguardi confusi e sconvolti di molti loro.
Lydia con lo sguardo perso, aveva capito, ma era difficile accettarlo.
Allison sembrava essere persa in un assurdo vuoto, che la rendeva vittima dei suoi pensieri angoscianti.
Isaac e Jackson riuscivano a fatica a mantenere la loro rabbia sotto i loro occhi, mostrando per qualche secondo alcuni cenni di cedimento attraverso piccoli ringhi sommessi, battito accelerato e braccia conserte per non lasciare vedere le dita delle mani, dove le unghie stavano sostituendosi con dei potenti e affilati artigli.
Mancava qualcuno al raduno.
Lauren.
Lydia non accennò una lettera, limitandosi a fissare il vuoto, ricordando il viso, le labbra, le mani, la pelle, gli occhi, lo sguardo, della persona che amava. Ricordava tutto ciò che aveva passato all'interno di quel sogno, se realmente lo fosse stato.
Kira le si avvicinò, cercando un contatto visivo attirando la sua attenzione con una mano sulla spalla.
La Banshee alzò di netto lo sguardo, e non trovò lo sguardo accogliente della giovane Kitsune.
Si trovava difronte l'entrata del sentiero del bosco di Beacon Hills.
La luce chiara e pallida tipica della luna era l'unica fonte di luce, e lentamente dall'ombra affianco ad una quercia sulla sinistra, cominciava ad intravedersi una figura, la quale si avvicinava a passo lento verso di lei.
Ma qualcosa non diede la forza a Lydia di muoversi, paralizzandola sul posto.
La vista alle iridi di quell'individuo.
Un rosso splendente.
Un rosso unico.
"Lydia?"
Richiamò la voce chiara e tenue di Kira, che fece rialzare di netto lo sguardo della Banshee.
"Tutto bene?"
Chiese Kira con sguardo limpido, osservandola negli occhi.
"Si."
Rispose secca e semplice Lydia.
"Si."
Ripeté, mentre aveva trovato una risposta su dove questa storia sarebbe continuata.
Al bosco.
La storia si ripete.

I'm Not A HeroWhere stories live. Discover now