Leggende.

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Correva.
Non gli importava dove stesse andando.
Voleva soltanto scappare.
Lontano da qualunque cosa lo stesse opprimendo.
Lontano da qualunque cosa lo stesse inseguendo.
Il respiro cominciava a rendersi pesante nella bocca di Stiles, e i polmoni rigonfiavano pieni di aria pulita sempre di più.
Correva.
Si sentiva più fragile, più debole.
Qualcosa dentro di lui mancava.
Non importava.
Doveva correre.
La sua forma mannara continuava a non esserci, e sembrava essere tornato indietro di qualche anno fa, quando le sue forze da umano e la sua intelligenza spiccata lo aiutavano in qualunque situazione.
Doveva correre.
Correva.
Un passo falso.
Un piede si incastrò in un arbusto pieno di foglie secche e rami di ogni tipo.
Inciampò, cadendo a terra, gemendo per il dolore al braccio per la brusca caduta.
Sibilante si girò sulla schiena, tenendosi con la mano sinistra il braccio destro.
Il cuore continuava a pulsargli frenetico nel petto, e il sangue fluiva velocemente nel suo corpo.
Se soltanto fosse stato più veloce.
Se soltanto fosse stato più attento.
Se soltanto fosse stato più forte.
Attorno a lui la flora continuava a muoversi come se qualcuno o qualcosa la stesse muovendo.
Tutto cominciava a diventare più udibile all'orecchio di Stiles.
Tutto cominciava a diventare più chiaro alla sua vista.
Tutti gli odori, i profumi di quel posto cominciavano a diventare più pesanti e concreti all'olfatto di Stiles.
Tutto cominciava ad essere più forte.
Tutto troppo forte per un corpo gracile come il suo.
Tutto troppo forte per un adolescente.
Per un ragazzo.
Il respiro si affannava sempre più, diventando un ansimare continuo.
Un ansimare prodotto dalla paura.
Dalla fluida e spessa paura che gli scorreva sotto le vene.
Le sue dita tremavano, e le labbra si susseguirono ad esse.
La testa cominciava a girargli, e il braccio dolorante passò in secondo piano nella sua mente ormai contorta dal terrore.
Provò a rialzarsi, e stringendo i denti riprese lentamente a correre zoppicante per via di una contusione, anche se leggera, alla caviglia.
La presenza dietro di lui ricomparve, ed ora non era più soltanto dietro di lui; era come se ora gli girasse attorno.
Come un velo, invisibile e criptico, che rideva della sua paura.
Che si nutriva della sua paura.
Ansimante e con le dita che gli tremavano, Stiles correva da qualcosa di inesistente.
Da qualcosa provocato dalla sua mente.
Un'illusione talmente reale, che lo faceva vivere in un incubo sotto i suoi piedi, sotto i suoi occhi.
Un'illusione talmente reale che poteva essere paragonata completamente alla realtà.
Correndo, i suoi occhi avvistarono un piccolo e tortuoso sentiero, che portava ad un piccolo rifugio.
Deglutì e seguì a passo svelto quel sentiero, accasciandosi poco dopo lungo il tronco freddo e umidiccio di una quercia.
La saliva deglutita poco prima era gelida nella sua trachea, e strizzando gli occhi cercava di non dar peso a quel sapore freddo e denso.
Era troppo debole per quello che stava sopportando.
Non poteva rialzarsi.
Non poteva sopportare ancora per molto ciò che stava vivendo.
Ci fu qualche momento di pace.
Quel velo di terrore e oppressione scomparve, regalando qualche momento di grazia a Stiles, che gli permisero di regolarizzare il respiro.
Chiuse gli occhi.
Ma qualcosa sotto la sua membra continuava a premere.
Premeva con talmente tanta forza che sembrava a poco a poco strappargli la pelle, per uscire fuori.
Serrò i denti, portando le mani sul terreno tempestato da una leggera erba secca.
Strinse le dita nella terra, e non accorgendosene fece penetrare le dita al suo interno. Il respiro si fece nuovamente pesante, ma ora risuonava di potenza.
I denti stretti, serrati.
Le mani che stringevano sempre di più la terra al loro interno.
E i suoi occhi, chiusi sotto le palpebre, cominciavano a rilasciare un denso e forte colore rosso.
Il respiro cominciava a diventare un violento e costante ringhio, che si elevava sempre più forte dalle sue labbra.
Non riusciva più a sopportarlo.
La bestia stava per sprigionarsi.
Sentiva il ruggito emergere dai fondali dei suoi istinti.
Sentiva la forza innaturale rinascere dai lati più nascosti della sua mente.
Aprì le palpebre.
"Eccolo."
Mormorò sottovoce Lauren, come se stesse parlando con sé stessa.
Stiles si guardò attorno con gli occhi, ma era stranamente immobile.
Non riusciva a muoversi.
Era a casa McCall.
Sul divano.
Provò a parlare.
Non ci riuscì.
Un nastro nero gli impediva di parlare.
Cercò con gli occhi il suo migliore amico fra i tanti, ma non lo trovò.
