Capitolo 51 - IV

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Martin stava illividendo, Gaeta gli stava togliendo ogni forma di appiglio alle domande che avrebbe potuto fargli, alle cose che avrebbe voluto sentirsi dire, a tutto l'ossigeno che non riusciva più a raggiungere anche se stava respirando affannosamente, ed a tratti.
― Ma non ci eravamo già detto tutto?
― ...tutto cosa?
― Tutto niente, Martin. Che tutto era niente, e che tutto sarebbe finito, che io mi sarei tenuto alla larga. Tutto qui. Niente. Infatti.
Martin con una mano si copriva le labbra stringendo il ciondolo fra le dita, in cerca di qualcosa da dire, ma non gli veniva niente di sensato. Tutto quello che stava provando era talmente nuovo, e forte, che fronteggiare una figura come Gaeta era troppo. Avere la sensazione che Gaeta stesse in ogni istante sul punto di ridere non lo aiutava a concentrarsi. Nuova era la forza di quello che stava provando, e non tanto perché Gaeta fosse un uomo, quello forse, se possibile, era uno dei pensieri minori, se pure al primo posto. Era così confuso dall'intensità delle sue emozioni, che continuava a non trovare niente da dire ed aveva persino perso il punto del discorso.
― Allora ti aiuto io, e ti faccio un'altra domanda: tu cosa vuoi?
Martin era sempre più in confusione. Era rimasto zitto, distrutto dalla sua inettitudine, che mai in vita sua aveva provato prima tanto forte.
― Però se vuoi, posso dirti cosa voglio io.
Martin sentì gli occhi di Gaeta quasi spostarlo, quando Gaeta lo guardò fisso alla ricerca spasmodica della sua debolezza, della sua voglia di piangere, e di sentirsi in pericolo. Sfiorò il braccio di Martin molto lentamente con il fondo della bottiglia gelata, risalendo dal gomito in su e lasciandogli addosso una striscia bagnata di condensa. Contro luce poté vedere come tutto il corpo di Martin si irrigidisse, ed immaginò come si fosse ricoperto di increspature. Martin sapeva di stare per sentirsi male, ma quella volta sul serio.
― La tua pelle d'oca, mi fa venire la pelle d'oca.
La voce di Gaeta aveva vacillato lievemente, sciogliendosi in un sorriso accecante.
― Tu sei la prova vivente, della mia magnificenza.
A quelle parole Martin quasi sussultò, sgranò gli occhi su di lui e perse di nuovo le frasi da balbettargli addosso.
― Tu sei un pazzo! Non voglio ascoltarti!
Gaeta sorrideva in silenzio.
― Tu mi hai portato qui in piena notte per dirmi queste stronzate??
Gaeta bevve un altro sorso di birra per lasciare Martin pensare.
― Hai detto che vuoi sapere...
Martin era ormai sicuro delle enormi risate che Gaeta si stesse concedendo fra sé e sé.
― ...ed io ti sto spiegando.
― Non so se voglio sapere... io neanche ti conosco... ma che cazzo ci faccio qui?!
Martin si diede bruscamente una spinta per rialzarsi, ma Gaeta lo afferrò per il braccio e lo tirò nuovamente a sedere.
― Martin. Torna qui, dai.
Martin ricadde sui gradini e si accorse che Gaeta aveva trattenuto a fatica il gesto di aggiustargli i capelli spettinati con una mano, e la cosa gli spaccò il cuore, e lo stomaco, e la mente perché ogni volta che pensava di aver chiaro un minuscolo pezzo di quella storia, Gaeta lo distruggeva senza difficoltà.
Quasi tentando di mascherare la debolezza in cui era scivolato, fu Gaeta ad alzarsi in piedi, per mostrarsi pienamente a Martin da ogni angolazione, serrando la birra in una mano.
― Mi vedi?
― Che vuoi dire?
― Voglio sapere se almeno riesci a guardarmi.
Martin si coprì il viso con entrambe le mani, con i gomiti contro le ginocchia. Come sempre Gaeta aveva ragione, Martin non sapeva guardare Gaeta, ma solo immaginarlo in sua assenza.
Gaeta tornò a sedersi in silenzio. Spingere Martin nel panico e non poterlo aiutare gli lasciava dentro il dubbio su cosa stesse realmente facendo. Si sentì sollevato quando Martin si passò le dita fra i capelli fino a raccoglierli come per legarseli dietro la nuca.
― Vuoi sapere cosa ho nella testa? Vuoi sapere qual è il mio desiderio più grande?
Martin rimase in silenzio, tremando all'idea di scoprire i lati ancora più oscuri di Gaeta. Quello che aveva conosciuto era già più che troppo.