Individuò gli occhi di tutti.
Kira, Allison, Deaton, Lauren, Jackson, Isaac, Lydia.
"Sei sicura che funzionerà, Lauren?"
Domandò Deaton, non smettendo di guardare il ragazzo imbavagliato.
"Sempre meglio provarci."
Rispose accennando un movimento con le spalle e con le sopracciglia, guardando negli occhi a poche decine di centimetri Stiles.
"Dovrete uscire.
Voglio che rimanga soltanto Jackson, e quando arriverà, farete entrare Scott.
Con cautela."
Obbligò con tono delicato ed elegante Lauren, quasi come a farlo intendere come un ordine, in modo nascosto.
Deaton annuì, girandosi verso Isaac, facendogli cenno di uscire.
Quest'ultimo acconsentì, portando con sé anche Allison e Kira.
"Kira."
Ammonì Lauren, girandosi verso di lei.
"Per questa volta, segui il tuo istinto.
Quando tutto questo finirà, ti spiegherò il perché.
Ripeto. Segui il tuo istinto appena lo senti."
Spiegò Lauren, mantenendo un contatto solido con lo sguardo della ragazza.
Stiles provò a muoversi.
Provò a fermare qualunque cosa stessero cercando di fare.
Voleva parlare, urlare di smetterla.
Non ci riusciva.
Qualunque suo movimento era bloccato.
Era tutto così frustrante.
"Vedi quanto ai tuoi amici,
non importi nulla di te, Stiles?"
Cominciò a sussurrare quella voce dentro la sua mente, avvolgendolo come un piumone caldo e pesante sulla propria cute.
"Vedi la loro indifferenza."
La voce sembrava provenire da ogni angolo della stanza, inquietandolo sempre di più, intanto che alcuni dei ragazzi uscivano dalla stanza.
"Non ascoltare la sua voce."
Disse Lauren, chiudendo la porta.
Jackson, rimanendo in silenzio, osservava ogni movimento della donna.
Stiles come un abbaglio fissò Lauren.
"Rilassati."
Mormorò, avvicinandosi sempre di più a Stiles.
"Jackson, mettiti dietro al divano. Io starò davanti."
Continuò la donna, non distogliendo lo sguardo dal ragazzo impossessato.
"Ora dico a te, Stiles.
Ho bisogno che ti rilassi."
Le parole della donna risuonarono tranquille e sicure di sé, come se questo lo avesse fatto svariate volte.
Come se questo fosse normale.
Il ragazzo, imbavagliato da quel nastro scuro, deglutì.
"Sta cercando di truffarti.
Lei non sa,
cosa vuoi, Stiles."
Continuò quella voce, e lo sguardo del ragazzo a quelle parole diventò momentaneamente perso.
"Stiles.
Devi rimanere conscio."
Attirò la donna con un movimento schioccante delle dita, che lo fece tornare alla realtà.
"Cos'ha intenzione di fare?"
Domandò Lydia a Deaton, con l'unghia dell'indice fra i denti in preda all'ansia, fuori da quella stanza.
"Una vecchia filastrocca giapponese.
Spera che riporti il Nogitsune fuori dal corpo di Stiles.
E con questo, potremmo andare avanti come la scorsa volta."
Spiegò Deaton.
Ma qualcosa gli fece venire un dubbio, che gli fece calare gli occhi verso il pavimento, deglutendo.
"Cosa c'è?"
Domandò Isaac, avanzando di poco verso di lui, con lo sguardo in preda a qualche risposta.
"Ci sono molte varianti di questa filastrocca.
Veniva usata alcune volte in un gioco che i bambini facevano scherzosamente.
La vittima veniva messa al centro, e gli altri bambini le roteavano attorno, danzando."
Cominciò il druido, e la sua mente cadde nel baratro dell'orrore pochi secondi dopo.
Arrivò facilmente ad una conclusione, collegando ciò che Jackson appena arrivato con Isaac e Lauren gli spiegò.
"I bambini che danzano attorno alla vittima venivano chiamati Oni."
Concluse Deaton, saettando con uno sguardo Isaac.
Dall'altra stanza, intanto, cominciava ad elevarsi una leggera canzoncina, che risuonava lieve e melodiosa.
"Lydia, non ascoltarla."
Disse Deaton velocemente, avanzando verso di lei. Quest'ultima lo guardò, e dubitando per qualche momento, annuì leggermente.
Chiuse gli occhi, portandosi le mani sulle orecchie.
La melodia continuava, lentamente, come la corda di un violino che viene dolcemente sfregata.
"La sua mente è stata sotto controllo del Nogitsune.
Non sappiamo cosa può essere capace di fare se ascoltasse quella canzoncina."
D'un tratto qualcosa di tagliente attirò l'udito e lo sguardo di Deaton.
Dalla stanza del "rituale", un sibilo distorto e sonoro si elevò.
Gli Oni.
La filastrocca continuava. Se fosse stata più veloce, sarebbe finita in qualche decina di secondi.
Ma la voce della donna, il suo modo di cantare, il modo in cui pronunciava quelle parole, rendevano il tutto più lento, più macabro.
"Kagome..."
Sussurrò d'un tratto Kira, con lo sguardo rivolto verso il pavimento della casa.
Isaac e Deaton la guardarono.
"Kagome.."
Ripeté dopo qualche momento di silenzio la ragazza più scanditamente, alzando lo sguardo, seguendo la melodia di quella filastrocca.
I suoi occhi risuonavano pieni del suo istinto. Un arancione fluido, denso, come il rame fuso.
Le parole della donna e quelle di Kira si fusero insieme, nonostante la distanza fra una stanza all'altra.
Kira, come se fosse stata piombata in uno stato di trance, cominciò a camminare lentamente verso la porta della stanza precedente, mentre le labbra continuavano a muoversi a ritmo di quella canzoncina, e le sue parole cominciavano a risuonare macabre.
Deaton si spostò con Lydia per lasciare libero lo spazio alla ragazza, mentre Isaac guardava quasi scioccato ciò che stava accadendo.
Il sibilo dell'Oni si fece sempre più forte, fino a quando Kira aprì la porta, Isaac vide con i propri occhi ciò che stava accadendo.
Quattro Oni stavano immobili attorno al divano dove Stiles era seduto, mentre Lauren cantava quella filastrocca, terribilmente dolce, e a lei si aggiunse Jackson, che stando dietro al divano perse il conscio, cominciando a cantare sottovoce quella filastrocca nonostante lui non ne fosse mai stato a conoscenza.
Nonostante lui non avesse mai parlato giapponese.
Kira continuò col proprio passo lento ad avvicinarsi al divano, chiudendosi la porta alle spalle.
Il sibilo degli Oni si zittì quando la porta si chiuse, ma loro rimasero lì, fermi ed immobili lasciando continuare il rituale, nella loro terribile forma corporea.
Deaton guardò Lydia, poi Isaac, stringendo le labbra.
"Non ci sto capendo più un cazzo."
Annunciò Isaac sinceramente, guardando Deaton.
"Seguire la logica contorta del paranormale e le leggende giapponesi, non è da molti."
Rispose Deaton, esponendo un leggero sorriso.

Sul suo motocross verde, Scott era diretto verso casa Argent, per trovare qualsiasi cosa inerente ai primi Veri Alpha.
Doveva ritrovare il suo migliore amico, perso nel posto più profondo della sua mente.
Doveva risvegliarlo.
Il motore sgasò ruggente dietro di lui, correndo verso la propria destinazione il suo visto diventò tagliente, e le palpebre si chiusero in due fessure dentro il casco nero.
Svegliare il Vero Alpha.
Svegliare Stiles.
Il vero Stiles.
Questo voleva ora, nonostante avesse perso le speranze.
Ma non sapeva che bastava poco, pochissimo, per farlo.
Arrivò a destinazione, e parcheggiando velocemente e in modo sbadato il proprio mezzo, scese da esso, avvicinandosi poi alla casa.
La porta era chiusa a chiave.
Come al solito.
Un ringhio cominciava a prender vita sotto le sue labbra, e deglutendo si girò, visualizzando in alto la camera di Allison.
Con agilità arrivò quasi al tetto, con qualche salto e qualche appoggio che soltanto lui e il suo istinto conoscevano.
Arrivato alla finestra, non ci pensò due volte, e con tutto il corpo gli si scaraventò contro.
Rotolò una volta entrato dentro, e alzandosi agilmente scrollò le spalle.
"Te la pagherò, Argent."
Mormorò Scott, parlando con sé stesso.
La camera era in ordine, se non per la porta socchiusa.
Cominciò a cercare dentro alcuni cassetti col respiro veloce, sperando di trovare una qualunque traccia sulla storia dei vecchi e Veri Alpha.
Le dita si muovevano veloci dentro i cassetti, ed ogni libro di storia che trovava in quei cassetti parlava soltanto di scuola.

Fino a a quando, qualcosa scoccò nella sua mente.
"Il Bestiario."
Il diario di ogni creatura sovrannaturale.
Il diario dove tutt'esse al suo interno, erano registrate.
Uscì dalla camera di Allison sbattendosi senza troppa forza la porta alle spalle, dirigendosi a passo svelto nella cantina degli Argent.
Ma durante il tragitto si ricordò di una cosa.
Allison teneva tutti i libri della scuola nello zaino, e in pochi casi sulla scrivania.
Mai nei cassetti.
Era tutto troppo in ordine nella sua camera. Ma qualcos'altro gli parve ancora più strano e inquietante.
La porta era socchiusa; Allison chiudeva sempre con le maniglie le porte.
Si girò, e notò di aver appena percorso le scale, quando d'un tratto, vide in cima alle scale qualcuno di molto familiare.
Qualcuno che sapeva molto bene cosa voleva.
Il cuore gli salì in gola, notando i suoi occhi glaciali accendersi nella loro forma più furiosa.
Peter Hale.

I'm Not A HeroWhere stories live. Discover now