― Vuoi sapere qual è il mio sogno più grande?
Martin iniziava di nuovo a perdersi nel suo profondo malessere perché Gaeta non sembrava rallentare il ritmo con cui cercava di metterlo in difficoltà.
Gaeta si voltò verso Martin, e con uno strattone lo costrinse a girarsi verso di sé, Martin non era capace di alzare gli occhi nei suoi, non ce la faceva.
― Martin, guardami cazzo!
Gaeta gli aveva preso il viso con una mano e lo stava costringendo a voltarsi, e Martin era sul punto di esplodere e piangere, e morire davanti a lui, una volta per tutte. Finché Gaeta non conquistò la piena vista dei suoi occhi verdi, che riuscì a non fargli abbassare ed attese un po' prima di parlare ancora, per vedere cosa si stesse contorcendo in fondo alla sua anima, ed un poco gli spostava la testa da un lato, e Martin sentiva che il suo sangue si stava avvelenando. Ormai Martin tratteneva il respiro, incerto su tutto, incerto soprattutto su cosa augurarsi che stesse per succedere.
― Io sono un uomo Martin.
Martin gli rantolava nel cavo della mano, e Gaeta gli era vicinissimo, ed in quel momento avrebbe potuto pugnalarlo dritto al cuore con un bacio, con un bacio come quello che gli aveva scorticato l'anima giorni addietro. Ed invece Gaeta non lo fece. La sua vera e genuina crudezza fu quella di lasciarlo così senza fiato, sospeso a mezz'aria, stravolto dal tono della sua voce così vicina, per tornare a bere e sorridere delle sue debolezze.
― Senti freddo?
Con un respiro forte Martin aveva ripreso a vivere, ma non poteva credere alla sua cattiveria, ed a quanto contrastasse con la gentilezza della sua domanda.
― Sì, un po'. Non pensavo di dover venire al mare, uscendo di casa.
Gaeta rise.
― Se vuoi in auto ho uno splendido mantello rosso sintetico... ci metto un attimo...
Sorrise anche Martin, all'immagine più scontata dell'iconografia del momento. L'ironia di Gaeta era evidente, incoronare Martin e dichiarargli amore eterno, Martin scoppiò a ridere nervosamente, ma con nel cuore la morte del momento più difficile di tutta la sua vita, che lo stava lasciando vacillare su ogni sua certezza, anche su quella di capire se davvero Gaeta volesse realmente qualcosa da lui.
― Martin. Non aspettarti da me frasi che faranno tremare il mondo.
Martin in risposta pensò che in realtà da Gaeta non si aspettava niente.
― Io sono quello che vedi. Per questo voglio che mi guardi.
Martin ormai tremava visibilmente, e non riusciva a capire dove volesse andare a parare il suo discorso. Aveva perso il filo di tutto, solo tremava ed oscillava tentando di contrastare il suo corpo che tremava e respirava a fatica, tremando. Continuava a ripetersi che Gaeta gli aveva ben specificato di essere un uomo, e se lo ripeteva in maniera convulsa senza riuscire ad andare oltre. Finché lentamente nella sua mente l'idea di quello che volesse dirgli Gaeta iniziò a farsi spazio, a sfracellare tutto il resto, ed a scardinare gli angoli della sua anima impazzita. Gaeta era un uomo, ed avrebbe potuto avere solo donne, ed anche Martin era un uomo, e niente di sentimentale li avrebbe uniti mai se non il gusto di togliersi uno sfizio, e che forse la cosa sarebbe valsa per entrambi vista la violenza delle sensazioni che li aveva travolti in egual misura ed a sorpresa, e che non c'era bisogno di stravolgersi una vita dalle fondamenta, o di darsi altre spiegazioni se non quelle oneste e scarne che Gaeta gli stava mettendo inaspettatamente sotto gli occhi. Gaeta gli stava dicendo che la loro storia sarebbe stata solo quello, un gioco sopra le righe, come ogni altra cosa nella vita di Gaeta.
Martin quasi perse in un attimo la luce dagli occhi, all'idea di essersi prestato ad un raggiro tanto evidente fin dall'inizio, ma che lui non era stato in grado di cogliere. Tutti gli sforzi che fino a quel momento aveva fatto per non crollare davanti a Gaeta si annullarono, tutta la sua vita gli era stata annullata in quel luogo. I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma Martin fece il possibile per nasconderle. Ma un altro brivido di freddo gli arrivò addosso netto come una frustata sulla schiena, e con tutto il corpo Martin sussultò violentemente ormai incapace di salvarsi dall'evidenza con cui stava mostrando a Gaeta che lui invece, avrebbe preferito sentirsi dire qualcos'altro.

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